La nuova leadership cinese: nessun Gorbaciov all’orizzonte

Written by Ugo Papi Monday, 19 November 2012 12:06 Print
La nuova leadership cinese: nessun Gorbaciov all’orizzonte Foto: Remko Tanis

Il XVIII Congresso del Partito comunista cinese, che si è concluso la scorsa settimana, ha segnato il già previsto passaggio di consegne fra la leadership uscente e quella nuova, guidata da Xi Jinping e da Li Keqiang. Il paese si trova ora a un delicato punto di svolta e autorevoli osservatori ritengono che la crescita del colosso asiatico potrebbe subire un brusco rallentamento, a meno che non vengano introdotte coraggiose riforme.


Si è chiuso da pochi giorni il XVIII Congresso nazionale del Partito comunista cinese. Il nuovo gruppo dirigente, che governerà la Cina per i prossimi dieci anni, è guidato, come previsto, da Xi Jinping, il nuovo segretario generale e da Li Keqiang che ricoprirà la carica di primo ministro. Molto a sproposito i media internazionali dividono i nuovi leader in riformisti e conservatori, intendendo con i primi i fautori di aperture politiche e con i secondi i nostalgici del maoismo. Ma la realtà è più complessa.

Le divisioni, infatti, passano attraverso gli interessi economici dei rispettivi clan (regionali o familiari) e si intersecano con le differenze di carriera tra quelli, come Xi Jinping, appartenenti all’élite dei “principini”, ovvero i figli di vecchi dirigenti, e coloro che si sono fatti le ossa da soli a partire dalla Lega della gioventù del partito, come Li Keqiang. Nessun Gorbaciov all’orizzonte, dunque, ma una direzione collettiva per ora molto, o troppo, prudente sulle riforme politiche.

Il segretario uscente, Hu Jintao, così come Xi nella sua prima conferenza stampa da segretario, ha insistito nella lotta alla corruzione che sta creando sfiducia tra la gente e preoccupa seriamente il partito. Il problema è assurto agli onori delle cronache dopo il caso Bo Xilai, l’ambizioso ex leader di Chongqing ora sotto processo per aver trasferito ingenti capitali all’estero. Sua moglie è stata condannata all’ergastolo per aver avvelenato l’uomo di affari britannico che aiutava la famiglia nelle operazioni illecite. La questione è talmente grave da mettere in discussione la stessa crescita economica del dragone.

Secondo il rapporto “China 2030” della Banca mondiale, la Cina è a un punto delicato di svolta. Dopo anni di crescita stupefacente, la seconda potenza economica dopo gli Stati Uniti, e primo produttore ed esportatore mondiale, potrebbe avere un brusco rallentamento con esiti drammatici per il mondo intero. Per continuare a crescere ci vorrebbero riforme radicali: la privatizzazione delle grandi aziende di Stato e delle banche oggi controllate dalla politica, la modernizzazione del sistema fiscale per ridurre le crescenti differenze tra ricchi e poveri, una riforma finanziaria per dare accesso al credito alle piccole imprese e infine un welfare più robusto per tutti.

Per attuare tale svolta c’è bisogno di passare da un modello che punta alle sole esportazioni, in calo a causa della crisi globale, a uno che sviluppi il mercato interno per ora in stallo. La frenata dell’economia, che oggi cresce comunque del 7,5 % all’anno, ha già fatto aumentare le proteste degli agricoltori e degli operai senza lavoro e in cerca di diritti, senza contare il malessere dei giovani che si esprime sul web nonostante la censura.

Sapranno i nuovi dirigenti designati, a partire dal nuovo presidente Xi Jinping, attuare le riforme necessarie? I leader cinesi del dopo Mao hanno stupito il mondo attuando riforme rapide su cui nessuno scommetteva. Ma ora si tratta di smantellare un enorme conflitto di interessi nelle stanze del potere, fonte delle vere differenze tra le fazioni del partito-Stato. L’accesso alle alte cariche, permette un arricchimento rapido per il proprio entourage e per i familiari dei leader. Secondo l’agenzia Bloomberg, i 70 deputati comunisti più ricchi del Parlamento, hanno accumulato una fortuna di 70 miliardi di euro, pari a dodici volte le ricchezze dei 535 membri del Congresso americano messi assieme.

I duecento gruppi economico-finanziari più grandi del paese sono in mano ad altrettante famiglie legate a leader del partito. Le fortune di Xi Jinping e della sua famiglia ammonterebbero a diverse centinaia di migliaia di dollari e il mese scorso il “New York Times” ha rilevato che il clan familiare del premier uscente, il riformatore Wen Jabao, detiene 1,7 miliardi di euro di una compagnia di assicurazione.

Questo legame perverso tra potere politico e immense fortune economiche è il vero nodo da sciogliere per i nuovi imperatori rossi. Se sapranno farlo con coraggio, renderanno la Cina più forte, con un’economia più trasparente e una società più libera.

 


Foto: Remko Tanis

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