La sfida della mobilità giovanile in Europa: l'Erasmus universale

Written by Giacomo Filibeck Friday, 08 May 2009 17:50 Print

Incrementare le risorse per promuovere la mobilità, secondo i modelli in essere nell’Unione europea, ed estenderla a tutte le aree di lavoro e scambio tra cittadini europei non solo è il presupposto di una migliore integrazione, ma è necessario per arginare i rischi connessi alla crisi che coinvolge, in varia misura, tutti i paesi dell’Unione.

Sono molti in Europa coloro che conoscono il programma di mobilità per gli studenti universitari che va sotto il nome di Erasmus. Sono molti di meno quelli che invece conoscono il contenuto degli altri programmi di scambio come Leonardo, Socrates o Comenius, senza confonderli il più delle volte con stelle del calcio internazionale. L’Erasmus, anche grazie al successo del film “L’appartamento spagnolo”, fa ormai parte dell’immaginario collettivo europeo, in particolare di quello degli under quaranta. Gli altri strumenti creati in questi anni dall’Unione europea per promuovere la mobilità giovanile in settori diversi da quello universitario faticano invece ad affermarsi come realtà tra i giovani cittadini europei.

Nonostante la fama, l’Erasmus coinvolge una minoranza dei giovani europei, gli studenti universitari, e tra questi solamente un’esigua rappresentanza riesce ad arricchire il proprio curriculum con quest’esperienza.

Consapevole di questi limiti, il commissario europeo per l’educazione e la gioventù, Ján Figel’, ha nominato un gruppo di esperti per dare il via, nel dicembre 2007, al Forum sulla mobilità giovanile. Il compito del Forum, presieduto dalla portoghese Maria João Rodrigues, è stato quello di fotografare la situazione relativa alla mobilità dei giovani garantita dai programmi comunitari esistenti ed elaborare delle proposte per aumentarne la portata. Non solo per l’Erasmus, ma anche per i programmi indirizzati agli studenti medi, per il settore dell’educazione non formale, per il volontariato, per il mondo dell’impresa e anche per l’arte, la musica e lo sport.

Alla fine del giugno 2008 si sono conclusi i lavori del Forum, con la pubblicazione di un rapporto che la presidenza di turno, francese, in procinto di iniziare il suo mandato semestrale, aveva espresso l’intenzione di utilizzare come base per l’elaborazione di una nuova politica per la mobilità da proporre al Consiglio.

Dai numeri riportati nel documento del Forum si evince quanto il quadro sia drammatico. Dei novanta milioni di giovani compresi tra i 16 e i 29 anni di età nei 27 Stati membri, solo trecentomila partecipano annualmente ai programmi di scambio promossi dall’Unione europea. Al di fuori di questa statistica vi sono certamente studenti e lavoratori compresi nella stessa fascia d’età che riescono autonomamente a muoversi nel territorio dell’Unione per ragioni di studio o professionali, ma anche i dati aggregati della mobilità geografica in generale non sono esaltanti. Solo il 18% dei cittadini europei si è trasferito in una regione diversa da quella d’origine; mentre il 4% ha cambiato Stato membro e il 3% si è trasferito al di fuori dell’Unione europea. Se pensiamo agli Stati Uniti, dove almeno il 32% dei cittadini vive in uno Stato diverso da quello della nascita, la differenza è evidente.

Ovviamente gli Stati Uniti e l’Unione europea non sono pienamente comparabili per evidenti ragioni, non ultima la diversità linguistica, ma è innegabile che il dinamismo economico americano (ora in declino ma per altre cause) abbia basato gran parte delle sue fortune proprio sullo strumento della mobilità. Negli Stati Uniti, già dagli anni del college ci si abitua a studiare e a vivere in un contesto diverso da quello d’origine, a considerare per la fine degli studi la mobilità come parte essenziale di una flessibilità professionale intesa in modo virtuoso. In Italia, la flessibilità per le nuove generazioni è divenuta sinonimo di precarietà e la mobilità un lusso per pochi o un obbligo per i migliori talenti che, nonostante tutto, le nostre università continuano a produrre. Eppure i risultati dell’indagine di Eurobarometro del 2006 tra le nuove generazioni evidenziano un dato preciso: il 60% auspica che l’Europa abbia un ruolo più forte nella loro vita quotidiana. Sulla base di questi dati è inevitabile leggere la situazione in termini di critica politica. Chi può permettersi di viaggiare e studiare in Europa e chi ha già acquisito le qualità per competere sul mercato del lavoro comunitario approfitta al meglio del processo d’integrazione. Solo lo 0,4% dei giovani riceve il sostegno istituzionale e finanziario dell’Unione europea per fruire di esperienze formative nello spazio comune. L’Europa delle élite sembra essere già una realtà, mentre quella dei cittadini appare ancora un’utopia. Del resto, se si guardano gli ultimi esiti referendari sul destino delle riforme istituzionali europee, ci si accorge che sia in Francia sia in Olanda e Irlanda il fronte del “no” cavalca la retorica euroscettica con grande disinvoltura. Proprio puntando il dito contro quell’Europa di Bruxelles che rappresenterebbe oscuri poteri invece di difendere gli interessi dei suoi cittadini. Chi invece sostiene le ragioni del “sì” ha l’onere della prova, divenuta sempre più complicata da dimostrare. Parte delle cause del prevalere del “no” nei referendum si trova nell’assenza di quell’esperienza diretta dell’integrazione europea che proprio i programmi di mobilità potrebbero garantire. Vivere l’Europa sulla propria pelle, studiare in un altro Stato, fare un’esperienza da stagista presso un’amministrazione locale o un’impresa, promuovere la propria creatività culturale e artistica in paesi dove si parla un’altra lingua, può rappresentare una soluzione al problema della creazione di un’identità europea comune. Il Forum, guardando ai primi sviluppi della crisi finanziaria globale, ha individuato nella mobilità lo strumento più idoneo per rendere più competitiva l’economia del continente. Comunicare in più lingue, maturare un’apertura mentale verso l’altro, studiare e lavorare cooperando nella diversità culturale, sono qualità che facilitano innovazione e ricerca in un sistema europeo caratterizzato sia dalla tendenza all’invecchiamento della popolazione che a quella dei metodi produttivi.

