Riconciliarsi con Dio per riconciliarsi con gli uomini

Written by Cardinale Francis Arinze Monday, 01 April 2002 02:00 Print

Parlare di riconciliazione oggi, in un periodo in cui è esplosa la violenza nelle forme più sorprendenti, impensate e crudeli che tutti abbiamo di fronte agli occhi, può suonare ingenuo, utopistico e velleitario. Il Mysteriurn iniquitatis, la volontà di morte e la cultura della vendetta, sembrano avere il sopravvento. L’umanità è stordita e impaurita. All’inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, dopo il Grande Giubileo dell’anno 2000 in cui sono stati celebrati segni di pacificazione e di speranza per l’umanità, sotto l’energica e profetica spinta di Giovanni Paolo II, ci si attendeva una svolta nella storia cristiana e umana. Ed invece abbiamo vissuto giorni di angoscia e di terrore che hanno coinvolto, attraverso l’amplificazione dei mass media, l’intera umanità da un capo all’altro della terra.

 

Parlare di riconciliazione oggi, in un periodo in cui è esplosa la violenza nelle forme più sorprendenti, impensate e crudeli che tutti abbiamo di fronte agli occhi, può suonare ingenuo, utopistico e velleitario. Il Mysteriurn iniquitatis, la volontà di morte e la cultura della vendetta, sembrano avere il sopravvento. L’umanità è stordita e impaurita. All’inizio di un nuovo secolo e di un nuovo millennio, dopo il Grande Giubileo dell’anno 2000 in cui sono stati celebrati segni di pacificazione e di speranza per l’umanità, sotto l’energica e profetica spinta di Giovanni Paolo II, ci si attendeva una svolta nella storia cristiana e umana. Ed invece abbiamo vissuto giorni di angoscia e di terrore che hanno coinvolto, attraverso l’amplificazione dei mass media, l’intera umanità da un capo all’altro della terra. Un sentimento di impotenza assale le persone semplici e coloro che prendono a cuore le sorti della storia umana e delle future generazioni. L’odio, infatti, si radica nel cuore e nella coscienza di popoli e nazioni in attesa della rivincita e pronte per la rappresaglia. Pur considerando tutto il bene che esiste e si realizza nella quotidianità in tante persone anonime, di fronte al dolore del mondo e allo scempio di vite umane, possiamo forse dire come Pietro dopo la notte di pesca risultata vana: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» (LC 5,5). E tuttavia, dallo stesso brano del Vangelo possiamo trarre l’esempio del non arrendersi mai fatalisticamente ad una logica deterministica del dato storico, fondando la nostra fiducia e quindi il nostro discorso e la testimonianza che ne segue, affermando con l’Apostolo «sulla tua parola getterò le reti». È l’invito che Giovanni Paolo II ha rivolto alla Chiesa all’inizio del terzo millennio della nostra era; «Duc in altum» (5,4- NMI 1).

Parlare di riconciliazione, pertanto, per noi che crediamo nella potenza di Dio («Nulla è impossibile a Dio» LC, 37), è un dovere che scaturisce dalla fiducia in Lui, il Dio fedele, amante della vita (SAP 11,26), clemente e misericordioso. Parlare di riconciliazione e annunciarla al mondo è, inoltre, una priorità e urgenza del tempo presente, che c’impone di sollevare in alto lo sguardo. Dice il salmista: «Alzo gli occhi verso i mondi, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra» (SAL 121 [120], 1-2). Questa fede ci sospinge a invocare Colui che unicamente può «rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (LC 1,79).

Come uomini ispirati dalla Parola di Dio abbiamo perciò il compito di contrapporre al paventato «scontro tra civiltà» l’incontro tra civiltà riconciliate. È doveroso per me ricordare in questo luogo, accanto alla tomba di S. Francesco, il suo esempio antico e tuttora attuale del modo come egli si è presentato in tempo di lotte e di crociate al Sultano d’Egitto Melek el Kamel, e la regola data ai suoi frati che si sarebbero recati presso i musulmani (Fonti francescane) improntato a rispetto e dialogo. Un altro personaggio, filosofo, teologo e umanista, Nicola Cusano, nel 1453, l’anno della sanguinosa occupazione militare di Costantinopoli per opera di Maometto II, quando in Europa si prospettava una reazione armata per liberare la città capitale dell’impero cristiano d’Oriente, scrisse il De pace fidei, invitando ebrei, cristiani e musulmani al dialogo sulla verità dell’unico Dio e sulla concordia tra le varie religioni nella prospettiva dell’unica fede.

Sulla base di queste premesse è avvenuta la sorprendente ispirazione profetica di Giovanni Paolo II che si è realizzata in quell’evento del 27 ottobre 1986, caratterizzato dalla preghiera delle religioni per la pace e della loro presa di responsabilità verso la pace dei loro popoli, evento che si è rinnovato, questa volta ingrandito, il 24 gennaio 2002. Secondo quello che è stato definito lo «spirito di Assisi». Esso non è altro che il riconoscimento del dono dell’unico Dio, fondamento della speranza di riconciliazione e di pace tra gli uomini. Convocare le religioni per invocare la pace nello «spirito di Assisi» è il gesto concreto che attesta la convinzione profonda e, se si vuole, problematica e sofferta da parte degli umanesimi chiusi alla trascendenza, che «la riconciliazione con Dio è fonte di amore tra gli uomini». È Dio, infatti, che solo ha il potere di cambiare il cuore e la mente degli uomini e di donare i beni che l’uomo da solo non si può dare. È da lui che attendiamo un bene che supera le forze della natura e della condizione umana soggetta al peccato e dominata dall’istinto dell’egoismo e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Non si dà riconciliazione tra gli uomini se non si è in pace con il proprio Creatore e Signore. In tutte le religioni si educano i fedeli a fare preghiere ed esercizi per abbattere quel nemico interiore che è l’egoismo, che si espande dalla persona ai gruppi e alle comunità umane tribali, nazionali e si esplica in strutture e strumenti di peccato e di morte. A Dio, nell’umiltà di riconoscersi creature deboli e ferite, gli uomini devono confessare le proprie colpe per rigenerarsi a vita nuova. Tutti abbiamo peccato. Paolo afferma categoricamente: «tutti sono sotto il dominio del peccato» (RM 3,9) e Giovanni ammonisce: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1GV 1:8). Chi è senza peccato scagli la prima pietra (GV 8,7). E tutti siamo chiamati a considerare la trave che abbiamo sul nostro occhio, prima di indicare la pagliuzza che è nell’occhio del fratello (MT 7,3).

