La politica e i rischi del futuro

Written by Daniel Innerarity Thursday, 08 October 2009 19:54 Print

Come è possibile che i nuovi strumenti matematici non siano stati in grado di dare l’allarme sulla crisi economica che si stava avvicinando? La ragione, pro­babilmente, sta nel fatto che alle loro misurazioni viene attribuita un’esattezza di cui sono carenti.

La politica è un’attività inesatta poiché fa riferimento al governo di un complesso sociale. Non poche decisioni politiche vengono adottate grazie al parere di quanti si affidano a certezze settoriali o a propri modelli teorici, i cui calcoli, però, a livello sociale, sono inesatti. Si pensi, ad esempio, alla chiusura di una centrale nucleare o all’esigenza di regolare i mercati finanziari. Le decisioni che hanno a che vedere con i rischi ecologici o monetari richiedono una visione d’insieme che può essere data soltanto, nel migliore dei casi, a partire da una prospettiva politica. Certamente nei processi decisionali non devono mancare né il giudizio degli esperti, né l’attenzione agli interessi particolari, ma la decisione non può essere altro che politica, perché è politico ciò che si pratica quando si è terminato di fare calcoli e continua a non essere chiaro il da farsi.

Una domanda, dunque, si impone in maniera inquietante in relazione all’attuale crisi economica. Com’è possibile che il miglioramento dei modelli di analisi del rischio non sia servito a prevenire un esito tanto catastrofico? Si potrebbe pensare che la causa della mancata previsione della crisi sia dovuta al fatto che non si siano calcolati correttamente i rischi futuri. E tuttavia, se fosse esattamente il contrario, ossia che una delle cause della crisi fosse l’illusione dell’esattezza, la fiducia nel fatto che i calcoli matematici non abbiano limiti nella capacità di stabilire i rischi futuri? La crisi economica è scaturita da conteggi e misurazioni che presupponevano una precisione che non erano in grado di garantire.

Occorre una vera e propria rivoluzione epistemologica per abbandonare l’illusione di poter vivere in un mondo totalmente calcolabile, risultato dall’applicazione illimitata del modello scientifico – ereditato dalle scienze naturali – alle realtà sociali. Questo modello deve la sua esattezza al fatto di misurare realtà oggettive, esterne al soggetto, ma risulta molto limitato nel momento in cui occorre calcolare comportamenti umani, come quelli inerenti al sistema finanziario, il quale non è un qualcosa di esterno alla società o controllabile attraverso il sapere e la tecnologia, ma è il risultato della somma delle azioni umane. I calcoli probabilistici creano numerosi problemi quando riguardano i comportamenti umani, come nel caso dei mercati finanziari nei quali si riflettono opinioni, aspettative e paure tali che non possono essere trattati come grandezze oggettive. Per questo la scienza economica deve essere annoverata tra le scienze umane: una scienza non esatta, in cui non vi è separazione tra il soggetto e l’oggetto della ricerca.

Si sono analizzati i rischi sottovalutando il fatto che l’elemento in essi decisivo fosse il significato, il senso. È un errore gestirli come se si trattasse di una realtà fisica, disconoscendo che la soggettività si infiltra in tutte le relazioni sociali. Questa prospettiva epistemologica è estremamente importante. La maggior parte dei rischi ha una componente soggettiva che si fonda su un’interpretazione dell’economia. Confidare nella valutazione dei rischi prestata dall’opinione generale (come si fa quando li si introduce nel mercato) è illogico, in quanto la maggior parte di coloro che intervengono nel mercato basa le proprie decisioni sulla matematizzazione fatta dalle agenzie di rating e, pertanto, non apporta nulla alle carenze di comprensione di ciascun rischio. Detto in altri termini: nell’economia liberale di mercato non esiste razionalità in materia di rischi, tranne che in situazioni perfettamente calibrate e statisticamente determinate. La crisi dei subprime ha avuto questa conseguenza: mostrare che è un errore applicare alcune convinzioni del libero scambio a beni astratti che includono un’interpretazione del futuro. Il mercato non gioca bene il ruolo di soggetto deputato a interpretare i casi dubbi.

