La questione democratica, una questione per la sinistra

Written by Tarso Genro Friday, 01 September 2006 02:00 Print

Il frondoso albero della democrazia ha fatto crescere poderosi tronchi, rami e germogli. Ha promosso la vita, attraverso i diritti sociali moderni, e la guerra, attraverso le azioni imperialistiche che l’hanno accompagnata. L’Italia, la Svezia, gli Stati Uniti, il Costa Rica, sono esempi di democrazie stabili del dopoguerra, dai quali possiamo trarre conclusioni e insegnamenti. L’insegnamento più importante è comunque che tutte le esperienze che hanno soffocato le libertà politiche e lo Stato di diritto, con governi non legittimati dal voto popolare, sono regredite verso l’arbitrio, la socializzazione del bisogno, o verso regimi burocratici autoritari.

«Hoy la higuera golpea en mi puerta y me convida.
Debo coger el hacha o salir a bailar con esa loca?»

Octavio Paz, «La higuera»

 

Il frondoso albero della democrazia ha fatto crescere poderosi tronchi, rami e germogli. Ha promosso la vita, attraverso i diritti sociali moderni, e la guerra, attraverso le azioni imperialistiche che l’hanno accompagnata. L’Italia, la Svezia, gli Stati Uniti, il Costa Rica, sono esempi di democrazie stabili del dopoguerra, dai quali possiamo trarre conclusioni e insegnamenti. L’insegnamento più importante è comunque che tutte le esperienze che hanno soffocato le libertà politiche e lo Stato di diritto, con governi non legittimati dal voto popolare, sono regredite verso l’arbitrio, la socializzazione del bisogno, o verso regimi burocratici autoritari.

Oggi la democrazia è corrosa dall’interno. Le sue radici tremano. Poteri estranei alle sue istituzioni più care emergono alla sua ombra. Viviamo in un’epoca di guerre di conquista, di manipolazione dell’informazione nell’ambito pubblico, che crea masse passive di cittadini ridotti a spettatori delle opinioni espresse nei media e quasi sempre convergenti. Sono centinaia di milioni, estranei alla società della conoscenza, alla cultura, ai beni del mercato, all’informazione obiettiva. Essi in realtà «soffrono» la democrazia, invece di «usufruire» delle sue conquiste materiali e culturali.

Attualmente, la promozione delle soluzioni belliche alle crisi politiche tra popoli e nazioni si associa ad una crescente riduzione delle possibilità di diffondere opinioni alternative attraverso i mezzi di comunicazione,1 che potrebbero fornire una riflessione meno superficiale sulle cause del dissesto mondiale. Così come è successo, a partire dagli anni Ottanta, con l’egemonia artificiale dei valori del thatcherismo economico, la limitazione del dibattito democratico viene oggi operata dall’autorità di un’opinione sterilizzata e quasi unica, diffusa dai grandi media internazionali.

I media ci dicono che stiamo attraversando una crisi internazionale dovuta alla recrudescenza del terrorismo, ma non veniamo informati delle reali cause del fenomeno. Ci limitiamo a sospettare che sia dovuta ad una asimmetria delle relazioni imposta dagli interessi degli Stati Uniti, nella loro fase più regressiva e violenta.

Questa instabilità nell’egemonia mondiale, la tutela del processo economico attraverso la speculazione finanziaria globale e l’espansione dell’industria bellica, sono all’origine della disfunzionalità della democrazia nell’era moderna. Una diffusa incertezza, elemento fondamentale della vita quotidiana, lo scarso prestigio dei politici, e dell’ambito politico in generale, sono sintomi solo periferici del lento logoramento della democrazia rappresentativa. Creata più di due secoli or sono, non si è mai rinnovata, anche se universalmente la si continua a considerare la struttura più adeguata per attuare l’ideale democratico moderno.

Questo potere mediatico – che in termini culturali non esita a diffondere un’estetica di morte – la forza normativa del capitale finanziario e delle agenzie di rating, le lobby militaristiche, dimostrano l’esistenza di nuove forze di coercizione che sono al di fuori delle istituzioni, ma che sono equiparabili alle forze dello Stato. Tali forze colmano quei vuoti che non sono sostituiti da nuove istituzioni del potere democratico che siano legate all’evoluzione dei tempi; in questo modo, è la forza normativa dei fatti – trasformata in operazione politica – che si sovrappone ai poteri repubblicani.

