Commemorazione

Written by Remo Bodei Tuesday, 26 April 2011 16:31 Print
Commemorazione Illustrazione: Lorenzo Petrantoni

Commemorare è ricordare insieme al fine di mantenere e irrobustire l’identità e la coesione di un popolo, di un settore della società e, al limite, di una famiglia o di una coppia. Per comprendere questo fenomeno bisogna dapprima chiedersi come e perché si ricorda. Possiamo paragonare la memoria a una specie di locomotiva a vapore, che si muove solo se si gettano dentro il suo forno palate di carbone. In modo analogo, la memoria funziona proprio perché esiste la commemorazione, perché si stabiliscono date significative per ogni comunità, gruppo o individuo.

Commemorare è ricordare insieme al fine di mantenere e irrobustire l’identità e la coesione di un popolo, di un settore della società e, al limite, di una famiglia o di una coppia. Per comprendere questo fenomeno bisogna dapprima chiedersi come e perché si ricorda. Possiamo paragonare la memoria a una specie di locomotiva a vapore, che si muove solo se si gettano dentro il suo forno palate di carbone. In modo analogo, la memoria funziona proprio perché esiste la commemorazione, perché si stabiliscono date significative per ogni comunità, gruppo o individuo.

Sul piano collettivo, si tratta di ricorrenze politiche, civili, religiose, di momenti che servono ai cittadini per riflettere sulla propria storia. Nell’Italia repubblicana, ad esempio, abbiamo il 25 aprile e il 2 giugno; quando c’erano la monarchia e il fascismo, vi erano invece l’11 novembre (genetliaco del re) e il 28 ottobre (anniversario della marcia su Roma). Si ritagliano così, nell’indifferenziato tempo del calendario, dei giorni da solennizzare, creando un tempo monumentale, che non riguarda i singoli individui, ma l’intera comunità.

Il “carbone” della memoria ufficiale è costituito, in maniera più diffusa e capillare, dai manuali scolastici, dai libri di storia, dai giornali, dalla televisione, dalla lingua: tutti fattori che accomunano e che danno il senso dell’appartenenza a un insieme di persone (nazione, classe sociale, partito, ceppo familiare). L’oblio è prodotto dalla sottoalimentazione o dalla cessata alimentazione della memoria ufficiale. L’identità di un popolo o di un gruppo si forma di conseguenza – come direbbe Michelangelo per la scultura – non soltanto con l’aggiungere, ma anche con il “levare”. A costituire la nostra identità contribuisce in misura differente ciò che si ricorda e ciò che si dimentica.

Nella sfera pubblica e in quella privata le commemorazioni servono anche a sottolineare la continuità della propria storia, vincolando le generazioni dei viventi a quelle dei morti. Tale è la funzione degli altari della patria, dei monumenti ai caduti, delle tombe del milite ignoto, delle messe e delle visite a cimiteri e sacrari. Per assurdo queste pratiche per ricordare i defunti sono anche un mezzo per dimenticarli in quanto singole persone, in modo da fonderli con gratitudine in una grande entità che si chiama patria, popolo o famiglia. Ne perpetuiamo paradossalmente la memoria inglobandoli anonimamente nella comunità. Il discorso di Pericle per i caduti della prima guerra del Peloponneso è la più grandiosa illustrazione di un simile atteggiamento. Gli oggetti e le date delle commemorazioni sono spesso controversi. Così, ad esempio, gli americani ricordano il 7 dicembre del 1941, quando i giap-ponesi attaccarono Pearl Harbor, come “il giorno che resterà nella vergogna”, ma dimenticano volentieri – a differenza dei giapponesi – il 6 e il 9 agosto del 1945, allorché lanciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Inoltre, fino a vent’anni fa, si facevano a Mosca file chilometriche per vedere nel suo mausoleo il corpo mummificato di Lenin, mentre oggi non ci va quasi più nessuno.

Tali produzioni di oblio sono sempre esistite. Quando Nerone cadde in disgrazia, la damnatio memoriae assunse la forma della rasura delle epigrafi e della sostituzione della testa delle sue statue con quella di altri personaggi. L’epurazione della memoria e la sostituzione di certe commemorazioni con altre hanno normalmente luogo tutte le volte che cade un regime. Allora succede che chi sopravvive a questi traumi tenda talvolta a modificare i propri ricordi, ad alterarli, a raccontarsi una storia diversa. Ciò non è dovuto soltanto al trasformismo mimetico dei voltagabbana, che pure innegabilmente esiste. Se la scala degli eventi è tanto grande da riguardare milioni di persone, quel che induce a cambiare il passato (e a commemorare diversamente gli eventi) è per molti la difficoltà di ricostruirlo in maniera retrospettiva a partire dalla discontinuità radicale del presente.

La globalizzazione produce oggi una sorta di strabismo, che genera – in maniera simultanea e complementare – processi di integrazione tra culture del pianeta a lungo separate e tentazioni isolazionistiche. Commemorare significa attualmente evitare un doppio pericolo: diluire identità storicamente costituitesi ed esaltare, per converso, la retorica localistica delle “radici” e la miope chiusura nel “territorio”. Il formarsi, che già si annuncia prossimo, di nuove civiltà implica, per un lato, l’intreccio e la fusione di più storie e memorie e, per l’altro, il ricordarsi che non siamo piante e che possiamo e dobbiamo staccarci dal nostro suolo, inventando nuove forme di comunità e, dunque, anche di commemorazione. Queste serviranno da legame, politico e affettivo, per modelli di possibile convivenza in fieri. Per sapere chi siamo è, infatti, necessario ricordarcelo, ma per cambiare noi stessi è altrettanto inevitabile dimenticarlo, per aprirci poi a più larghe forme di vita e di convivenza. Commemorazione Remo Bodei Italianieuropei

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