La disoccupazione giovanile si combatte in Europa

Written by Brando Benifei Thursday, 28 April 2016 15:01 Print

La disoccupazione giovanile è un fenomeno preoccupante che, pur registrando in Italia picchi insostenibili, riguarda tutta l’Europa. Ed è appunto sul piano europeo che occorre agire per contrastarlo efficacemente, sia con misure specifiche come un sussidio comune di disoccupazione per l’eurozona o Garanzia giovani – il programma dell’Unione europea che mira a fornire ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni un’offerta di lavoro, di formazione, di proseguimento dello studio o di tirocinio entro quattro mesi dall’inizio del periodo di disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione – sia con più ampi provvedimenti a sostegno della crescita economica e della trasformazione tecnologica del sistema produttivo.


Secondo i dati Eurostat resi disponibili a dicembre 2015 la disoccupazione giovanile in Italia si attesta al 37,9%, un dato in significativo miglioramento rispetto all’anno precedente (42,7%, con un picco del 44,2%) ma comunque ancora molto elevato, sia in assoluto che in rapporto alla media europea, che e del 19,7%.

Questi numeri testimoniano la persistenza di un fenomeno preoccupante, presente in tutta l’Unione europea, seppure con incidenze molto diverse; sono ben note, infatti, le conseguenze nefaste che la disoccupazione giovanile comporta sotto il profilo economico, sociale e per il benessere generale delle persone. Il fenomeno dei NEET, i giovani che non lavorano, non si formano e non studiano, rappresenta una vera emergenza sociale, anche perche un’inattività prolungata e un ingresso ritardato nel mercato del lavoro possono peggiorare significativamente le prospettive per il futuro. Un’elevata disoccupazione giovanile strutturale porta, inoltre, al deterioramento del capitale umano del paese e, dunque, a una riduzione delle future prospettive di crescita.

Una riflessione generale sul problema induce a chiamare in causa il nostro modello di sviluppo a livello nazionale e continentale e solleva diverse questioni, che rimangono tuttora aperte. Una delle più importanti e quella del rapporto tra rivoluzione tecnologica e occupazione: siamo al centro della transizione verso una nuova fase dell’economia digitale. Internet delle cose, big data, robotizzazione: sono tutti tasselli di quella che viene chiamata “quarta rivoluzione industriale” e le implicazioni della trasformazione del sistema economico in corso in termini di occupazione sono controverse. Se l’accresciuta produttività inevitabilmente causerà la scomparsa di numerosi posti di lavoro, senza dubbio si genereranno al contempo nuove professionalità; restano, pero, in larga misura ancora da scoprire le proporzioni, la velocità e le incognite che tale passaggio riserva. Certamente si tratta di una rivoluzione che pone sfide inedite alla politica e l’impatto sociale che ne deriverà dipenderà in buona parte dalle azioni che verranno messe in campo, sia a livello nazionale che europeo. E possibile che, con politiche adeguate, una questione dalle conseguenze potenzialmente dirompenti possa essere trasformata in un’opportunità, anche rispetto al problema della disoccupazione giovanile.

Per affrontare tutto ciò in modo efficace occorre, da un lato, presentare le misure già adottate e in parte attuate a livello europeo e nazionale e, dall’altro, individuare ciò che ancora dovrebbe essere fatto. Per quanto riguarda le politiche esistenti, non si può non iniziare da Garanzia giovani, il programma europeo che mira a fornire ai ragazzi tra i 15 e i 29 anni un’offerta di lavoro, di formazione, di proseguimento dello studio o di tirocinio entro quattro mesi dall’inizio del periodo di disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione. Se sono chiari i limiti del provvedimento, che non può costituire una soluzione strutturale di lungo periodo al problema della disoccupazione giovanile, al contempo esso non va sottovalutato: bisogna riconoscere che si tratta di una misura importante, che può dare un aiuto concreto ai giovani per superare momenti di inattività temporanea e per entrare nel mondo del lavoro, contribuendo a colmare il dislivello tra università e sistema produttivo. L’adesione al programma e significativa: al 4 febbraio 2016 si erano registrati 944.382 giovani, di cui 604.008 erano già stati presi in carico.