Il progetto «socialista-proletario» avviato dalla rivoluzione sovietica non ha più vitalità storica e non seduce più. La «crisi fiscale» della socialdemocrazia sta lentamente annullando le principali conquiste sociali, ottenute attraverso il riformismo radicale degli anni Trenta. La civetta di Atena non ha ancora risposto all’epoca moderna e nessuno sa cosa succederà con il progredire del capitalismo trionfante. Come disse Eric Hobsbawn: «cosa rimane ai vincitori?»

Nell’attuale situazione, in tutti i paesi industrializzati, il proletariato teme la disoccupazione a causa della rivoluzione tecnologica in corso; i ceti medi percepiscono forti sentimenti di incertezza per il loro futuro; la «base» si sente abbandonata dalla politica. Emerge così rapidamente una specie di «fascismo sociale» come lo definisce Boaventura S. Santos, attraverso il quale proliferano gruppi che coltivano la violenza come politica «diretta», senza alcuna ideologia formalmente espressa e che rapidamente si trasforma in delinquenza e fascismo.

Le istituzioni non reagiscono. Il contesto globale produce condizioni di disuguaglianza sociale e di apprensione collettiva presso ampi strati della popolazione; tali condizioni favoriscono la comparsa di una cultura politica di «soluzione finale», che crea gli spazi necessari per dare legittimità ad un certo tipo di autoritarismo statale, o che produce situazioni che rendono accettabile un neototalitarismo basato su idee fondamentaliste. Si tratta di un malfunzionamento culturale e istituzionale della democrazia, che si pone come questione politica cruciale per il prossimo futuro. Questo quadro, con le dovute particolarità nazionali e regionali, è più o meno lo stesso nei paesi in cui le istituzioni repubblicane sono oramai viste più come simboli del «deficit» democratico e meno come strumenti per l’affermazione della democrazia e della cittadinanza.

È certo che le forme di riduzione dei diritti di cittadinanza che sono associate a questa crisi saranno basate su di una nuova cultura politica, nel contesto di un nuovo immaginario sociale ancora in evoluzione. Il risultato peraltro potrebbe anche essere diverso: potrebbe trattarsi di una tappa verso un livello superiore di democrazia. La crisi infatti contiene nello stesso tempo elementi che possono rinnovare e dare nuovo impulso alle istituzioni democratiche ed elementi che invece stimolano l’autoritarismo. Ci possono essere in questa crisi tanto tentativi liberali, quanto adattamenti totalitari. Non è ancora chiaro, nei gruppi sociali che hanno capacità di esprimersi nello spazio democratico, il senso delle risposte alla crisi, né quanto il senso delle risposte rientrerà nel razionalismo illuminista o nell’irrazionalismo postmoderno.

Così come lo sviluppo del capitalismo industriale «classico» ha creato le condizioni culturali e materiali che hanno reso possibile la Repubblica, è possibile, tuttavia, che questa nuova tappa dello sviluppo finanziario-speculativo (combinato con la rivoluzione tecnologica digitale in corso) apra lo scenario democratico ad altri e nuovi esperimenti.

I dispositivi tecnologici esistenti – microelettronici, informatici, digitali – possono promuovere due diverse alternative: da un lato, combinando partecipazione democratica diretta e rappresentanza, l’istituzione di nuove forme di controllo sociale dello Stato da parte della cittadinanza; dall’altro, utilizzando a questo scopo l’intero apparato tecnologico disponibile, nuove forme di controllo dello Stato sui cittadini e la comunità. Come si può vedere, la scelta non sarà necessariamente tra il «Soviet elettronico» e il «Grande Fratello».

È chiaro che le due possibilità estreme sono negative. L’anarchia assemblearista sperimenta un ritualismo che tende ad affermarsi solo attraverso la forza, promuovendo così le disuguaglianze. Il totalitarismo porta alla passività, che combina alienazione e resistenza «eroica», che rialimenta, nel potere, i privilegi assicurati dalla forza coercitiva dello Stato. I risultati che si ottengono nei due casi producono sempre più violenza, più imprevedibilità, più frammentazione.

È tuttavia sbagliato pensare che questa polarità sia esclusiva e fatale. La crisi della democrazia formale non sarà necessariamente superata da una destrutturazione della prevedibilità da parte dell’anarchia assemblearista – sia essa «diretta» o «virtuale» – né da nuove forme di totalitarismo. L’esito potrà essere diverso, anche in questa epoca in cui è stata banalizzata la guerra imperialista, che viene considerata come rituale di difesa della democrazia e come forma suprema di controllo politico.

