Eguaglianza

Written by Susanna Camusso Tuesday, 21 June 2011 17:17 Print
Eguaglianza Illustrazione di Guilherme Kramer

Parlare di eguaglianza oggi appare molto difficile. Spesso viene descritta come un concetto antico e superato. Si sente diffidare dell’idea di eguaglianza come se si trattasse di un’ideologia del secolo scorso: un lascito da superare in nome di una modernità non meglio precisata. Invece l’idea di eguaglianza è di grandissima attualità se è vero che l’eguaglianza dei diritti, l’eguaglianza dei doveri, l’eguaglianza di fronte all’autorità dello Stato devono essere quotidianamente esercitate e difese persino nelle democrazie occidentali.


Parlare di eguaglianza oggi appare molto difficile. Spesso viene descritta come un concetto antico e superato. Si sente diffidare dell’idea di eguaglianza come se si trattasse di un’ideologia del secolo scorso: un lascito da superare in nome di una modernità non meglio precisata. Invece l’idea di eguaglianza è di grandissima attualità se è vero che l’eguaglianza dei diritti, l’eguaglianza dei doveri, l’eguaglianza di fronte all’autorità dello Stato devono essere quotidianamente esercitate e difese persino nelle democrazie occidentali.

In qualche caso quei principi da tutti condivisi si coniugano in modi anche molto diversi fra loro: basti pensare a come in certi paesi anglosassoni il diritto alla salute non sia garantito secondo il principio di eguaglianza delle persone, indipendentemente dal censo. In altri casi, è l’applicazione effettiva dei principi di eguaglianza iscritti nelle carte costituzionali a essere negata.

Basti dire delle differenze retributive a parità di lavoro tra uomo e donna o tra diverse aree geografiche dello stesso paese. Oppure del diverso accesso alle opportunità di crescita culturale, professionale ed economica. Quando si dice che l’“ascensore sociale” in larga parte d’Europa è bloccato, si sta esattamente parlando di una grande negazione del principio di eguaglianza.

Certo, se non si vuole ricadere nell’ideologia egualitarista, che è una applicazione deformata e riduttiva del principio di eguaglianza, è necessario declinare e aggiornare per i nostri tempi, a partire dalle nostre aree del mondo, il concetto di eguaglianza e le sue concrete modalità di attuazione. Definire, cioè, come un’eguaglianza di diritti, per essere attuata, debba muovere strumenti e soluzioni anche molto differenti fra loro. Questa, forse, è la sfida più recente e interessante sul tema dell’eguaglianza. Dimenticare i collettivismi, non cedere all’illusione che siano le dinamiche del mercato o le fortune dei singoli gli unici criteri di regolazione dei rapporti sociali.

Il sistema del welfare europeo sembra essere il vero teatro dove si confrontano sia i tentativi di attualizzare i principi dell’eguaglianza sia le tendenze ad abbandonarli. Non sarà certo un caso se l’Europa, culla di un welfare sociale ricco e universale, è anche il continente che ha visto esplodere due rivoluzioni (quella inglese e quella francese) che hanno fatto perno, seppure con effetti diversi, sui concetti di eguaglianza dei cittadini e di “contratto sociale”. Anche se può apparire paradossale, è utile tornare alle origini di quel pensiero: al rapporto che è esistito e ancora esiste tra il concetto di eguaglianza e quello di cittadinanza.

Il concetto di eguaglianza è connesso a quello di universalità. Un diritto appartiene alla singola persona, ma è tale solo se vive nella reciprocità e quindi nell’universalità della sua estensione. I cittadini hanno eguali diritti, pertanto i diritti vanno universalmente riconosciuti a tutti coloro che sono o diventano cittadini. Non è un caso che i conflitti nell’Europa di oggi, fissati i diritti, si sviluppino sul tema della cittadinanza, cioè sull’effettivo grado della loro estensione e capacità inclusiva. A partire dai più elementari diritti politici.

Ma il welfare di oggi è qualcosa di più della diffusione di servizi universali corrispondenti ai diritti di cittadinanza. È sempre più un sistema di trattamenti differenziati (di assistenza, facilitazione, sostegno, reinserimento) rivolti ai singoli cittadini: universale in quanto può essere corrisposto a tutti, ma in misura e finalità diverse a seconda delle esigenze e dei bisogni di ciascuno. I cittadini, si potrebbe dire, acquisita l’eguaglianza sono in grado di accettare e sostenere mutualmente politiche di assistenza selettiva, quasi personalizzata, come è nelle tendenze del welfare più recente.