Garanzia giovani e stato utilizzato come piattaforma per realizzare progetti innovativi in tutta Europa. Un esempio italiano e quello promosso dal ministero del Lavoro in collaborazione con Unioncamere e Google: si tratta di Crescere in Digitale, che mira a fornire ai ragazzi inattivi iscritti al programma, tramite un corso di formazione online, competenze tecnologiche da impiegare in tirocini presso le imprese, con il compito di aiutarle a “digitalizzarsi”. Le imprese che vorranno assumere gli aderenti al programma possono ricevere un incentivo di 6000 euro. E un buon esempio di un tipo di politica che realizza il principio affermato prima, ossia trasformare la rivoluzione digitale in un’opportunità per la creazione di lavoro, combinando innovazione, nuova occupazione e miglioramento del sistema produttivo. Le imprese digitali, infatti, mediamente hanno risultati economici migliori delle altre. Anche in questo ambito i dati appaiono incoraggianti: a cinque mesi dal lancio avevano aderito in 42.078, mentre erano in 24.736 ad aver completato il primo modulo del corso.

L’esempio di Crescere in Digitale va a evidenziare uno dei principali punti di debolezza del nostro modello di sviluppo, ovvero il forte iato esistente tra formazione e sistema produttivo, una criticità che, pero, non deve essere intesa a senso unico: non si tratta soltanto di adoperarsi per una maggiore integrazione – pur necessaria – tra sistema educativo e mondo del lavoro. Esiste anche un problema, molto profondo e radicato, di focalizzazione dell’attività di buona parte delle nostre imprese in settori a scarso valore aggiunto, che non solo sono molto esposti alla concorrenza internazionale, ma richiedono anche manodopera scarsamente specializzata e non sono pertanto in grado di utilizzare la forza lavoro altamente formata che esce da un sistema educativo che, peraltro, registra un tasso di laureati sensibilmente inferiore alla media europea e in costante calo nel corso degli ultimi anni. Tutto questo porta a sollevare la questione decisiva: solamente una politica di robusta ripresa degli investimenti, pubblici e privati, volta a un sostanziale ammodernamento del nostro sistema produttivo, che lo renda in grado di competere almeno su alcune frontiere dell’innovazione, può dare una soluzione duratura al problema della disoccupazione giovanile, tanto sotto l’aspetto quantitativo quanto in termini di qualità dei nuovi posti di lavoro creati. Ma ciò può avvenire solo in un quadro europeo e a condizione di un mutamento delle politiche comunitarie.

Il piano Juncker, a cui anche l’Italia e stata in grado di partecipare in misura finalmente significativa, e stato un primo passo, che pero presenta limiti seri, sia di dotazione finanziaria che relativamente al meccanismo di funzionamento, limiti che sono stati ampiamente discussi ai tempi dell’approvazione e anche nelle fasi successive. Un più incisivo piano di investimenti a livello europeo o perlomeno a livello dell’eurozona e regole più avanzate per la flessibilità, che permettano di giungere a una vera e piena golden rule, in modo da consentire lo scorporo integrale degli investimenti dal calcolo dei parametri di bilancio, costituirebbero le premesse necessarie per una vera trasformazione del nostro sistema produttivo.

Inoltre, un provvedimento strutturale che consentirebbe di ottimizzare in modo efficace il funzionamento del mercato del lavoro a livello europeo e quello proposto dal ministro dell’Economia e delle finanze Pier Carlo Padoan: un sussidio comune di disoccupazione per l’eurozona. Un’idea importante sotto molti punti di vista, che non solo sarebbe una misura di equità sociale, ma avrebbe anche effetti macroeconomici positivi, permettendo di limitare la gravita della crisi, esercitando una funzione anticiclica e stabilizzando l’economia. Senza contare che, rafforzando la solidarietà tra gli Stati e uniformando il livello delle tutele, potrebbe costituire un importante passo avanti sulla strada dell’integrazione europea e dell’adozione di una politica economica comune, rappresentando il complemento ideale alle politiche fiscali e di investimento comuni già citate.