I soggetti della dominazione globale vanno perdendo legittimità e si mantengono solo attraverso la manipolazione dell’informazione (che peraltro non è mai totale) e attraverso la concentrazione del potere economico (che genera enormi resistenze sociali). La difesa degli interessi egemoni, che viene presentata come guerra di difesa contro il terrore o come missione civilizzatrice presso i popoli «esotici», riduce la credibilità dei suoi propositi di «stabilità» e «democrazia».

Il brutale tentativo di disgregazione politica al quale è stato sottoposto il centrosinistra nell’Italia di Berlusconi, la manipolazione dell’informazione che una buona parte della stampa ha fatto ai danni del PT (Partido dos Trabalhadores, partito dei lavoratori), che recentemente è stato infondatamente «criminalizzato» in Brasile,2 le informazioni distorte che sono sempre circolate sul conflitto israelo-palestinese; la demonizzazione di Cuba (combinata con l’assoluzione «preliminare» dell’embargo statunitense), sono alcuni degli esempi che si possono citare.

Essi dimostrano che la formazione di un’opinione pubblica democratica e il rinnovamento delle democrazie devono affrontare nuove sfide. Dalle più semplici alle più complesse. Lo stesso diritto alla libera circolazione dei cittadini (in un mondo nel quale i capitali si spostano liberamente) e il diritto di far circolare nello spazio mediatico idee e opinioni alternative (una concreta libertà di stampa) sono questioni nuove, sulle quali non esistono ancora formulazioni programmatiche definite.

In questa fase è necessario praticare esperienze innovative ed elaborare enunciati coerenti e rinnovatori al fine di ricostruire il progetto democratico, con argomenti che abbiano un potere di convincimento analogo a quello che hanno avuto in passato le idee di Rousseau e di Montesquieu, ricostituendo quindi un ambiente illuminista con altri compiti e nuovi contenuti.

In termini di azione culturale e politica, questo richiede almeno un immediato ed energico sforzo istituzionale per associare le nuove tecnologie informatiche e digitali al rinnovamento e al potenziamento delle istituzioni esistenti, attraverso il voto popolare, il referendum, la consultazione dei cittadini. Non si tratta di un’impresa facile, perché l’attuale cattivo funzionamento della democrazia protegge determinati interessi, anche privati, attraverso una corruzione dilagante.

Il diritto del popolo ad essere consultato su questioni fondamentali per la sua vita presente e futura può già oggi essere trasformato in pratica democratica universale, utilizzando le nuove tecnologie di consultazione e d’informazione che possono essere rese disponibili a tutti i cittadini. Merita di essere ricordato che questo vale per tutte le problematiche importanti, come ad esempio quelle legate al bilancio dello Stato, alla difesa dell’ambiente, alle disuguaglianze salariali nel settore pubblico e privato.

Per quanto riguarda i partiti politici, la domanda principale da porre è la seguente: il partito tradizionale, costituito partendo da un determinato progetto politico per il territorio (anche se, nel caso del bolscevismo, il progetto era legato a concetti mondiali di solidarietà) e, soprattutto, la forma di partito legata alle condizioni della lotta di classe (del capitalismo industriale), avranno la capacità di dare risposta a situazioni nuove tanto complesse?

Tutto sembra indicare che la risposta debba essere negativa. La ricomposizione del soggetto politico in grado di influenzare la nuova realtà deve prendere in considerazione non solo le questioni obiettive della vita quotidiana (dalla fame nel mondo alla solitudine degli anziani), ma anche le nuove sfide morali e culturali del nostro tempo (dalla mercificazione della sessualità infantile, alla femminilizzazione della mano d’opera più sfruttata), fenomeni globali, che trasmettono agli individui e alle famiglie un insieme di nozioni distorte, di desideri non soddisfatti e di negazioni arbitrarie, in alcuni casi istigati dal «dio-mercato», in altri soffocati dal medesimo «dio-mercato».3

Penso che sia in funzione di questa problematica che, in parallelo con la revisione dei progetti socialisti e socialdemocratici, nascono revisioni e riallineamenti legati alla «questione democratica». Non si tratta più solo del funzionamento democratico formale dei «tre poteri» e dell’attuazione dei diritti sociali dei cittadini. Le problematiche che richiedono un partito democratico di tipo nuovo sono molto più complesse.

