In Europa senza libertà di stampa? In Ungheria si può

Di Felice Blasi Martedì 25 Gennaio 2011 13:22 Stampa
In Europa senza libertà di stampa? In Ungheria si può Illustrazione: Marabu

Da qualche settimana in Ungheria è in atto la più esplicita forma di controllo governativo dell’informazione che si possa riscontrare in uno Stato europeo. Se l’Europa non dovesse prendere provvedimenti contro l’Ungheria, come potrebbe poi esigere il rispetto dei diritti umani in Cina e Iran?

Da qualche settimana in Ungheria è in atto la più esplicita forma di controllo governativo dell’informazione che si possa riscontrare in uno Stato europeo. Il 1° gennaio 2011 è entrata in vigore una legge sui media che ha suscitato proteste dentro e fuori il paese. Ad aggravare la vicenda è l’assunzione dell’Ungheria al suo semestre di presidenza europea, alla cui guida si trova per la prima volta da quando è entrata a far parte dell’Unione nel maggio 2004.

Il controllo dei media sarà realizzato in varie fasi: il governo ha fatto approvare subito i nuovi provvedimenti che regolano le agenzie d’informazione e le trasmissioni pubbliche; in autunno sarà la volta della carta stampata e di internet. La novità principale di quella che è già stata battezzata “legge bavaglio” è l’istituzione del “Consiglio dei media”, un comitato di cinque supervisori nominati dal partito di maggioranza in parlamento che resteranno in carica per nove anni, senza rappresentanti dell’opposizione. Dovranno vigilare sulle trasmissioni e sull’informazione pubblica e privata e avranno il potere discrezionale di comminare pesanti sanzioni. «È evidente», ha dichiarato la deputata Ildiko Lendvai, del Partito socialista ungherese, oggi all’opposizione, «che lo scopo della legge è di trasformare i media pubblici in media di partito».

L’Associazione degli editori di giornali europei (ENPA), che rappresenta 5.200 testate pubblicate in 23 paesi europei, e l’Associazione internazionale degli editori di quotidiani e di servizi di informazione (WAN-IFRA), che riunisce oltre 18.000 pubblicazioni e ha rappresentanti alle Nazioni Unite, all’Unesco e nel Consiglio d’Europa, hanno denunciato attraverso un comunicato congiunto che con questa legge sarà possibile infliggere danni finanziari agli editori sulla base di considerazioni del tutto arbitrarie assunte dal Consiglio dei media. I criteri a cui dovrà attenersi il Consiglio sono infatti estremamente generici: giornalisti ed editori saranno sottoposti a multe fino a 700.000 euro se rifiuteranno di rendere note le loro fonti o se pubblicheranno informazioni considerate non equilibrate o inappropriate, oppure contrarie ad una non meglio definita «moralità pubblica», oltraggiose per «la maggioranza dei cittadini o di particolari gruppi», o che mettano a rischio l’«ordine pubblico». La vaghezza dei criteri di valutazione è tale che porterà a forme di autocensura già al momento della creazione della notizia da parte dei giornalisti. La rappresentante OSCE per la libertà dei mezzi di informazione, Dunja Mijatovic, ha affermato a questo proposito: «In assenza di linee guida chiaramente definite è impossibile per i giornalisti ungheresi sapere in quali circostanze infrangono la legge».

È inoltre previsto il sequestro di documenti e di files in possesso delle redazioni e lo staff dei media pubblici sarà sottoposto al controllo del Consiglio. Ogni società nel settore dovrà essere registrata presso il Consiglio e la licenza potrà essere sospesa o ritirata in caso di infrazioni. La nuova normativa colpisce il pluralismo dei media sostituendo tutta la precedente regolamentazione, che ostacolava in modo preciso la formazione di monopoli nel campo informativo, con un vago impegno a proteggere la diversificazione dell’informazione. La legge avrà un impatto particolarmente negativo sul giornalismo investigativo, dal momento che cancellerà di fatto il diritto alla riservatezza delle fonti, riconosciuto da varie convenzioni internazionali e protetto in molti paesi. Senza una garanzia d’anonimato, chiunque verrà in possesso di informazioni di pubblico interesse sarà scoraggiato dal comunicarle ai giornalisti.

Peraltro, la nuova legge è coerente con l’articolo 61 della Costituzione ungherese, scritta nel 1949 e ampiamente modificata nel 1989, quando il paese si liberò dal controllo esercitato dall’Unione Sovietica. Per tutto ciò che riguarda leggi, emendamenti, nomina di dirigenti di agenzie nei media pubblici, e per ogni altro atto che tocchi la libertà di stampa, è richiesta una maggioranza di due terzi del Parlamento. Questa condizione si è realizzata con la schiacciante vittoria elettorale dello scorso aprile da parte partito conservatore di centrodestra Fidesz, guidato da Viktor Orbán, nominato Primo ministro. Nel suo primo discorso al Parlamento europeo, difendendosi dagli attacchi sulla nuova legge sui media ricevuti da molti europarlamentari, Orbán  ha definito il provvedimento come «una questione interna, che non va confusa con la presidenza europea». Il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, parlando subito dopo Orbán, ha però dichiarato che la libertà di stampa è «un principio sacro» dell’Unione europea. Il ministro degli esteri lussemburghese Jean Asselborn ha accusato il governo ungherese di violare lo spirito e il testo dei trattati europei, facendo notare che, qualora l’Europa non prendesse provvedimenti contro l’Ungheria, sarebbe molto difficile parlare alla Cina e all’Iran di diritti umani.

La questione solleva dunque diversi interrogativi sul potere delle maggioranze parlamentari europee di violare i principi costituzionali, interni e quelli dei trattati internazionali, pur rimanendo nell’ambito della legalità. La contraddizione è in questo caso resa ancor più evidente dal ruolo di presidenza dell’Unione che ora svolge l’Ungheria, il cui nuovo governo ha già assunto provvedimenti che violano i diritti umani più elementari (limitazioni al diritto di asilo politico, discriminazioni contro le comunità rom). Nonostante tutti gli appelli contro la nuova normativa, la sua applicazione sembra essere rapida e risoluta: poche ore dopo l’entrata in vigore, un giornalista della radio pubblica MR1 si è ritrovato sospeso dal suo incarico per aver protestato contro questa legge avendo solo fatto un minuto di silenzio nel corso della sua trasmissione.

 

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Illustrazione di Marabu

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