I sentieri del socialismo spagnolo

Written by Joaquìn Almunia Saturday, 01 June 2002 02:00 Print

Dopo più di dodici anni alla guida del governo, il PSOE è stato sconfitto dal Partito popolare di Aznar nel marzo 1996. Fino a quella data, noi socialisti spagnoli avevamo condotto la Spagna democratica verso un pieno inserimento nel contesto europeo e occidentale, senza che la nostra opinione pubblica fosse contagiata dal paradigma neoliberale imperante. Quel periodo coincise con la forte offensiva ideologica incoraggiata dai dogmi di Reagan e Thatcher, ma gli elettori spagnoli sembravano immunizzati di fronte a questi rischi. Paradossalmente, proprio noi che avevamo resistito alla valanga conservatrice non abbiamo fatto in tempo ad adeguarci ai cambiamenti che si sono prodotti nella seconda metà degli anni Novanta.

 

Dopo più di dodici anni alla guida del governo, il PSOE è stato sconfitto dal Partito popolare di Aznar nel marzo 1996. Fino a quella data, noi socialisti spagnoli avevamo condotto la Spagna democratica verso un pieno inserimento nel contesto europeo e occidentale, senza che la nostra opinione pubblica fosse contagiata dal paradigma neoliberale imperante. Quel periodo coincise con la forte offensiva ideologica incoraggiata dai dogmi di Reagan e Thatcher, ma gli elettori spagnoli sembravano immunizzati di fronte a questi rischi. Paradossalmente, proprio noi che avevamo resistito alla valanga conservatrice non abbiamo fatto in tempo ad adeguarci ai cambiamenti che si sono prodotti nella seconda metà degli anni Novanta. Siamo passati all’opposizione poco tempo prima che le vittorie quasi simultanee dell’Ulivo, Blair, Jospin e Schroeder portassero a una profonda modifica della scena politica europea in senso socialdemocratico. A partire da quel momento, e per vari anni, è stato Aznar a trovarsi ideologicamente isolato nell’Unione europea. Non è facile sapere perché il nostro ciclo politico abbia mantenuto un profilo differenziato rispetto al resto d’Europa. Ma quali che fossero le ragioni di questa asimmetria, la verità è che nel corso degli anni Ottanta la Spagna non era stata coinvolta dalle politiche di tagli sociali e di aumento delle diseguaglianze praticate da quasi tutti in quel decennio. Il governo socialista non solo aveva saputo omologare le istituzioni politiche e accorciare distanze economiche, ma aveva fatto recuperare alla Spagna un buon tratto del terreno perduto nell’ambito sociale.

In questi ultimi anni, il panorama politico europeo sta cambiando di nuovo e oggi Aznar può esibire una grande sintonia politica con la maggioranza dei colleghi del Consiglio europeo. Soffiano venti di cambiamento, ma questa volta gonfiano le vele della destra. Significa forse che la vittoria conservatrice in Spagna ha anticipato le tendenze elettorali europee? Oppure, al contrario, il nostro ciclo continuerà ad essere differente e l’elettorato spagnolo preferirá l’alternanza? Cercherò di rispondere a queste domande, cominciando col tracciare un rapido bilancio dei principali successi ottenuti dai governi di Felipe González. Passerò poi ad analizzare le luci ed ombre dei sei anni di governo conservatore e, per concludere, proporrò il mio punto di vista sulle aspettative con le quali il PSOE affronta l’immediato futuro sotto la nuova leadership di Rodríguez Zapatero.

Quando giungemmo al governo nel 1982, la democrazia non era ancora consolidata. Nel febbraio dell’anno precedente vi era stato il tentativo di colpo di Stato passato alla storia per le incredibili immagini del colonnello Tejero che dalla presidenza della Camera minacciava i deputati con una pistola. È facile capire come la prima preoccupazione dei governi socialisti fosse la tutela del sistema delle libertà e il rafforzamento delle nuove istituzioni. Era vitale, per questo, arrivare alla piena integrazione della Spagna nelle istituzioni europee e internazionali. Inoltre, era necessario realizzare l’autonomia delle regioni, risanare l’economia, costruire le basi di un sistema di welfare e, in generale, dare impulso alla modernizzazione a tutti i livelli. Furono tempi di grandi illusioni e di lavoro frenetico. Gli obiettivi erano straordinariamente ambiziosi, ma le difficoltà da superare richiedevano grandi dosi di prudenza e di realismo. Nessuno dubitava del fatto che il PSOE fosse la migliore forza politica per dirigere il processo di democratizzazione, anche se il partito doveva compiere uno sforzo enorme. In pochissimo tempo, eravamo passati dalla clandestinità al governo. Una volta lì, volemmo preservare lo spirito di consenso con il quale era iniziata la transizione, anche se l’opposizione conservatrice aveva preferito restare libera da impegni e dare prova di settarismo e irresponsabilità. Eravamo obbligati, d’altra parte, a sviluppare una politica macroeconomica ortodossa che affrontasse la crisi che ci trascinavamo dagli anni Settanta e che consentisse l’apertura dei nostri mercati richiesta dall’integrazione nella Comunità europea. L’esperienza negativa del governo Mauroy in Francia ci dissuase da qualsiasi tentazione di promuovere politiche espansive della domanda. E la pesante eredità delle imprese pubbliche del franchismo e dei suoi meccanismi interventisti di segno corporativo ci portò a essere molto coraggiosi in materia di privatizzazioni e di liberalizzazione dei settori iperregolati. Riuscimmo a modernizzare l’economia spagnola, ad aumentare la sua competitività e a renderla più adattabile ai cambiamenti. Ma non ci dedicammo a spiegare il ricorso a strumenti di politica economica estranei al repertorio tradizionale della socialdemocrazia: anche per questo venimmo criticati da settori della sinistra tradizionale, a volte più preoccupati degli strumenti di governo che non dei risultati ottenuti grazie ad essi. I sindacati furono particolarmente rigidi e raggiunsero qualche successo nella loro battaglia contro il governo: lo sciopero generale del dicembre 1988 ottenne una risposta di massa dal paese.