Il tema si fa complesso e affascinante nei suoi sviluppi. L’eguaglianza produce l’universalità dei diritti, ma le politiche di welfare per attuarli passano necessariamente per soluzioni non uguali. Ma oggi il welfare è attraversato da problemi ben più gravi, che ne mettono in discussione la stessa sopravvivenza. Prima di tutto il limite della sua sostenibilità economica e il rischio che il welfare europeo non riesca a includere le nuove generazioni, a partire dal sistema previdenziale. In questo caso l’eguaglianza di oggi produrrebbe una insopportabile diseguaglianza per la società di domani. Sinora, soprattutto a sinistra, era maggioritaria l’idea che a diritti universali pubblici dovessero corrispondere servizi universali a gestione pubblica. Ma questa impostazione, se estesa a tutto il sistema di welfare, non è in grado di rispondere alla domanda crescente di servizi, soprattutto nella sfera di quelli alla persona. Di fronte a questo tema si contrappongono due tendenze opposte che declinano diversamente l’idea di eguaglianza. La prima vuole ridurre esplicitamente il campo dei servizi pubblici a favore di una sostituzione da parte dei privati. La seconda vuole confermare un forte ruolo pubblico nel sistema del welfare.

È aperta una disputa molto profonda in Europa sulla soluzione da dare a questo problema. Sicuramente vedremo sperimentare forme di welfare differenti fra loro per tradizione politico-culturale e per risorse disponibili. Noi pensiamo che il welfare debba essere universale (proprio perché corrisponde a diritti fondamentali di cittadinanza) e che il garante di questo sistema debba restare il soggetto pubblico. Sia perché rappresenta imprese che sono patrimonio delle città, sia perché incarna i bisogni delle proprie comunità. Garante non vuol dire unico finanziatore e gestore senza partecipazione di privati, ma unico responsabile della sua qualità, della diffusione, dei costi, delle tariffe. In una parola, il soggetto pubblico resta l’unico titolare dei diritti universali di cittadinanza.

Nell’agire di un’organizzazione sindacale, oltre a tutelare i diritti universali di cittadinanza (derivanti dall’idea di eguaglianza fra le persone), si devono rappresentare anche bisogni e interessi. I bisogni, se attinenti alla sfera dei diritti, vanno garantiti universalmente; in caso contrario, essi possono essere migliorati e ampliati, ma non garantiti per tutti. L’istruzione, ad esempio, oggi è un diritto universale riconosciuto, entro certi parametri definiti da ciascuno Stato che quel diritto deve garantire. Fuori da quei parametri è un bisogno importante, ma non universale.

Compito del sindacato è agire con i propri strumenti per soddisfare i bisogni sociali più importanti e avvicinarli il più possibile alla sfera dei diritti, che è sempre determinata storicamente. Per questo sosteniamo l’esigenza di favorire l’istruzione superiore, perché produce un beneficio collettivo oltre che individuale: anche se non è un diritto universale, è un’opportunità che va estesa. È un altro modo di declinare l’idea di eguaglianza.

Fuori dai diritti generali e dai bisogni afferenti a quei diritti esistono gli interessi: collettivi, plurimi, individuali. Gli interessi appartengono ai singoli, spesso sono fra loro antagonisti. Anche quando sono collettivi, non sono mai reciproci e universali. Qui il concetto di eguaglianza si esercita sul diritto sindacale di rappresentare e tutelare quegli interessi e sul diritto di essere rappresentati o di autorappresentarsi da parte dei cittadini. In questo caso sarà il confronto tra interessi diversi a determinare i risultati di tale attività di rappresentanza organizzata. Il sindacato tutela i diritti universali, si adopera perché siano soddisfatti i bisogni collettivi, rappresenta interessi anche di poche persone, sostiene le reti associative di cui condivide gli obiettivi. Nel suo divenire storico è partito dalla tutela di pochi sui luoghi di lavoro per estendere man mano le sue attività dai rapporti di lavoro alla sfera più generale dei bisogni e dei diritti.

Nel far questo, di volta in volta ha allargato i propri spazi di rappresentanza dal lavoro dipendente, al non lavoro, alla cittadinanza. Questo percorso, mai compiuto in via definitiva e assoluta, necessita costantemente di regole democratiche di verifica della propria funzione e del proprio grado di rappresentatività.

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