Cesare Pinelli

Cesare Pinelli

insegna Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Roma “Sapienza”

Presidentalizzazione

In un fortunato saggio di dieci anni fa la “presidenzializzazione” della politica veniva definita una tendenza dei diversi modelli istituzionali a diventare di fatto sempre più presidenziali indipendentemente dal loro assetto formale. Secondo quella tesi anche nelle forme di governo parlamentari una serie di fattori, soprattutto l’accentuata importanza della politica estera e la crescente esposizione mediatica, in un ambiente sempre più conformato mediaticamente, tende a fare dei capi degli esecutivi i veri “presidenti”, con un surplus di legittimazione derivante dal loro rapporto diretto con l’opinione pubblica che investe tre ambiti: le campagne elettorali, il governo e i partiti. 

Uscire dalla palude del dibattito. La relazione della Commissione per le riforme

La Commissione per le riforme costituzionali, ricorrendo al metodo della democrazia deliberativa e superando le divergenze tra mondo accademico e mondo politico, è riuscita a redigere un insieme organico di proposte che riguardano l’elezione e le competenze del Senato, il riassetto dei rapporti fra Stato e autonomie territoriali, la forma di governo e la legge elettorale. Non ha però mancato di prospettare innovazioni ignote al dibattito politico corrente, ma necessarie, secondo molti costituzionalisti, a superare le maggiori distorsioni dei processi di produzione normativa. Indipendentemente dall’immediato seguito parlamentare delle riforme in una legislatura tanto contrastata, la Relazione pone le premesse per una strategia di politica costituzionale centrata sulla ricerca dei rimedi a modalità patologiche di funzionamento delle istituzioni.

Una legge sui partiti

Ogni progetto di legge sulla democrazia interna ai partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, per quanto auspicabile, non può prescindere da due ordini di considerazioni in merito, da un lato, a ciò che le è consentito fare secondo il diritto costituzionale; dall’altro, riguardo alle sue possibilità di incidere su una realtà politica frammentata come quella italiana di oggi. A ciò si aggiungono le incognite legate alla diffi coltà di raccogliere, nello scenario attuale, una maggioranza parlamentare simile a quella, larghissima, che ha portato all’approvazione di analoghe leggi in altri paesi europei. È opportuno però, anche in presenza di una tale complessità, rinviare oltre l’attuazione di riforme decisive per restituire i partiti alla loro autentica missione democratica?

Governo

In prima approssimazione, il termine “governo” designa sia il soggetto titolare di una funzione sia direttamente la funzione del governare. “Governo italiano”, o “francese”, è esempio della prima accezione, mentre “governo delle società industriali avanzate” o “arte del buon governo” sono esempi della seconda. Questa duplicazione non è nuova. Quando nel XIII secolo Bracton distingue
gubernaculum da iurisdictio e ascrive leges, constitutiones e assisae a ciò che pertinet ad regni gubernaculum, si riferisce alla funzione di governo, non al governo soggetto (che infatti è il re). In altri casi, invece, il termine “governo” viene riferito al soggetto governante partendo dalla domanda “Chi governa?” o anche “Chi dovrebbe governare?”, come nella discussione che, secondo Erodoto (V secolo a.C.), si sarebbe svolta fra Otane, Megabizo e Dario sulla migliore forma di governo da instaurare in Persia dopo la morte di Cambise (rispettivamente democrazia, oligarchia, monarchia).

Il silenzio dell'Unione sulle violazioni dei valori comuni

Le gravi violazioni dei diritti democratici verificatesi negli ultimi anni in Ungheria e in Romania non sono state sufficienti a sollecitare, da parte delle istituzioni dell’Unione, l’attivazione di procedure e sanzioni. Il preoccupante silenzio dell’UE solleva alcuni paradossi e dubbi, tra i quali il provocatorio quesito se a questo punto ci si debba aspettare un intervento da parte dell’ormai vecchio Consiglio d’Europa piuttosto che dall’Unione stessa.

