Le profonde radici sociali della violenza contro le donne in India

Written by Klaus Voll Tuesday, 17 June 2014 16:59 Print
Le profonde radici sociali della violenza contro le donne in India Foto: nevil zaveri

In India i processi di modernizzazione sociale e di emancipazione femminile stanno gradualmente prendendo piede, soprattutto nelle classi medio-alte più istruite. Ma gli abusi e le violenze contro le donne dilagano (in Uttar Pradesh sono in media dieci al giorno) e sono espressione di antagonismi sociali ancora prevalenti soprattutto nelle zone rurali e fra le caste più svantaggiate.


In India, tra i suoi quasi 1,3 miliardi di abitanti, l’abuso e le violenze contro le donne sono dilaganti. Ci sono anche molti esempi di rispetto delle donne in tutto il paese, non soltanto nelle società matrilineari, come in alcune parti del Nord-Est e nell’India meridionale. Ma le recenti brutali violenze e l’assassinio di due giovani dalit a Baudan, nel megastato dell’Uttar Pradesh (200 milioni di abitanti) riflettono un modello prevalente, particolarmente nelle aree rurali, di antagonismo tra le caste proprietarie e i lavoratori agricoli, ancora largamente in voga tra i membri della comunità dalit, prima nota come la casta degli “intoccabili”. La maggior parte delle vittime di violenza sessuale sono donne dalit e adivasi. Questi ultimi sono abitanti originari o “tribali”, scheduled tribes (tribù inventariate), cioè gruppi svantaggiati che contano circa 100 milioni di persone e che sono riconosciuti dalla Costituzione indiana. Quindi gli stupri rinforzano una dinamica strutturale economica e sociale che ha come oggetto soprattutto le persone oppresse.

Ogni giorno, in Uttar Pradesh avvengono circa dieci stupri. Molti casi non sono nemmeno denunciati. Le cifre nel Madhya Pradesh, governato dal BJP, sono persino più drammatiche. I colpevoli contano sul fatto di poterla fare franca. La percentuale di condanne per abusi sessuali in India è inferiore al 24%. La mentalità di tipo feudale e patriarcale è diffusa, particolarmente nelle aree rurali e non bisognerebbe dimenticare che i cosiddetti Khaap Panchayats, sorta di organi giudiziari senza alcuno status legale, condannano i matrimoni d’amore e fra caste diverse. Questi organi pronunciano sentenze che possono andare dal boicottaggio sociale alla pena di morte.

Le società indiane sono di base sessualmente oppresse. Giovani uomini e donne non hanno alcuno spazio per relazioni “naturali”. Non esiste una vera forma di educazione sessuale o di genere nella scuola. Solo le società adivasi differiscono da questo punto di vista.

Le dimostrazioni di massa contro i brutali stupri di gruppo di giovani donne nel 2012, particolarmente a Delhi – la “capitale degli stupri dell’India” – ma anche in altre importanti città del paese, hanno condotto a una legislazione più dura contro gli stupratori, che arriva fino alla pena di morte. E le raccomandazioni della Commissione di giustizia Verma[1] includono anche «il riconoscimento dei diritti sessuali, compreso il diritto all’autonomia sessuale e all’integrità del corpo delle donne, la definizione di stupro coniugale come crimine, in modo tale che il consenso diventi parte integrante di una relazione sessuale».

A queste dimostrazioni hanno preso parte soprattutto professionisti delle classi medie con un background delle caste superiori. Ma non è ancora chiaro fino a che punto queste nuove leggi stringenti stiano influenzando il comportamento civile, considerando che la stampa indiana riporta quotidianamente casi di molestie e abusi sessuali. Ed è molto difficile valutare se queste violenze siano in qualche modo legate alla crescente emancipazione femminile. Non c’è dubbio che le donne siano sempre più istruite e che entrino in numero crescente nelle varie professioni, in confronto al periodo pre-liberalizzazione, cioè prima del 1991. Una qualche “occidentalizzazione” sta avendo luogo, particolarmente tra le classi medie. Bollywood e i film occidentali presentano una certa immagine femminile. Ma le donne bianche (gori) sono considerate “facili”, così come le donne di etnia diversa dell’India nordorientale, solo perché vestono in modo diverso e più liberamente. I matrimoni continuano a essere combinati e ci si aspetta che si adattino ai modelli sociali vigenti e che siano compatibili per casta e background sociale. E la maggior parte di giovani uomini e donne, anche con un livello di istruzione alto, accettano questi accordi.

Sullo sfondo c’è un enorme esercito di milioni di prostitute, in parte anche provenienti illegalmente dal Nepal. Le malattie veneree sono frequenti, per non parlare dell’HIV. Sebbene la prostituzione sia vietata, i dance bar – ad esempio a Mumbai –, le ragazze squillo e le escort godono di protezione sia dalla politica che dalla polizia. Uomini appartenenti alle classi alte e medio-alte sono in grado di attrarre donne grazie alle loro auto e al loro stile di vita sfarzoso, e questo senza ombra di dubbio genera invidia negli uomini appartenenti alle classi più povere, il cui spazio pubblico si è andato negli anni riducendo a causa del regime della globalizzazione con il suo consumismo.

Sembrerebbe che si sia raggiunta una sorta di «normalizzazione della violenza sessuale. L’India non è un paese in guerra– eppure, il livello della violenza inflitta alle donne che è tollerata è paragonabile ai livelli visti in zone di conflitto come la Siria, la Repubblica Democratica del Congo o il Sud Sudan».[2] 




[1] Dal nome del giudice che l’ha presieduta, J. S. Verma.

[2] L’autore ringrazia Daniel Voll per i suoi suggerimenti.

 

 


Foto: nevil zaveri

 

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