Le conclusioni indicate nel Forum hanno evidenziato le difficoltà della realtà politica europea, proponendo soluzioni concrete. Gli esperti hanno riconosciuto come prioritaria la mobilità, al fine di costituire una più chiara revisione di medio termine delle prospettive finanziarie 2007-13. Alla richiesta di iniziare da subito questa revisione, ritoccando il bilancio per il 2009, l’allora presidente del Consiglio europeo Nicolas Sarkozy ha preferito soprassedere per non correre il rischio di un insuccesso durante il semestre di presidenza francese. Il 18 dicembre 2008 è stato approvato il bilancio per il 2009, pari a 133,8 miliardi di euro, che prevede l’1,1% di spesa per l’istruzione e la formazione.

I cechi hanno raccolto dal 1° gennaio 2009 il testimone da Parigi, ma non sembrano intenzionati ad approfondire il tema.

La famiglia socialista europea invece intende approfondirlo. A Madrid, il 2 dicembre scorso, è stato adottato al Consiglio del Partito Socialista Europeo (PSE) il Manifesto elettorale per le prossime europee di giugno. Delle settantuno proposte presentate come base programmatica del futuro gruppo parlamentare a Strasburgo la numero otto (primo capitolo “Rilanciare l’economia e prevenire nuove crisi finanziarie”) assicura l’impegno per aumentare le risorse per la mobilità nel bilancio.

È stato il movimento giovanile (ECOSY-Young European Socialists) del partito a inserire un emendamento in questa direzione. Si è deciso che a caratterizzare la presenza dei socialisti nella campagna elettorale sarà un’iniziativa che va sotto il nome di Universal Erasmus. Universale perché tutti coloro che desiderano accedere ai programmi di mobilità e scambio possono farlo, e perché lo si può fare in tutti gli ambiti della vita giovanile, non solo in quello universitario. Per raggiungere un obiettivo di tale portata è evidente la necessità di rivedere il bilancio comunitario per aumentare le risorse nel relativo capitolo di spesa. Questo primo passo, però, è condizione necessaria ma non sufficiente.

C’è bisogno infatti di un cambiamento radicale nel sistema del finanziamento della mobilità giovanile europea. Anche sulla base della riflessione operata in seno al Forum dagli esperti è fondamentale che vi sia una pluralità di attori coinvolti nel sostenere un nuovo modello di mobilità. Istituzioni europee, governi nazionali, amministrazioni locali e settore privato devono concorrere alla realizzazione di questo disegno.

Oltre a battersi per la revisione del bilancio sarà allora necessaria la creazione di un fondo europeo per la mobilità partecipato dalla Banca europea per gli investimenti, le banche private e le fondazioni. Il fondo avrà il compito di erogare una sorta di “prestito d’onore” ai richiedenti. Inoltre concorreranno anche i territori, in particolare quelli transfrontalieri, che in sinergia con le amministrazioni locali e il mondo delle imprese ospiteranno i giovani di altri paesi che opteranno per gli stage di formazione o per un servizio civile di volontariato. Infine, verrà richiesto ai governi di istituire un fondo nazionale per promuovere la mobilità dei giovani meritevoli e svantaggiati economicamente.

Un progetto così concepito può essere finalizzato nei dettagli e promosso dall’unica istituzione democraticamente rappresentativa dei cittadini europei: il Parlamento, assemblea che, secondo il Trattato di Nizza e, ancor più se dovesse entrare in vigore, quello di Lisbona, avrà oltretutto un potere sempre più incisivo in materia di bilancio.

Diventa allora cruciale imporsi alle prossime elezioni europee di giugno, in Italia e in Europa, insieme ai partiti che fanno capo al PSE.

È il PSE infatti, insieme con il gruppo parlamentare, a perseguire da anni con più determinazione di altri partiti europei l’obiettivo di diventare un vero attore politico e non solo la somma di tanti, e a volte distanti, partiti nazionali come è invece il Partito Popolare Europeo. La strada è ancora lunga, ma essere riusciti ad adottare il manifesto elettorale già a dicembre, quando le altre formazioni politiche lo stavano ancora stilando, è un ottimo segnale. Significa che, pur essendo consapevoli che quelle europee rimangono prima di ogni cosa delle elezioni di carattere nazionale, si ha comunque l’ambizione di voler rappresentare un’alternativa credibile all’attuale maggioranza di centrodestra, a Strasburgo e tra i governi degli Stati membri. Questa credibilità si conquista solamente comunicando una visione unitaria dell’Europa, costituita di proposte concrete che possano migliorare la vita di tutti gli europei.

Il Partito Democratico potrà trarre forza dalle idee, come questa sulla mobilità dei giovani, che animano il Manifesto del PSE. Emergerà così nel confronto con gli altri partiti la concretezza di una visione sul futuro dell’Unione europea. E presentare agli elettori delle proposte specifiche, indirizzate in particolare a investire sulle nuove generazioni, potrà portare non solo ad aver un buon risultato come partito, ma anche a dare un nuovo slancio all’azione politica dell’area progressista europea nei prossimi cinque anni.