La precarietà della specie umana e la sua sostenibilità fisica e finanziaria sono questioni concrete, da affrontare al più presto. Lo sviluppo dell’umanità è ormai giunto a livelli tali di insostenibilità da esigere misure correttive celeri ed efficaci che puntino su una produzione sostenibile e sulla “decumulazione della moneta”.
L’attuale crisi economica offre uno spunto di riflessione per analizzare un’altra crisi, quella delle socialdemocrazie europee, che è stata drammaticamente messa in evidenza dai risultati delle ultime elezioni, ma che ha le sue radici più indietro nel tempo e, in particolare, nell’incapacità dei partiti socialisti e socialdemocratici europei di intuire e sfruttare a proprio vantaggio la portata internazionalista del processo di globalizzazione. La “tempesta perfetta” economica offre un’imperdibile occasione per fornire risposte adeguate e sviluppare un nuovo progetto politico.
Il colpo, un uno-due, in termini pugilisti, è stato durissimo. La bocciatura francese e olandese del progetto di Costituzione può pregiudicare l’intero processo di integrazione europea. Non intendo qui affrontare il problema delle cause e delle responsabilità, ma evocare, brevemente, i problemi che si pongono. Che fare? Un primo problema molto pratico riguarda il processo di ratifica. Continuare o interrompere? Ritengo che non si possa che rispondere positivamente, nel modo previsto dai Trattati in vigore, i quali esigono che tutti gli Stati debbano pronunciarsi. E tuttavia non si possono attendere i tempi lunghi delle ratifiche senza porre subito il problema esistenziale dell’Unione. Il voto francese e quello olandese impongono infatti scelte che non sono mai state fatte, e che è impossibile, oggi, rinviare.
Il più grande torto che si potrebbe fare ad Antonio Giolitti in occasione del felice compimento del suo novantesimo anno sarebbe di celebrarne le sue personali, indiscutibili virtù. Una grande parte della profonda amicizia che nutro per lui, insieme a tanti suoi e miei affettuosi amici, sta non nella sua «modestia» – aggettivo che non gli si addice affatto – ma nella schiva ripugnanza verso ogni forma di pathos dimostrativo e retorico. La cosa più ragionevole che si può fare è leggerlo (e rileggerlo), nella grande varietà, profondità e rigore della sua opera.