In materia di finanze, i limiti della modellizzazione probabilista sono ogni giorno più evidenti. Dato che i prodotti derivati, ad esempio, sono basati su altri strumenti finanziati e a volte combinano vari rischi addizionali, il potenziale di perdita non può essere completamente misurato. Risulta impossibile mettere tra loro in relazione tutti gli elementi rilevanti ai fini del rischio, il che rende estremamente difficile dare consigli in merito ai rischi delle operazioni.

I calcoli matematici, nonostante le precauzioni metodologiche, hanno una tendenza che si potrebbe definire innata a dissimulare l’ignoranza. Non siamo in condizione di quantificare realmente i rischi connessi al mercato, alla liquidità e, men che meno, quelli dovuti all’errore umano o a una modifica delle regole. La matematizzazione è corretta solo nei processi in cui l’interpretazione riveste un ruolo marginale, e non è questo il caso dei mercati finanziari. Per lo stesso motivo, le valutazioni fatte dalle agenzie di rating circoscrivono il rischio e ne omettono la natura interpretativa. Ed è per questa ragione che far sì che le agenzie siano più indipendenti non cambierà nulla, se non si modifica la propria concezione circa la reale natura dei rischi finanziari.

L’illusione che fosse possibile misurare esattamente i rischi ha alimentato un altro sogno: che si potesse minimizzarli. L’idea di un “rischio senza rischio” è l’ideologia che sostiene la matematica finanziaria che è all’origine della crisi attuale. La crisi finanziaria è in buona misura conseguenza di una serie di strumenti finanziari che si sono sviluppati per garantire nuove forme di sicurezza, strumenti che, si diceva, fossero poggiati su sicuri calcoli del rischio. Ciò che è ora chiaro è che tali calcoli e pronostici non sono solamente inesatti, ma anche, in certe occasioni, pericolosi.

Mai, fino a oggi, le società sono state tanto dipendenti dai metodi di calcolo del rischio e mai è stata tanto evi dente la fragilità di questi calcoli. L’elaborazione di modelli matematici sofisticati fa il paio con l’evidenza che la complessità dei sistemi sociali non può essere ridotta del tutto da nessun modello. È illusorio pensare che il rischio, anche il rischio finanziario, possa dissiparsi completamente. Anche se le banche non sono dei casinò, come amano dire certi demagoghi, hanno con questi in comune il fatto di non essere totalmente immuni alla casualità. Le transazioni del sistema finanziario globale si basano su pronostici estremamente insicuri; il mercato conosce volatilità le cui dimensioni non possono essere né previste, né eliminate. Un requisito fondamentale per la gestione adeguata dei rischi è la comprensione che il rischio non è un elemento oggettivo, ma dipende da una lettura della situazione fatta da chi tenta di prevenirlo o di prendere la miglior decisione possibile. Le valutazioni del rischio collettivo sono fondamentalmente politiche. È impossibile giudicare obiettivamente i vantaggi e gli svantaggi di una determinata tecnologia, giacché tali valutazioni dipendono da principi politici. Ciò è dovuto al fatto che le valutazioni del rischio vengono fatte in funzione del futuro che si desidera o che si teme, il che costituisce una questione eminentemente politica. Una delle riflessioni che, senza dubbio, dovrà essere affrontata nei prossimi anni riguarda proprio il come far fronte alle sfide che derivano da quanto si è detto finora. Manca, infatti, un’analisi più approfondita del concetto di rischio e delle procedure per gestirlo collettivamente in accordo con le regole democratiche e conformemente al sapere disponibile.

Come valutare i rischi quando la loro stessa esistenza è incerta? Quali decisioni occorre assumere in presenza di un rischio debole o non quantificabile, ma le cui conseguenze potrebbero essere molto gravi?

Ciò che deve essere anteposto a tutto è la stima collettiva del rischio tollerabile. I rischi devono essere misurati e gestiti con criteri sociali e politici. Tanto in materia di copertura dei rischi finanziari, come nel caso dei rischi sanitari o ecologici, solo il dibattito pubblico e la sua traduzione in regole condivise possono garantire una cornice di riferimento. E neppure i detentori ufficiali della certezza matematica possono risparmiarci questo dibattito.