Questo partito di tipo nuovo – in un mondo che offre un destino che tanto più è comune quanto più è ineguale – sembra dover trovare nelle «nuove questioni democratiche» il fondamentale significato della sua esistenza. Ma, per avere successo, questo partito di tipo nuovo dovrà essere cosciente del fatto di avere a che fare con una realtà mondiale «ostile alla democrazia» e non con una realtà «favorevole alla democrazia», come vorrebbe far credere il mito americano della «democrazia globale» presentato a modello dal mercato dell’informazione.

Mentre la società industriale classica spingeva con forza verso la solidarietà e verso il pensiero rivolto alla collettività, l’attuale società spinge verso l’auto-isolamento e verso la solitudine. Mentre nella società industriale i soggetti visibili erano le classi organicamente legate alla produzione, nella società attuale le classi si disperdono in reti e i loro poteri diventano politicamente più «diffusi», anche se, di fatto, più concentrati nel denaro virtuale. Mentre nella società industriale il contratto politico poteva essere controllato dalle parti contraenti («borghesi» e «proletari» organizzati), nella società attuale qualsiasi concertazione è multipolare e soggetta a shock che possono essere manipolati dall’esterno.

L’esigenza di elaborare risposte ai diversi tipi di esclusione che si possono verificare all’interno dell’ordine democratico (esclusione dal mercato per povertà, esclusione dalla protezione dei diritti per gli «stranieri», esclusione dal diritto di far liberamente circolare le idee, esclusione del cittadino dalle decisioni pubbliche), l’esigenza, ripeto, di elaborare queste risposte e di combinarle con le risposte da dare ad altre esclusioni laceranti di cui soffrono gli uomini nell’epoca post-moderna, potrà essere soddisfatta solo attraverso la concertazione fornita da una ingegneria istituzionale innovatrice. Tale ingegneria dovrà avere per obiettivo strategico il ritorno del regime democratico repubblicano alle sue origini, nell’ambito della sovranità popolare.

Solo questo può essere il senso di un partito democratico non classista, privo di artificiosi toni imperativi e messianici, un partito «nuovo»4 che abbia il coraggio di concordare punti programmatici strategici in comune con un nuovo centro, senza il quale non è possibile governare all’interno di una democrazia. Anche il centro non ha altre prospettive, al di fuori di quella di sottomettersi ai regionalismi oligarchici che rinascono (nei cambiamenti in corso a livello nazionale) e a quelli che sopravvivono (nel relativo ritardo dei paesi emergenti).

Questo partito democratico di tipo nuovo, «neo-illuminista» e «radicalmente repubblicano», potrà far rinascere nella vecchia Europa l’ispirazione popolare che ha reso possibile la più positiva esperienza umana del regime capitalistico: la breve esperienza socialdemocratica. Ricostruirla in nuovi modelli democratici, per resistere alle barbarie della guerra e alle esclusioni, è forse la vera «utopia concreta» di cui parlava il grande Ernst Bloch. In questo modo si potranno, saggiamente, riaprire altre nuove utopie, che da sempre hanno mosso gli uomini a cercare un destino migliore.5

Non si tratta semplicemente di difendere l’ordine democratico, come è successo in altri casi, dalla minaccia di «pronunciamenti» militari o da varie forme di autoritarismo della burocrazia statale. La formazione di nuovi partiti democratici per rispondere a problemi nuovi dovuti all’attuale crisi che attraversa la democrazia è estremamente importante per tentare di salvarla.

Si tratta di salvarla rinnovandola, affermando la rappresentanza politica come un esercizio fondamentale di sovranità popolare e integrandola nelle forme dirette di partecipazione, usandola come fonte della ricorrente esigenza di rilegittimazione. È noto che, nella difesa della democrazia diretta, si è idealizzata la partecipazione cosciente di «tutti», come se questo fosse possibile in qualsiasi tipo di società. In questa nuova combinazione tra partecipazione diretta e rappresentativa – reale e virtuale – quello che viene conservato è l’azione politica di coloro che «erano interessati», azione che viene combinata con la stabilità e la prevedibilità di un ordine costituzionale nel quale sia dominante la rappresentanza politica. In questo modo, si riesce a combinare la rappresentatività popolare stabile con l’interferenza della soggettività di coloro che sono i più consapevoli della società, di coloro che desiderano costruire una sfera pubblica democratica, capace di dare affidabilità alla politica e concretezza alle istituzioni della democrazia moderna.

