I “paletti” della Corte costituzionale sulla legge elettorale

Written by Roberto Cerreto Wednesday, 22 January 2014 17:25 Print
 I “paletti” della Corte costituzionale sulla legge elettorale Foto: agenziami

Quali indicazioni offre e quali limiti pone, per la futura legge elettorale, la sentenza della Corte che ha dichiarato l’incostituzionalità del Porcellum?


I primi commenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 1/2014, che ha dichiarato l’incostituzionalità del cosiddetto Porcellum limitatamente ai premi di maggioranza e alle liste bloccate e ha perciò consegnato una legge elettorale proporzionale (ma con le soglie di sbarramento della legge Calderoli) con preferenza unica, si sono concentrati – com’era prevedibile – sui “paletti” che, più o meno esplicitamente, la sentenza ha fissato per le leggi elettorali future (da oggi tutte potenzialmente sottoponibili, anche in tempi piuttosto rapidi, al sindacato della Corte), a partire dai tre schemi di legge elettorale ipotizzati da Matteo Renzi e, dopo la riunione della direzione PD di lunedì scorso, sull’ipotesi di riforma che, secondo lo stesso Renzi, vede la più ampia convergenza possibile tra le forze politiche. Poiché nel dibattito sulla legge elettorale si fa spesso riferimento ai modelli degli altri Stati (spagnolo, tedesco) e degli altri livelli di governo (sindaco d’Italia), sarà utile cominciare dai brevi cenni che la sentenza dedica a tali sistemi.

Nella parte su liste bloccate e preferenze, il ragionamento della Corte fa perno sull’eccessiva ampiezza delle liste e, dunque, sulla scarsa conoscibilità dei candidati da parte degli elettori (oltre che, in subordine, sulle candidature multiple, che espropriano l’elettore anche ex post del suo potere di scelta). L’adozione di questo sistema per l’elezione della totalità dei parlamentari è, appunto, incostituzionale, ma per ragioni – scrive espressamente la Corte – che non si possono trasferire su sistemi che prevedono liste corte (Spagna) o liste bloccate solo per metà dei parlamentari (Germania), né ovviamente sui sistemi con collegi uninominali (Francia, Gran Bretagna). Dunque, i tre modelli tratteggiati da Renzi e, in particolare, il doppio turno di coalizione con liste bloccate corte non sembrerebbero incostituzionali sotto il profilo della possibilità per gli elettori di scegliere gli eletti. Questo, almeno, basandosi sulla sentenza. Fermo restando che la giurisprudenza della Corte può sempre evolversi e che il giudizio politico sulla legge elettorale non si esaurisce nel dilemma costituzionalità/incostituzionalità.

Passando al premio di maggioranza, in assenza di riferimenti offerti dalla comparazione internazionale (essendo questo istituto una peculiarità italiana), la Corte sembra preoccuparsi di non sollevare dubbi sulla legittimità delle regole per l’elezione dei Consigli comunali e regionali. Innanzitutto, le sue valutazioni muovono dalla posizione del Parlamento nei sistemi parlamentari, mentre Comuni e Regioni sono sistemi “presidenziali”. Altrettanto importante, sotto questo profilo, la sottolineatura della radicale differenza tra Parlamento e assemblee territoriali per il fatto che il primo non ha, come le seconde, il solo compito di indirizzo e controllo del governo (anch’esso peraltro assai limitato per i Consigli comunali e regionali), bensì anche funzioni di garanzia costituzionale (il riferimento esplicito è alla revisione costituzionale ex articolo 138 della Costituzione, ma considerazioni simili potrebbero essere fatte valere per l’elezione del presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali ecc.). Su questo aspetto mi sono già soffermato nell’articolo “Quale legge elettorale nel nuovo sistema istituzionale?” sul n. 9-10/2013 di “Italianieuropei” e tornerò a breve, a proposito del doppio turno di coalizione.

Tracciata, dunque, questa invalicabile linea di demarcazione tra livelli di governo statale e locali, la sentenza non offre – né poteva offrire – in materia di premio di maggioranza, indicazioni altrettanto precise per valutare le proposte al centro del dibattito politico, come fa invece sulle preferenze: mancavano, infatti, sistemi vigenti comparabili né, com’è evidente, la Corte avrebbe potuto entrare a gamba tesa nel confronto politico, pronunciandosi su mere ipotesi di riforma.

