La Turchia di fronte al Medio Oriente in trasformazione

Written by Mario Zucconi Thursday, 23 June 2011 11:44 Print
La Turchia di fronte al Medio Oriente in trasformazione Foto: Martina Bilá

Il modello politico turco costituisce un punto di riferimento per i paesi nordafricani in transizione verso un sistemo democratico. L’Unione europea, che grazie ai negoziati per l’adesione della Turchia all’UE ha contribuito al processo di riforma di Ankara, oggi ha l’occasione di rafforzare quel modello proprio ridando slancio ai negoziati.


Le recenti elezioni parlamentari in Turchia hanno visto il Partito  giustizia e  sviluppo, con  una dirigenza dal passato islamista, vincere per la terza volta consecutiva, crescere ogni volta in percentuale (fino all’attuale 49,9%) e, per la terza legislazione successiva, essere in condizione di governare da solo. Se indubbiamente esistono preoccupazioni su un uso arrogante di questo vasto consenso politico al livello istituzionale, esso appare, tuttavia, riflettere la maturazione democratica di un paese in cui la politica per decenni ha fortemente ristretto i diritti politici, impedendo in particolare che etnicità e religione potessero assumere un ruolo di strutture ideologiche e organizzative in opposizione alla ideologia secolarista ufficiale.

Attraverso un processo per nulla semplice e lineare (l’ultimo colpo di stato è del 1997 e ancora nel 2007-08 l’establishment secolarista tentava una delegittimazione formale del partito al potere) e con il contributo essenziale dell’Unione europea, che ha offerto modelli politici e normativi accettabili per entrambi gli attori di una politica interna altrimenti polarizzata, la Turchia è passata a una fase post secolarista della sua storia politica, caratterizzata da una democrazia e da un sistema di diritti più avanzati. Con questo, la nuova Turchia ha anche superato la sua separazione culturale dal resto della regione, dalla quale era stata forzosamente “estratta” dal kemalismo, che aveva imposto al paese un rigido secolarismo, aveva condannato l’Islam come causa dell’arretratezza e classificato il contiguo mondo arabo come l’“altro”, usandolo in tal modo come giustificazione delle riforme secolariste.

L’immagine di una Turchia non più considerata nella regione come uno Stato secolarista e autoritario (e in questo senso spesso usato come esempio o modello da alcuni regimi arabi), ma come parte integrante della stessa cultura, nello scorso decennio si è combinata con il grande successo economico del paese (unico in una vasta area che va dall’Asia Centrale al Nord Africa, ad essere membro del G20, con un reddito pro capite che dal 2002 si è triplicato e un tasso di crescita secondo soltanto a quello della Cina nel 2010), con il prestigio di appartenere a istituzioni occidentali,  a cominciare dallo status di paese candidato all’ingresso nell’Unione europea. Ciò ha fatto  della Turchia una fonte di orgoglio per l’opinione pubblica mediorientale, un esempio di positiva gestione della cosa pubblica e un argomento contro stereotipi e pregiudizi riguardanti la regione, a cominciare dalla pretesa incompatibilità fra Islam e democrazia. Nel dicembre 2004 la Lega araba usò tutto il suo potere di pressione con gli Stati membri dell’UE affinché decidessero a favore dell’apertura ufficiale dei negoziati di adesione della Turchia. Prima che iniziasse la Primavera araba, la Turchia veniva portata ad esempio, nel dibattito interno ai partiti mediorientali, da quanti proponevano la via democratica in opposizione all’autoritarismo.

Soprattutto nella seconda parte dello scorso decennio, la Turchia ha riempito buona parte del vuoto, sia ideale e sia di strategia politica, lasciato dall’Amministrazione di George W. Bush. In contrapposizione all’approccio statunitense, Ankara ha elaborato e attuato una strategia di stabilizzazione regionale riassunta nella formula «zero problemi con i vicini». Soprattutto la capacità di demilitarizzare alcune dispute è risultata innovativa e importantissima – come nei casi dell’Iraq e della Siria.

Tuttavia, poiché questa politica di stabilizzazione spingeva anche verso un adeguamento all’esistente, allo status quo, la Primavera araba doveva rendere il ruolo della Turchia nella regione e soprattutto il “modello” da essa proposto molto più complesso, fino a indurre molti osservatori a parlare di una perdita della “mistica del modello turco”.

In realtà, il ruolo e il modello della Turchia nel contesto degli sviluppi attuali nel Medio Oriente hanno molteplici aspetti e vanno anche confrontati con la mancanza di una strategia di risposta complessiva di Stati Uniti e Unione europea. È evidente, difatti, che quegli «zero problemi» divengono seri problemi una volta cominciata la spinta verso il cambiamento politico nella regione (si pensi, oltre alla Siria, alla precarietà di una politica di avvicinamento ad Ahmadinejad in Iran). Tuttavia, nella vastissima regione che comprende anche il mondo arabo, la Turchia rimane politicamente un faro che guida la rotta – in quanto l’attrattiva del modello politico democratico è rafforzata dal successo economico, dall’autorevolezza in politica estera ecc. – e un punto di riferimento che, qualunque siano le incertezze e le reticenze di Ankara, gli sviluppi della Primavera araba rendono soltanto più importante. La rilevanza del modello turco va vista infatti nel contesto della cultura politica regionale, in cui, da sempre, l’unica alternativa all’autoritarismo risulta essere l’islamismo.

Tornato dopo vent’anni di esilio, Rashid Ghannouchi, capo di un partito di ispirazione religiosa in Tunisia, mesi fa suggeriva un diverso corso per il paese: «Il miglior modello cui posso pensare –  dichiarava è quello adottato dal Partito giustizia e sviluppo in Turchia». E in tutto questo, l’Unione europea, che ha avuto un ruolo essenziale nell’evoluzione democratica della Turchia, proprio grazie al processo di allargamento, ha la possibilità o di rafforzare ulteriormente il modello e la funzione di quel paese o di indebolirne e screditarne i principi, le regole e i comportamenti, che sarebbe invece importante trasmettere in questo momento ai paesi mediorientali in transizione politica.

 

 


Foto di Martina Bilá