Il referendum greco rafforza il logos della politica

Di Teodoro Andreadis Synghellakis Martedì 07 Luglio 2015 17:12 Stampa
Il referendum greco rafforza il logos della politica Foto: Adolfo Lujan

Il referendum in Grecia di domenica scorsa non è stato, come da più parti si è voluto descriverlo, una scelta fra euro e dracma. Si è trattato piuttosto di un’occasione per riportare il dibattito su un piano politico, riconoscere il fallimento delle politiche di austerità e costringere la socialdemocrazia europea a prendere posizione.


La Grecia ha mandato un segnale chiaro, malgrado gli allarmismi e le pressioni di ogni genere: dopo cinque anni di austerità non si può più insistere con la stessa ricetta, per di più non permettendo ai diretti interessati di esprimersi sul come procedere a eventuali correzioni della spesa pubblica. Il referendum greco non è stato una scelta tra euro e dracma, non è stato una consultazione contro l’Europa, non ha esasperato, in modo pericoloso, i toni nazionalistici. Ha rimesso al centro della scena europea la politica, facendo interrogare tutti sulla possibilità di trovare nuove vie che permettano di rafforzare la coesione comunitaria.

C’è chi, nei giorni e nelle settimane scorse ha cercato di presentare Alexis Tsipras come un pericoloso avventuriero, addirittura pronto ad allearsi con gli estremisti di destra, isolati da tutto il contesto istituzionale greco. In realtà – e i fatti lo hanno dimostrato – le cose stanno in modo molto diverso. SYRIZA ha dato e dà voce a chi ha perso, negli ultimi cinque anni, certezze e reddito a causa della gestione della crisi. Ha insistito sul fatto che è necessario uscire dal circolo vizioso in base al quale si deve ricevere continuamente nuovi prestiti per pagare i debiti. Con questo referendum, si è aperta la discussione sulla possibilità di trovare una soluzione, appunto, alla questione del debito greco, che dal 2009 ad oggi, è aumentato dal 120% al 177% del PIL, a causa, principalmente, della perdita del 25% della ricchezza del paese, effetto direttamente proporzionale alla caduta libera del potere di acquisto dei suoi cittadini.

«Nella discussione sulla questione greca non ci sono più tabu», fa sapere in queste ore il governo francese. E si dovrebbe aggiungere, come sottolineano molti analisti anche ad Atene, che il referendum greco e il conseguente dibattito hanno dimostrato che la ricetta unica e immutabile dell’austerity porta solo a un vicolo cieco, mentre la democrazia deve prevedere necessariamente delle alternative.

In queste ore, alcuni rappresentanti delle istituzioni europee ribadiscono il fatto che il quesito posto nella consultazione popolare tenutasi ad Atene era stato superato dalle ultimissime proposte dei creditori, le quali contenevano delle piccole variazioni. Il problema, però, almeno per i greci, non è tanto vedere e valutare dei piccoli aggiustamenti sulle singole misure da contrattare. È percepire in modo chiaro che si sta decidendo un cambiamento nel complesso dell’approccio, attraverso una logica che renda chiaro che qualunque eventuale riforma deve essere dilazionata nel tempo, sostenuta da misure a favore della ripresa economica.

Nel caso della Grecia, poi, bisognerebbe anche intendersi sull’effettivo significato della parola “riforme”. Si tratta di un paese nel quale, ad esempio, si è approfittato della crisi economica per abolire i contratti collettivi di lavoro, per imporre quelli aziendali e spesso “personali”, per depotenziare in modo fortissimo la presenza e il ruolo dei sindacati. Riforme, quindi, non può voler dire applicare una politica neoliberista senza freni, con il solo scopo di ridurre al minimo gli stipendi e i diritti dei lavoratori.

La Grecia rimette al centro della scena, quindi, il logos della politica e impone alla socialdemocrazia europea di prendere posizione. Di interrogarsi sulla propria vocazione sociale, sulla difesa dei più deboli e di chi si trova, oggi più che mai, ai margini della società, sul suo stesso ruolo che dovrebbe essere alternativo a quello delle formazioni politiche di centrodestra.

Ora più che mai, a mio avviso, è necessario un dialogo proficuo e sincero dei partiti di centrosinistra – a livello europeo – con la dirigenza di SYRIZA e il primo ministro greco. Chi ne ha promosso e sostenuto per tempo le ragioni, comprendendo che la crisi impone la creazione di un nuovo “laboratorio di idee”, lontano dai dogmatismi e divisioni del passato, oggi può e deve spendersi ancora più energicamente per la realizzazione di questo progetto. Per fare in modo che la politica progressista, attraverso l’elaborazione teorica, abbia nuovamente effetti positivi concreti sulla vita quotidiana di tutti i cittadini europei.

 

 


Foto: Adolfo Lujan

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