Ma il consenso elettorale rimase stabile mano a mano che i nostri obiettivi venivano raggiunti. L’istruzione obbligatoria e gratuita fu estesa a tutti i minori di 16 anni. Il numero di studenti universitari duplicò nell’arco di un decennio. Il sistema sanitario nazionale universalizzò la sua copertura. Le pensioni pubbliche furono incrementate, soprattutto quelle più basse, e si estesero a categorie fino ad allora prive di protezione. Il sistema fiscale incrementò sensibilmente la capacità finanziaria del settore pubblico mentre allo stesso tempo migliorarono l’equità e la progressività delle tasse.

Naturalmente non sempre abbiamo avuto successo. La disoccupazione continuò a raggiungere cifre molto elevate, nonostante nel periodo 1985-1991 la creazione di posti di lavoro incrementasse fino a livelli record. Su un altro fronte continuava l’attività terroristica dell’ETA, che seguitava ad uccidere e a sequestrare con regolarità e in modo indiscriminato, benché la crescente efficacia della polizia, la collaborazione dei cittadini e la cooperazione delle autorità francesi stringessero il cerchio intorno ai violenti e ai loro complici. Come è normale che accada, il passare del tempo accumulò strati di usura politica su di noi. Ma il vero detonatore della nostra sconfitta elettorale fu l’esplosione degli scandali per corruzione. Come conseguenza di questi, e della nostra incapacità a reagire in tempo, nello spazio di quattro anni dovettero dimettersi due vice primi ministri, vari ministri e alcuni altri dirigenti del partito. L’immenso capitale di onestà e di etica guadagnato dal PSOE durante la sua lunga storia, un capitale di cui nessun’altra forza politica disponeva in Spagna, fu seriamente danneggiato. Perdemmo la fiducia di molti cittadini, disposti ad aspettare con pazienza che si raggiungessero lentamente molte delle loro aspirazioni ma non ad ammettere che i nostri comportamenti fossero così deplorabili come quelli che venivano descritti dagli scandali. Logicamente, la destra approfittò dell’occasione per trasformare la lotta contro la corruzione, insieme alle critiche al governo per l’aumento della disoccupazione e della spesa pubblica, nelle sue principali armi contro di noi.

La destra che andava al governo nel 1996 si era molto modernizzata. Partendo dalla Alleanza popolare creata da vari ex ministri di Franco, Aznar e la sua squadra seppero trasformare quel gruppo reazionario nel nuovo Partito popolare. I dirigenti del Partito popolare erano più giovani di quelli del PSOE, e manifestavano il loro desiderio di omologarsi con il centrodestra europeo. Le differenti correnti che confluirono nel PP rimasero conquistate dal forte concetto dell’autorità e dallo scarso interesse per le idee che caratterizzava José Maria Aznar, il quale ha sempre prestato più attenzione alle questioni del potere, ai sondaggi d’opinione ai consulenti di immagine piuttosto che ai dibattiti ideologici. Aznar aveva bisogno dell’appoggio dei nazionalisti catalani e baschi per assicurare la sua maggioranza al Parlamento, ed era al tempo stesso obbligato a dare un’immagine moderata di sé. I primi quattro anni del suo governo furono facili. Prima delle elezioni, l’economia aveva già superato la recessione. Nel 1996, con un governo conservatore, i mercati finanziari internazionali erano pronti a scommettere sull’ingresso della peseta nell’euro. I tassi di interesse si ridussero, e con questo si risollevò l’attività interna. Le finanze pubbliche si equilibrarono senza bisogno di realizzare operazioni chirurgiche nella spesa pubblica. L’aumento dell’occupazione, del consumo delle famiglie e dei benefici di impresa riempirono le casse dello Stato, e il PP si poté permettere il lusso di abbassare l’imposta sui redditi delle persone fisiche, trasformando questa riforma in una delle sue carte vincenti per le elezioni del 2000.

