Nuova Europa: vecchi errori?

Written by Ronny Mazzocchi Monday, 05 September 2011 15:44 Print

L’attuale dibattito sull’opportunità e sulle modalità di introduzione degli eurobond mette in luce, a ben guardare, come il rischio che si sta correndo in questi giorni sia di ripetere i medesimi errori compiuti al momento dell’istituzione dell’unione monetaria, mettendo per di più in pericolo proprio la tenuta della moneta unica.


Nella sua storia, ormai più che cinquantennale, l’Europa ha vissuto momenti in cui sono state la volontà politica e le leadership lungimiranti a spingere e indirizzare tendenze spontanee e disordinate, riluttanti o anche distruttive, verso la casa comune. Ve ne sono stati altri, invece, in cui i destini del continente sono stati sottoposti a violente spinte, determinate sia dall’evoluzione sociale sia dalle contingenze economiche, che hanno obbligato la politica a creare nuove istituzioni sovranazionali capaci di governare lo spontaneismo che proveniva dalla società. Ciò che sta accadendo negli ultimi mesi – con un’accelerazione particolare nelle ultime settimane – sembra ricondurci verso questo secondo modello.

La crisi economica, i crescenti squilibri interni e la pressione dei mercati internazionali stanno spingendo una riluttante classe dirigente ad affrontare i problemi che sono esplosi all’interno dell’Unione europea al punto da metterne in discussione la stessa esistenza. Si tratta di una serie di contraddizioni che affondano le loro radici proprio nel processo di costruzione dell’unione monetaria e che, nascosti sotto il tappeto per anni, sono esplosi con l’arrivo della crisi nel 2007. Ma la difficoltà a prendere atto che i trattati e le istituzioni create a partire dal Trattato di Maastricht non forniscono né le prescrizioni né gli strumenti adatti a garantire la coesistenza monetaria di economie strutturalmente diverse, sta rendendo questa fase particolarmente delicata se non addirittura pericolosa. C’è il rischio, infatti, che ci si concentri troppo sugli effetti e poco sulle cause della crisi, finendo per proporre soluzioni sbagliate e dannose.

Il dibattito sugli eurobond, che da settimane sta occupando le prime pagine dei quotidiani, è in tal senso emblematico. Pur essendo apprezzabili molte delle proposte avanzate, c’è l’impressione che le discussioni si stiano lentamente avvitando su questioni che rischiano di portarci su una strada sbagliata. L’idea che si sta facendo largo, secondo cui le obbligazioni europee potranno essere introdotte solo alla fine di un lungo processo di convergenza fiscale nella zona euro, sembra ripetere lo stesso errore fatto vent’anni fa, quando si decise di istituire la moneta unica.

All’inizio degli anni Novanta, invece di considerare l’unione monetaria come un’utile strumento all’interno del quale sarebbe stato più semplice creare una maggiore armonizzazione delle economie e una migliore distribuzione delle risorse comuni, si realizzò la moneta unica come fine in sé, da attuarsi attraverso un processo di convergenza macroeconomica ex ante, sotto la piena ed esclusiva responsabilità di ciascun paese membro. Come la crisi in corso si è prodigata di dimostrare, tutto l’apparato di convergenza stabilito dai criteri di Maastricht si è rivelato però insufficiente  –  o forse addirittura irrilevante  –  per rendere sostenibile questo progetto nel tempo. Esso infatti ha incontrato insormontabili ostacoli non solo nelle grandezze contabili macroeconomiche, che già costituivano un problema ai tempi del Sistema monetario europeo (SME), ma anche nelle concrete strutture e attitudini microeconomiche che nemmeno l’agenda di Lisbona è riuscita a correggere con successo.

Gli eurobond rischiano di essere la replica degli errori già visti nella fase di realizzazione della moneta unica: da strumento utile non solamente a costruire una rete di sicurezza per i debiti pubblici continentali, ma anche per raccogliere tutto quel risparmio necessario ad avviare un ragionato piano di investimenti europeo in grado di funzionare da  propulsore di crescita interno all’Unione, le obbligazioni continentali stanno per essere trasformate nel premio che i cosiddetti PIGS riceveranno per aver realizzato un autonomo processo di convergenza fiscale e istituzionale di cui già il Patto europlus – siglato nel corso del Consiglio europeo del marzo scorso – fornisce le coordinate principali.

Invece di attuare la correzione degli squilibri interni e la necessaria convergenza economica attraverso gli eurobond, si intimano i paesi membri ad attuare severe manovre di rientro e pesanti riforme strutturali per ottenere gli eurobond. Naturalmente non sfugge che buona parte di queste discussioni vadano ricondotte alla sfera della volontà politica e alla logica dei rapporti di forza fra governi. C’è la consapevolezza che anche questo nuovo fondamentale passo in avanti per l’Unione europea non potrà essere concepito in contrasto con la Weltanschauung e gli interessi dei soci più forti, in primo luogo la Germania. Ma l’idea che l’introduzione di nuovi e più gravosi criteri costituisca un pegno sufficiente per azzerare la riluttanza delle opinioni pubbliche nazionali dei paesi ricchi a compiere nuovi passi verso l’integrazione politica, oltre ad essere superficiale e ingenua, è anche pericolosa.

Il rischio è che l’accettazione di condizioni insostenibili finisca per portarci su un sentiero esplosivo che faccia saltare in poco tempo la moneta unica e assecondi la predilezione di una parte della classe dirigente tedesca per la cosiddetta Kerneuropa, un’unione ristretta che finirebbe per coincidere con quello spazio industriale sovranazionale che la Germania è riuscita a costruire intorno ai propri confini e che taglierebbe fuori tutta l’area mediterranea. Sarebbe un errore grave che finirebbe per danneggiare, forse in maniera irreparabile, le ambizioni economiche, politiche e strategiche dell’intero continente, determinandone il definitivo tramonto.

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