La Chiesa cattolica durante il Concilio ha chiesto perdono a Dio per le colpe commesse dai suoi membri in epoche storiche diverse. Nessuno si deve sentire escluso dal riconoscimento delle proprie colpe, individui, nazioni, religioni e civiltà. Solo partendo da tale riconoscimento e assunzione di colpa, che per una concezione laica e secolarizzata può significare semplice autocritica, si può intraprendere un cammino di riconciliazione. Noi cristiani, insieme ai fratelli ebrei e musulmani, crediamo che Dio è pronto a perdonare e usare misericordia (clemente e perdonatore), pronto ad accogliere il ritorno del figlio che si era perduto abbandonando la casa paterna e ad offrire una nuova alleanza (EZ 11, 19-20). Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (EZ 18,22; 33,1 1). Nella storia delle religioni e i nei loro riti gli uomini ricercano un equilibrio e un patto di pace con la Potenza divina. In particolare la storia della salvezza rivelata nella Bibbia esalta la ricerca che Dio fa dell’uomo perché non vada perduto. Da Lui, per la fede cristiana, abbiamo ricevuto la riconciliazione per mezzo di Cristo morto per noi (ROM 5,8 - 1 1). Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo ed ha affidato a noi il ministero della riconciliazione (2 COR 5, 18 ss.). Cristo ha fatto «dei due un popolo solo» (EF 2,14) e contesta con la sua croce la permanenza della divisione tra cristiani e in generale tra gli uomini per motivi di nazione, razza, cultura, condizione sociale (GAL 3,28).

Nello stesso tempo non si può essere in pace con Dio se non si è riconciliati con i fratelli. Il riconoscimento di fraternità con tutti gli uomini da Dio creati a sua immagine e da lui amati come figli è condizione di pace con Dio: «Se stai portando la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (MT 5,23-24). Già il profeta Isaia, con parole di forte drammaticità contesta l’ipocrisia di colui che presume onorare Dio con mani e cuori impuri: «Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue» (IS 1, 1 5; CF 58,1 SS). La Bibbia, nel libro della Genesi ci indica anche un modello e un metodo di riconciliazione narrando l’incontro dei due fratelli amici nemici, Giacobbe ed Esaù. Anche se dettato più dal timore che dall’amore fraterno, si ricompone la fraternità spezzata e trasformata in promessa di vendetta da parte di Esaù contro il fratello che lo aveva soppiantato nella primogenitura. Giacobbe invia prima dei messaggeri con l’incarico di portare un messaggio in cui Giacobbe chiama il fratello «mio signore Esaù» e invoca la sua benevolenza (GN 32, 4-5). Si consiglia con il Signore e lo prega perché l’incontro avvenga nella comprensione e nella pacificazione. Poi invia dei doni, manda avanti i figli e le mogli e infine si presenta con umiltà offrendo il suo dono. I due si abbracciano (GN 33). La riconciliazione è stata ottenuta come dono di Dio, ma anche quale frutto di umiltà, prudenza e accortezza.

Un recente richiamo di Giovanni Paolo II che si ricollega rettamente al tema della nostra riflessione è venuto dal messaggio per la Giornata mondiale della pace 2002, dove si afferma che non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono. Può sembrare paradossale, ma il messaggio insiste su questo punto: «il perdono non è contro la giustizia, ma soltanto contro la vendetta». E pertanto la riconciliazione oltre a fare la pace contribuisce anche a realizzare la giustizia nel senso alto del termine, quella che piace a Dio che «giustifica» attraverso la misericordia e il perdono. Sempre Giovanni Paolo II, nel discorso fatto all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha affermato: «È nella condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale si va prospettando nella società del nuovo millennio, che tale dialogo è importante anche per mettere un sicuro presupposto di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi nella storia dell’umanità». Il nome dell’unico Dio deve diventare sempre di più, quale è, un nome di pace e un imperativo di pace (NMI n 55). Sappiamo, e lo sperimentiamo ogni giorno, quanto sia difficile raggiungere questo fine. Comprendiamo, infatti, che la pace non sarà il risultato dei nostri sforzi. Non è qualcosa che il mondo può dare. È un dono del Signore. Per riceverlo dobbiamo disporre il nostro cuore. Quando nascono conflitti, la pace può essere soltanto il risultato di un processo di riconciliazione e ciò richiede sia umiltà sia generosità («Osservatore Romano» 10 novembre 2001).

Voglio concludere con una pagina di Paolo ai Romani, che, scritta per i cristiani, penso possa essere condivisa, almeno nelle sue linee essenziali, da tutti coloro che hanno a cuore la riconciliazione e la pace tra gli uomini. In essa sono presenti le coordinate interiori, di natura religiosa ed etica che hanno una forte risonanza nella realtà sociale. «La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri, con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate gli stessi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rom. 12, 9,21).