Anche rispetto all’altro grande problema della Spagna, il terrorismo, si produssero eventi favorevoli. Nel 1998 l’ETA dichiarò una tregua a tempo indeterminato, nell’ambito del processo di dialogo tra le varie formazioni nazionaliste basche che culminò con la Dichiarazione di Lizarra. Aznar inviò una delegazione di suoi rappresentanti diretti per riunirsi con l’ETA, in un tentativo di esplorare il margine che esisteva per passare da una tregua alla cessazione definitiva della violenza. Ma né i nazionalisti moderati né Aznar ebbero successo e l’ETA tornò a uccidere proprio quando si iniziava la campagna elettorale. Ma pur non potendosi raggiungere la pace, gli elettori premiarono Aznar per l’immagine di fermezza mostrata di fronte alle esigenze dei nazionalisti.

Così, alla fine del suo primo mandato, il governo conservatore poté esibire un panorama sostanzialmente ottimista. Contro ogni previsione, il PP non aveva smantellato quasi nessuna delle conquiste sociali precedenti, né aveva fatto marcia indietro sulle riforme socialiste nel sistema educativo, nella sanità o nelle pensioni.

Altri aspetti della sua politica, che noi socialisti avremmo voluto porre in primo piano sul confronto elettorale, apparivano lontani dalle principali preoccupazioni degli elettori. La privatizzazione di molte imprese pubbliche non fu accompagnata da politiche di liberalizzazione in grado di contrastare la tendenza a creare oligopoli privati. Gli organismi regolatori incaricati di vigilare sulla libera concorrenza furono neutralizzati. Ma ogni volta che l’opposizione socialista si ergeva a tutela di un’autentica liberalizzazione e della libera concorrenza, l’opinione pubblica mostrava un atteggiamento di indifferenza.

Dal 2000 la destra dispone della maggioranza assoluta ed è libera dalla necessità di negoziare con altri partiti. Il governo Aznar esercita il suo potere in un modo molto più diretto. I suoi toni moderati sono sfumati e la sua politica si orienta sempre più verso posizioni apertamente conservatrici. Uno stile politico tra l’autoritario e il populista caratterizza il suo operato su temi come l’immigrazione, il rapporto con i nazionalismi e ultimamente anche con la disoccupazione. L’approvazione di una norma che diminuisce radicalmente la protezione sociale dei disoccupati e riduce il costo dei licenziamenti ha portato le centrali sindacali a convocare uno sciopero generale per il 20 giugno. È la prima volta che i sindacati affrontano apertamente il governo conservatore. Il clima sociale, che finora si era mantenuto calmo per il buon andamento dell’economia e per gli sforzi di dialogo compiuti dalle parti sociali, è improvvisamente peggiorato.

Restano ormai quasi due anni prima di arrivare alle prossime elezioni. Secondo i sondaggi d’opinione, il PP si trova ancora in buona posizione. Ma all’orizzonte si profilano scenari capaci di turbare la calma di cui la destra ha goduto in questi anni. La successione di Aznar – che ha deciso di abbandonare la politica attiva alla fine della legislatura – è uno dei fattori che inducono alle maggiori incertezze in seno al Partito popolare. I dati economici non sono più così favorevoli, mentre è tornato ad aumentare il numero dei disoccupati. Il clima sociale si è molto deteriorato e dopo lo sciopero generale del 20 giugno appare difficile recuperare il dialogo. Le riforme in corso nel campo universitario e della scuola secondaria hanno spinto alla mobilitazione buona parte della comunità educativa.

Parallelamente il PSOE può contare su una nuova squadra dirigente, a capo della quale c’è un leader giovane, intelligente e disposto a battersi per succedere ad Aznar alla guida del governo nel 2004. La successione a Felipe González alla guida del Partito socialista fu particolarmente traumatica. Un anno dopo la sconfitta del 1996 io fui eletto segretario generale da un’assemblea congressuale profondamente scossa dalle dimissioni di Felipe, che era stato a capo dell’organizzazione per ventitré anni. Nel 1998 Josep Borrell fu indicato come candidato socialista alla carica di primo ministro, ma alcuni mesi dopo fu costretto alle dimissioni. Assunsi io l’incarico di capolista del nostro cartello elettorale per evitare il prolungarsi della crisi di leadership, ma di fronte all’ampiezza della vittoria di Aznar nel 2000 mi dimisi e convocai un congresso del partito. Rodríguez Zapatero fu eletto leader del PSOE quando tutti scommettevano sul trionfo di José Bono, più veterano ed esperto del vincitore.