Non resta allora, su questo rilevante aspetto, che andare a cercare gli eventuali “paletti” nelle motivazioni con cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dei premi previsti dal Porcellum. Il perno di tutto il ragionamento è qui la necessità di salvaguardare, nella forma di governo parlamentare, la “rappresentatività” delle assemblee, cioè la rispondenza della loro composizione al voto espresso dagli elettori, evitando che un premio senza “misura” – attribuito cioè a prescindere dal raggiungimento di una soglia minima di voti o seggi – produca una irragionevole e sproporzionata sovra-rappresentazione di alcune liste (e conseguente sotto-rappresentazione di altre). I premi della legge Calderoli, dunque, erano incostituzionali perché producevano «una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto».

Tuttavia, niente, nella sentenza della Corte, autorizza a nutrire dubbi sulla costituzionalità dei sistemi uninominali (o plurinominali con collegi piccoli), che pure sappiamo avere, potenzialmente, effetti distorsivi anche molto forti in presenza di determinati comportamenti elettorali (distribuzione del voto territorialmente omogenea). Il motivo di questa apparente contraddizione è che il premio di maggioranza – che, ripetiamolo, è un espediente elettorale tipicamente italiano – si innesta, distorcendoli, su sistemi a base proporzionale, in cui l’eguaglianza del voto dovrebbe essere garantita anche “in uscita”, cioè negli effetti del voto, e non solo al momento della sua espressione. Per usare le parole dell’ordinanza di rimessione della Cassazione, nei premi senza misura del Porcellum l’effetto distorsivo non rappresenta «un mero inconveniente di fatto [come sarebbe, ad esempio, se in tutti i collegi uninominali inglesi o francesi prevalessero i candidati dello stesso partito], ma sarebbe il risultato di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per determinare tale esito».

Sulla base di queste valutazioni, si può dunque dubitare della legittimità costituzionale di qualunque sistema che, su un impianto proporzionale, innesti meccanismi distorsivi irragionevoli e sproporzionati in sé (ad esempio per una soglia eccessivamente bassa) o per effetto del cumulo tra loro o, a maggior ragione, che innesti tali meccanismi di ulteriore distorsione su una base già di per sé maggioritaria: in concreto, le soglie implicite, già molto elevate, del sistema spagnolo con in più il premio di maggioranza (cosiddetto spagnolo corretto) o il sistema uninominale maggioritario della legge Mattarella, anch’esso con l’aggiunta del premio (Mattarellum corretto). Al riguardo, vale la pena di sottolineare l’obiter dictum della sentenza sul cumulo di soglie di sbarramento e premi di maggioranza nel Porcellum.

Quanto al doppio turno di coalizione, su cui ci sarebbe un ampio accordo tra le forze politiche, un primo aspetto da valutare è la congruità della soglia ipotizzata per l’attribuzione del premio al primo turno (35%). Occorre chiedersi, cioè, se l’attribuzione a una lista o coalizione che raccoglie poco più di un terzo dei voti di un’ampia maggioranza parlamentare (ben più ampia della maggioranza assoluta e, perciò, idonea a incidere significativamente sul sistema della garanzie costituzionali) risponda ai principi di ragionevolezza e proporzionalità fissati dalla Corte.

Inoltre, se tale soglia non viene raggiunta al primo turno, il premio è assicurato da una sorta di ballottaggio tra partiti o coalizioni (altro unicum mondiale, come il premio), in cui il superamento del 50% è prodotto artificialmente dallo stesso meccanismo elettorale («normativamente programmato per determinare tale esito», per usare le parole della Cassazione), senza che gli elettori possano porre in essere alcun comportamento elettorale (di voto o di non partecipazione al voto) per impedirlo.

A tale schiacciante maggioranza parlamentare potrebbe benissimo pervenire, dunque, una forza politica in cui si riconosca una porzione molto piccola dell’elettorato (cioè anche inferiore al 35%), che risulterebbe così fortemente sovra-rappresentata: con quali conseguenze sulla legittimazione politica delle assemblee parlamentari e dei governi, è facile immaginare.

Completa il quadro la circostanza che tale sistema rappresenta palesemente un (ennesimo) tentativo di modificazione della forma di governo attraverso la legislazione elettorale. Al riguardo, la sentenza sottolinea che la legge elettorale deve essere coerente con la forma di governo stabilita dalla Costituzione, e l’ordinanza di rimessione della Cassazione rileva come vizio di irragionevolezza l’attribuzione di premi a una coalizione in mancanza di meccanismi istituzionali idonei a evitare che la stessa si divida all’indomani delle elezioni, minando proprio quella stabilità di governo che si voleva perseguire. Ed è un fatto che il ballottaggio tra coalizioni incentiva la formazione di cartelli elettorali buoni più per vincere che per governare.

 

 


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