L’Italia e il recupero della sua identità smarrita

A dispetto di un pessimismo generalizzato e di una retorica che vede il nostro come un paese dall’identità debole e sbiadita, alcuni segnali fanno intravedere nella società il risveglio di un senso di appartenenza da tempo sopito, rifiutato, mortificato. Dal referendum costituzionale del 2006 all’apprezzamento per l’impegno di Ciampi prima e di Napolitano poi nella promozione del valore della nazione, fino all’imprevista, massiccia partecipazione ai festeggiamenti del centocinquantenario dell’Unità, i segnali di cambiamento non mancano: alla politica, ora, il compito di raccogliere il messaggio.

La Costituzione e Montesquieu dimezzato

Con l’espressione “Montesquieu dimezzato” si intende porre l’attenzione sulle distorsioni dell’assetto istituzionale italiano, che vede un Parlamento esautorato nelle sue funzioni, una crescita dei poteri di fatto dell’esecutivo, mentre gli organi di garanzia costituzionale continuano nel complesso a esercitare le loro funzioni. Bisogna rendersi conto che queste distorsioni danneggiano seriamente il paese. Devono capirlo tutti, a cominciare dalle forze politiche.

Populismo, garanzie costituzionali e nuove oligarchie

La sfida del populismo non riguarda soltanto il sistema rappresentativo, e quindi l’incapacità dei partiti politici tradizionali di rappresentare interessi e valori degli elettori, ma anche, in maniera latente ma non meno incisiva, la tensione esistente nei sistemi costituzionali fra l’elemento democratico basato sull’elezione dei rappresentanti e la proliferazione di istituzioni non maggioritarie che non devono rispondere delle loro azioni di fronte ai cittadini. Come è possibile scongiurare il rischio di degenerazione oligarchica della democrazia costituzionale che ne deriva?

Riforma elettorale e riassetti delle coalizioni

La legge elettorale per la camera e il senato approvata lo scorso anno dalla allora maggioranza di centrodestra ha ripristinato il sistema proporzionale, accompagnandolo con un premio per la lista o la coalizione di liste che abbiano riportato la maggioranza relativa dei voti, e con sbarramenti differenziati per l’accesso alla rappresentanza parlamentare (legge 270/2005). È un sistema senza precedenti o paragoni in altre democrazie. Differisce da sistemi proporzionali variamente corretti perché il premio di maggioranza si sovrappone in modo assai più pesante alla «giustizia dei numeri». D’altra parte, a differenza dei sistemi maggioritari, dove ogni seggio è assegnato in ciascun collegio alla lista che abbia ottenuto la maggioranza dei voti, il sistema è proporzionale tranne che per il premio, assegnato alla lista o alla coalizione di liste che abbia ottenuto la maggioranza dei voti a livello nazionale alla camera e regionale al senato. L’arbitrarietà del premio è molto maggiore della distorsione della rappresentatività delle opinioni che col maggioritario si verifica collegio per collegio, e che diventa tollerabile a livello nazionale proprio perché frutto della volontà degli elettori.

Una proposta di riforma delle Nazioni Unite

Il 12 novembre 2003 il Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi Annan incaricava una commissione composta di quindici membri, l’High-Level Panel on Threats, Challenges and Change, di formulare una proposta di riforma delle Nazioni Unite. Il 1° dicembre 2004 il Panel presentava al Segretario Generale un rapporto intitolato «A more secure world: our shared responsibility», sulla cui base è stato avviato il dibattito in corso al Palazzo di Vetro. L’ultimo tentativo di riforma delle Nazioni Unite risale al 1996 e si deve all’allora Segretario generale Boutros-Ghali. In «An Agenda for Democratization», dopo aver affermato che pace, sviluppo e democrazia sono sempre collegate, Boutros Boutros-Ghali assegnava alle Nazioni Unite il compito di far avanzare la democrazia sul piano internazionale, denunciando le insufficienze dell’organizzazione e la scarsa volontà politica degli Stati membri di procedere in tale direzione. Egli proponeva in sostanza di fare delle Nazioni Unite un forte attore sulla scena internazionale, sufficientemente autonomo dagli Stati più potenti e all’altezza delle sfide della globalizzazione.