Rodríguez Zapatero non aveva potuto contare sull’appoggio di nessuno dei leader storici del partito. Felipe González ha recentemente riconosciuto che il suo candidato preferito era Bono. Ma la «Nuova via» proposta dall’attuale leader del PSOE riuscì a farsi strada tra i delegati del congresso socialista. I suoi promotori avevano in comune l’età, intorno ai quarant’anni, l’esperienza in posti di responsabilità politica e dirigenziale e un’analisi aggiornata delle caratteristiche della società spagnola: una società che si era modernizzata ad un ritmo molto superiore a quanto erano disposti a riconoscere i vecchi responsabili del PSOE. Oggi, Rodríguez Zapatero si è consolidato alla guida del partito e può contare secondo tutti i sondaggi su un apprezzabile grado di fiducia da parte dell’elettorato. I sondaggi registrano anche che le differenze di voti tra le due principali forze politiche si sono accorciate dal momento in cui è cambiata anche in termini generazionali la direzione del Partito socialista.

Ormai, gli attuali dirigenti del PSOE non si sentono più coinvolti dalle critiche al passato. Non diamo più quell’immagine di provvisorietà, e perfino di improvvisazione, che ci trascinavamo dalle dimissioni di González. Ma questo taglio col passato non significa che il Partito socialista attuale disconosca ciò che i governi socialisti avevano realizzato tra il 1982 e il 1996. Davanti all’assurda ossessione di Aznar che cerca di cancellare dalla memoria collettiva degli spagnoli tutti i risultati positivi ottenuti dai governi socialisti, Rodríguez Zapatero sa che una parte non indifferente della fiducia che gli elettori gli daranno si fonda sul legame che egli saprà stabilire tra un nuovo progetto politico per il futuro e le basi gettate dalle riforme intraprese negli anni Ottanta e Novanta.

I temi principali dell’agenda politica richiedono comunque un considerevole sforzo di immaginazione. L’immigrazione, l’insicurezza cittadina, la lotta contro il terrorismo, il calo demografico, le tasse, la tutela della libera concorrenza sono solo alcuni dei temi sui quali gli elettori aspettano di conoscere le nostre posizioni alternative. Elettori che comunque devono essere avvicinati ai temi della socialdemocrazia superando un certo grado di lontananza, come le squadre di calcio quando giocano fuori casa. Su altri temi più tradizionali, come la normativa sul lavoro, l’istruzione, la sanità o le pensioni, il PP cerca a sua volta di farci restare sulla difensiva, come se le uniche alternative di sinistra consistessero nel guardare indietro e difendere lo «status quo» con atteggiamento conservatore.

Il PSOE di Zapatero si sta dimostrando eccellente sul campo delle proposte. Non si lascia intimorire dalla destra e, nel giro di pochi mesi, ha reso pubbliche le sue alternative su politiche come quelle relative alla famiglia, alla sicurezza cittadina, alle imposte dirette o su politiche di sostegno per i lavoratori autonomi. Ha proposto accordi col governo in materia antiterrorista, sull’ordinamento della giustizia o sulla politica dell’immigrazione. Rodríguez Zapatero ha ribadito più volte che, in materie sensibili come queste, è preferibile esplorare tutte le possibilità di dialogo, assecondando il desiderio dei cittadini, piuttosto che far prevalere i meri interessi di partito. Facendo del dialogo una caratteristica del suo stile politico, Zapatero mette ancor più in evidenza gli aspetti autoritari della politica di Aznar. Ma insieme agli accordi e alle proposte di dialogo, il PSOE ha saputo partecipare alle mobilitazioni degli universitari o dei difensori della sanità pubblica, oltre a condividere con i sindacati molte delle ragioni per convocare lo sciopero generale. In questo nuovo periodo, noi socialisti torniamo a collegarci con settori dai quali ci avevano allontanati la prolungata presenza al governo e, soprattutto, il problema degli scandali.

Sono sempre di più i cittadini che considerano incerto il risultato delle elezioni del 2004. E di qui al 2004 possono accadere molte cose. È presto per sapere se il PSOE riuscirà a recuperare la maggioranza. A maggio dell’anno prossimo si terranno importanti elezioni amministrative. Da lì a pochi mesi, è verosimile una vittoria di Maragall in Catalogna. In quello stesso periodo, Aznar dovrà svelare il nome di chi prenderà il suo posto come leader conservatore. Nonostante le molte incertezze, vi sono ragioni per ben sperare. La Spagna potrà guardare di nuovo verso sinistra, in un momento in cui molti altri europei voltano a destra. Mi auguro, parafrasando i partecipanti di Porto Alegre, che «un’altra Spagna sia possibile».