I nodi irrisolti del Piano casa

Written by Luciano Caffini Thursday, 02 July 2009 18:00 Print

L’approvazione del Piano casa da parte del governo lascia irrisolte diverse importanti questioni. Manca ancora, infatti, una legge per il governo del territorio fondato sulla collaborazione fra Stato, Regioni ed enti locali; così come sono assenti provvedimenti efficaci in materia di politica abitativa in grado di soddisfare una domanda inconciliabile con le attuali condizioni di mercato.

L’esplosione della crisi immobiliare ha avvertito il mondo dell’arrivo della crisi finanziaria nella quale attualmente ci troviamo.

Tuttavia, tarda a prodursi nel nostro paese un adeguato giudizio sui caratteri dello sviluppo edilizio dell’ultimo decennio in Italia e sul fabbisogno di regole che puntino per il futuro a contenere gli eccessi: eccessi sui prezzi, eccessi nella concessione del credito, eccessi nell’occupazione del territorio.

Il fabbisogno di norme è emerso nel confuso dibattito degli ultimi mesi sul Piano casa, un indistinto concetto che, nella comunicazione, includeva tutto. In realtà vanno regolamentati aspetti diversi. Serve una legge nazionale sul governo del territorio, che dovrebbe esprimere il massimo della coesione e della collaborazione istituzionale tra Stato, Regioni ed enti locali. Le competenze regionali in materia urbanistica sono state attuate con grande creatività e hanno prodotto norme diverse e contraddittorie.

Serve un Piano casa che corregga, con politiche abitative efficaci, una parte dell’offerta abitativa a condizioni non di mercato. Il Piano casa c’è, è stato approvato, ed è urgente che parta la sua fase attuativa, che potrebbe svolgere anche una funzione anticongiunturale.

Serve un progetto di valorizzazione del patrimonio residenziale pubblico che rimuova l’idea della vendita generalizzata, forse suggestiva per i presunti effetti economici positivi, ma alquanto difficile da praticare e sicuramente discutibile per le reali conseguenze che potrebbe avere sull’offerta di alloggi per le categorie socialmente ed economicamente più deboli.

Dunque sono evidenti le tensioni, sia dal punto di vista ambientale e urbanistico sia da quello economico e sociale, che vanno affrontate con riferimenti normativi adeguati e senza sottovalutare quanto una caduta troppo protratta nel tempo del settore delle costruzioni e degli investimenti immobiliari possa colpire le imprese e i lavoratori del comparto e compromettere una percentuale rilevante di PIL. Perdurando la situazione attuale, molte abitazioni rimarranno invendute e nel contempo molta domanda rimarrà insoddisfatta perché non troverà condizioni compatibili con i redditi di tante persone e famiglie. Le case in vendute costano comunque troppo e le banche hanno ridotto drasticamente i finanziamenti prima generosamente proposti per percentuali vicine al 100% del prezzo. Sono i giovani a soffrire di più per queste condizioni del mercato, costretti a rinviare i loro progetti di vita.

Come correggere una parte della produzione abitativa?

Il bisogno più acuto, il bisogno sociale legato al reddito non può che basarsi su un patrimonio pubblico ben gestito ma comunque sostenuto da una spesa pubblica importante.

Il bisogno di case in affitto a canone moderato (almeno dimezzato rispetto a quello di mercato) può essere soddisfatto con forme di partenariato pubblico- privato. Un’idea non nuova è stata proposta nel 2000 dal Programma di finanziamenti statali “20.000 case in affitto”, con contributi attorno al 40% del costo. Un’opportunità che le cooperative hanno utilizzato con successo, producendo oltre tremila alloggi. È un modello di cofinanziamento difficile da replicare per effetto della contrazione strutturale di spesa pubblica per il settore.

Rimane la strada dei fondi immobiliari etici, che le cooperative stanno prendendo in serio esame. Il modello è basato sulla promozione di progetti residenziali frutto innanzitutto del partenariato tra privati (cooperative e imprese). I progetti vanno collocati su aree la cui incidenza di costo sia quasi nulla: cosa possibile se la negoziazione urbanistica riconosce l’esigenza di concertare gli interessi introducendo la dotazione di aree a servizi abitativi come prioritaria al pari di altri servizi di interesse generale.

È probabile che dalla concertazione si rilevi necessaria la rinuncia ad altre dotazioni urbane che, in tempi di alti valori immobiliari, erano possibili.

In questa ipotesi i privati, le cooperative, devono avanzare soluzioni che contemplino percentuali ragionevoli di volumetria (la ragionevolezza è traducibile in percentuali da ricavare caso per caso) per abitazioni da proporre in affitto. Ai privati compete lavorare sui costi di costruzione e sulla sostenibilità ambientale.

Sono comportamenti più facili per le cooperative che operano sistematicamente su presupposti di limited profit (o comunque profitto non distribuibile ma destinato al patrimonio intergenerazionale) ma nessun operatore può tirarsi indietro.

La costituzione di fondi immobiliari etici – sul modello di quelli promossi a Milano dalla Fondazione Cariplo e a Roma da un gruppo di cooperative di Legacoop – i cui quotisti promotori siano le cooperative e le imprese, per realizzare progetti coerenti con le linee quadro del Piano casa, potrà gettare le basi per attrarre investitori istituzionali quali la Cassa depositi e prestiti e le fondazioni bancarie, ma anche altri investitori (banche, Province, Comuni ecc). Fattore di successo di tali progetti sarà quello di proporre un modello che rassicuri gli investitori dal punto di vista della gestione dei canoni e della qualità del property. È chiaro che il successo di questi progetti sta nella condivisione da parte di Regioni, Comuni e privati prima, di Cassa depositi e prestiti e delle fondazioni bancarie poi. Sarà inoltre necessario ricorrere a tutte le compensazioni disponibili: quella urbanistica che renda praticabile la destinazione di aree dedicate; quella finanziaria che si basi su aspettative etiche di remunerazione dei capitali investiti; quella fiscale che riduca il peso della fiscalità.

Per le cooperative si tratta di uno sforzo importante, che le vedrà impegnate in tutte le fasi del progetto: la promozione immobiliare, la progettazione dei fondi, la gestione degli utenti. Il modello è replicabile su aree pubbliche dei Comuni o del demanio messe a bando per attrarre proposte concorrenziali di interesse pubblico-privato. Le esperienze lanciate con successo dai Comuni di Milano e di Parma dimostrano che un’operazione del genere è possibile.

Ci siamo posti l’obiettivo di realizzare in dieci anni 30.000 alloggi che rispondano a criteri di rispetto dell’ambiente, attivando collaborazioni tecnico professionali di eccellenza. Il punto di forza tradizionale della gestione degli utenti darà il valore aggiunto della “costruzione di comunità” che tante buone pratiche hanno proposto nel passato ad opera delle cooperative a proprietà indivisa o mista.