New Left e crisi economica

Di Andrea Peruzy Martedì 14 Settembre 2010 11:03 Stampa

Quasi ogni giorno vengono pubblicati dati allarmanti che testimoniano dei gravi effetti della crisi sull’occupazione e sul sistema produttivo europeo. Con questo rapido precipitare della situazione contrasta l’atteggiamento delle istituzioni comuni e delle forze politiche del continente, a testimonianza del fatto che l’Unione Europea è oggi alle prese con una crisi che, nel suo caso specifico, da finanziaria si sta progressivamente trasformando in economica, sociale e quindi politica.


Andrea Peruzy su L'Interprete Internazionale del 3 settembre 2010

Le difficoltà europee sono ancora più evidenti se si guarda al di fuori dei confini del continente.
Senza volersi qui ergere a difensori della Cina – che peraltro si difende già molto bene da sé – né nascondere i lati oscuri su cui si basa parte del suo sviluppo (autoritarismo, violazione dei diritti umani, furti di proprietà intellettuale, ecc.), bisogna però riconoscere che durante la crisi il governo della Repubblica popolare cinese si è comportato come un attore globale serio, responsabile e competente, reagendo in maniera immediata attraverso l’espansione monetaria, l’approvazione di ingenti agevolazioni fiscali, l’aumento del credito. Al contrario l’azione europea, ispirata essenzialmente dalla Germania guidata dal Cancelliere Merkel, si è incentrata su misure di austerità e prudenza che hanno avuto come obiettivo il contenimento del disavanzo di bilancio e il taglio alle spese. Nella sostanza si è trattato di un atteggiamento difensivo, quasi un ripiegamento dell’Europa su sé stessa, teso a salvare il salvabile nell’attesa della fine della tempesta per poi riprendere il percorso come se nulla fosse accaduto.
Invece, senza gli opportuni interventi di politica economica, industriale e di welfare, la crisi rischia di lasciare dietro di sé non solo una lunga scia di disoccupazione e disagio sociale, ma anche le macerie di quella grande industria europea alla quale, per l’incapacità di progettare il futuro, non si sarà riusciti nel frattempo a costruire un’alternativa.
Le forze conservatrici oggi al potere nella maggioranza dei paesi del continente non brillano del resto per capacità di reazione ed elaborazione strategica, manifestando invece profonde divisioni non solo in merito alle ricette da adottare per fronteggiare la crisi, ma anche per quanto riguarda l’idea stessa dell’Europa di domani. Purtroppo questa incapacità di elaborazione non risparmia neanche le forze progressiste del continente, alle prese ormai da anni con una profonda crisi di ispirazione, di identità e di consenso. La socialdemocrazia europea paga in questo momento soprattutto la mancanza di una proposta chiara per far ripartire la crescita.
La crisi economica può rappresentare per la socialdemocrazia europea l’occasione giusta per superare le categorie interpretative della realtà utilizzate finora e attuare così una chiara ridefinizione dei suoi programmi e delle sue proposte in materia di politica economica e sociale. Le forze progressiste europee dovrebbero spingersi avanti nella formulazione di una strategia di rilancio della crescita che, senza andare a scapito delle politiche di welfare, sappia investire sul futuro, puntando, ad esempio, a sviluppare quell’ampio programma di investimenti in ricerca scientifica e innovazione che già la Strategia di Lisbona individuava come basi per preparare il continente alle sfide del futuro e che la Strategia Europa 2020 ha rilanciato. È questa la sfida che il progetto “Next Left”, sviluppato dal network delle fondazioni vicine alle forze riunite nel Partito socialista europeo, si propone di affrontare.

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