 

 

Bibliografia

1«D’altra parte, gli intellettuali sembrano morire soffocati dalla sovrabbondanza di questo elemento vivificatore, come se fosse somministrato in overdose. La benedizione sembra trasformarsi in maledizione. Le ragioni di questo mi sembrano essere una informalizzazione della sfera pubblica unita ad una indifferenziazione dei rispettivi ruoli. La concomitante diffusione dell’uso di internet ha amplificato e frammentato le comunicazioni. Ecco perché internet produce, da un lato, un effetto sovversivo nei regimi che attribuiscono un trattamento autoritario alla sfera pubblica e, dall’altro, il collegamento in reti orizzontali e informali indebolisce le conquiste delle sfere pubbliche tradizionali, dal momento che, nell’ambito delle comunità politiche, esse concentrano l’attenzione di un pubblico anonimo e disperso, fornendogli informazioni selezionate in modo che i cittadini possano occuparsi di temi e argomenti debitamente filtrati». J. Habermas, O caos da esfera pública, in «Folha de Sao Paulo, Caderno Mais!», 13 agosto 2006, pp. 4-5.

2 Lo stesso processo si è verificato nella Spagna di Felipe Gonzales. «La democrazia veniva predicata da ex fascisti che, secondo quanto dice Jorge Semprún, mostravano ancora le tracce delle buffetterie, e che vociferavano chiedendo un’integrità della vita politica che solo loro erano in grado di fornire. La campagna venne montata utilizzando evidenti errori del partito allora al governo, per punire con la massima durezza i reati commessi. Quando poi i reati non esistevano, venivano inventati, al fine di screditare tutto quello che, in un modo o nell’altro, coincideva con i simboli e i protagonisti della transizione politica». J. L. Cebrián, El fundamentalismo democrático, Taurus, Madrid 2004, p. 137.

3 «La progressiva scomparsa delle capacità di socializzazione è rafforzata e accelerata dalla tendenza, ispirata dal consumismo dominante, a trattare gli esseri umani come oggetti di consumo e a valutarli in funzione del piacere che possono offrire o in termini di ‘valore monetario’. Nella migliore delle ipotesi, gli altri sono considerati dei compagni nell’attività prevalentemente solitaria del consumo, partner nelle gioie del consumo, che, con la loro presenza e partecipazione, possono intensificare tali gioie e piaceri. In questo processo, i valori intrinseci degli altri in quanto individui (come pure la preoccupazione per la loro sorte e per la loro individualità) stanno scomparendo rapidamente. La solidarietà umana è la prima vittima provocata dal trionfo del mercato e del consumismo». Z. Bauman, Amor líquido. Sobre a fragilidade das laços humanos, Jorge Zahar, Rio de Janeiro 2004.

4 «Non è neanche possibile pensare il partito come un’organizzazione dotata di un mandato ‘imperativo’ fornito da una classe, perché il mandato ‘imperativo’ presuppone che sia stato costituito il soggetto che attribuisce il mandato, mentre, da un lato, la classe non può cambiare il ‘soggetto’ senza perdere la materialità della sua costituzione, e, dall’altro, nella concezione politica moderna, il concetto di mandato ‘imperativo’ è in sé contraddittorio, dal momento che il soggetto che lo attribuisce è già costituito ed è, pertanto, in grado di agire politicamente e non ha quindi bisogno di essere rappresentato; oppure, non è costituito, e allora, non si capisce chi potrebbe dare ‘imperatività’ al mandato dell’eventuale rappresentante ». G. Rametta, Poder e crítica da economia política em Marx, in G. Duso (a cura di), O Poder. História da Filosofia Política Moderna, Vozes, Petropolis 2005, p. 382.

5 «La cittadinanza democratica attribuisce alle differenze di status un marchio di legittimità, sempre che esse non siano troppo marcate e che si verifichino all’interno di una popolazione resa coesa da una medesima civiltà, e sempre che non siano l’espressione di privilegi ereditati; in questo caso, le ineguaglianze risultano tollerabili all’interno di una società fondamentalmente egualitaria, sempre che esse non siano dinamiche e cioè non creino insoddisfazioni e sentimenti del tipo ‘questa vita non è quella che merito’ oppure ‘vorrei che mio figlio non dovesse sopportare quello che ho dovuto sopportare io’». T. H. Marshall, T. Bottomore, Ciudadanía y clase social, Alianza Editorial, Madrid 1998, p. 75.