D’altra parte, bisogna ammettere che quello europeo e piuttosto lontano dall’essere un mercato del lavoro unitario e integrato. Soprattutto per quanto riguarda la mobilita dei lavoratori, infatti, vi e ancora molto da fare. Un passo avanti e stato compiuto di recente con l’approvazione del regolamento per la riforma di EURES, la piattaforma europea per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Grazie a risorse mirate e al tentativo di mettere in campo un migliore coordinamento e scambio di informazioni, il provvedimento intende facilitare gli spostamenti della forza lavoro all’interno dell’Unione. Chiaramente, il raggio d’azione della UE in tale ambito e limitato, viste le ampie competenze ancora in capo agli Stati nazionali. Tuttavia, uno spazio per politiche europee del lavoro esiste e può essere determinante, ad esempio nel contrasto al fenomeno del dumping sociale.

A questo proposito si può menzionare un’iniziativa recente della Commissione che, se attuata efficacemente, potrebbe dare un contributo importante in questa direzione. Si tratta del progetto di riforma della direttiva sul distacco dei lavoratori, presentato l’8 marzo scorso. Il lavoro distaccato, infatti, negli ultimi anni si e spesso prestato ad abusi, in particolare in settori come quello edile e quello dell’autotrasporto. La possibilità di non pagare alcune componenti salariali e previdenziali ha finora permesso di ottenere una forte riduzione del costo del lavoro per le imprese che vi facevano ricorso, causando concorrenza sleale e pressione al ribasso sui salari. Normare la materia in maniera più stringente – obiettivo che dovrà essere perseguito anche nella discussione del provvedimento da parte del Parlamento europeo – e un esempio di come l’Unione possa agire per rendere il mercato del lavoro più efficiente e più equo per i lavoratori. Naturalmente, gran parte delle competenze restano sul piano nazionale. E, se ci soffermiamo in particolare sul nostro paese, esistono delle criticità importanti. Molte delle politiche, anche europee, si appoggiano per la loro realizzazione ai centri per l’impiego, che rappresentano un punto debole del sistema Italia nel confronto con altri paesi: basti pensare che, in media, nei centri italiani vi e un addetto ogni 254 disoccupati da assistere, mentre in Germania il rapporto e di 1 a 26. Ciò rappresenta un serio ostacolo a una sistematica ed effettiva attuazione delle politiche attive del lavoro. Attualmente, nel settore e in corso una riorganizzazione che dovrebbe portare alla nascita dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e alla riorganizzazione dei centri, processo di cui occorre attendere gli esiti per valutarne i risultati.

Per riassumere: diverse iniziative sono già state prese per contrastare il fenomeno della disoccupazione giovanile e molto può essere ancora fatto per ottimizzare il funzionamento del mercato del lavoro europeo, per incentivare la mobilita, favorire l’interazione tra formazione e lavoro, aumentare l’efficienza dei centri per l’impiego, per facilitare la transizione da un’occupazione all’altra e per la creazione di nuove competenze per adeguarsi alle trasformazioni del mondo del lavoro.

Tuttavia, per aggredire veramente il problema e fornire una soluzione duratura sarebbe necessario un mutamento più incisivo e a lungo termine del modo di operare della politica fiscale europea, un cambiamento che non può prescindere da una più profonda integrazione dei paesi europei. Una maggiore integrazione che potrebbe realisticamente partire da iniziative decise dagli Stati membri dell’eurozona, il che contribuirebbe anche alla soluzione degli squilibri strutturali della moneta unica. Stabilizzatori automatici, ingenti piani di investimento, un’accettazione della flessibilità come elemento strutturale e non più soltanto contingente, una lotta più accentuata al dumping sociale e fiscale: questi i tasselli di una politica europea alternativa e ad ampio raggio per contribuire a restituire ai giovani una prospettiva di lavoro e di crescita personale.