Il salvataggio della Grecia e le incerte prospettive del progetto europeo

Di Paolo Guerrieri Lunedì 20 Luglio 2015 11:59 Stampa
Il salvataggio della Grecia e le incerte prospettive del progetto europeo Foto: afilitos

Dopo estenuanti trattative, il terzo piano di salvataggio della Grecia è stato approvato, evitando in extremis l’ipotesi Grexit. Eppure, così com’è, il piano non è sufficiente per risolvere il problema della solvibilità del debito greco, che inevitabilmente tornerà a presentarsi, mettendo ancora a nudo le fragilità della costruzione europea.

Il terzo piano di salvataggio per la Grecia ha passato l’attesa prova dei vari Parlamenti nazionali e ora potrà partire la trattativa che porterà lo European Stability Mechanism (ESM) a erogare gli aiuti per Atene. Ma non c’è alcun entusiasmo in giro. Dopo l’aspro confronto nel corso dei negoziati sviluppatosi in questi mesi è come se avessero perso tutti. La Grecia che affronta in condizioni economiche disperate un terzo piano di aggiustamento pieno di incongruenze e denso di incognite in quanto al risultato finale. E perde anche l’Europa apparsa ancor più dilaniata dalle tensioni e dalla sfiducia, incapace di disegnare una via di uscita dalla crisi in cui si dibatte da anni.

Eppure un motivo di soddisfazione c’è. All’ultima ora si è evitato un drammatico fallimento che poteva portare all’espulsione della Grecia dall’euro (Grexit). Forze significative dell’eurogruppo non volevano l’accordo, a partire dal potente ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, spalleggiato da un elevato numero di paesi. Erano e rimangono convinte che l’effetto contagio della Grexit sarebbe agevolmente fronteggiabile dal punto di vista economico con gli strumenti di intervento in parte nuovi di cui dispone oggi l’area dell’euro e in particolare la BCE. In aggiunta l’uscita della Grecia, sempre secondo loro, avrebbe reso più coeso e più forte il resto dell’eurozona.

Ma non è proprio così. Per una serie di buone ragioni, che riguardano l’economia, la geopolitica e la politica allo stesso tempo, la Grexit genererebbe un prezzo altissimo da pagare per la Grecia, innanzitutto, ma anche per l’Europa. La stessa idea fondante dell’integrazione europea ne sarebbe minata, aumentando la frattura fra Nord e Sud d’Europa che è l’eredità più grave e duratura della crisi di questi anni.

Per questo è molto importante essere arrivati a un accordo. Ma ci si è arrivati nelle peggiori condizioni, a causa di un negoziato condotto male e finito anche peggio. Anche per la mossa a sorpresa del referendum indetto dal governo greco e rivelatosi poi un micidiale boomerang, economico e politico allo stesso tempo. Ne sono derivate le pesanti condizionalità di aggiustamento imposte alla Grecia. Anche la sorveglianza prevista nell’accordo rivela quanto poca fiducia ci sia oggi nell’area euro.

Il problema è che molto difficilmente un tale patto, così faticosamente raggiunto, sarà rispettato e, soprattutto, sarà in grado di funzionare. È vero che molte delle riforme in elenco, se venissero portate avanti, potrebbero solo migliorare le condizioni di Atene. Anche le proposte relative alla mobilitazione, attraverso vari programmi della UE, di 35 miliardi di euro da destinare al finanziamento degli investimenti e dell’attività economica, incluse le piccole e medie imprese, saranno in grado di dare beneficio all’economia greca.

Ma il macigno da rimuovere per la Grecia resta la sostenibilità del suo enorme debito. E nel piano di aggiustamento concordato, in tema di politiche fiscali la ricetta non si discosta dall’austerità già applicata – e purtroppo senza successo – in passato. Si continua così a chiedere alla Grecia, che ha registrato negli ultimi cinque anni una riduzione del suo PIL del 25%, avanzi primari consistenti di qui al 2018. Questo non ha alcun senso economico. Sono misure restrittive che non metteranno la Grecia nelle condizioni di poter cominciare a ripagare il suo debito.

Una conferma autorevole è venuta dal FMI che, dopo aver pubblicato un’analisi in cui si dimostra la non sostenibilità del debito greco, ha affermato di non potere partecipare agli aiuti finanziari a un paese di fatto in bancarotta. Sconfessando così il piano di aiuti appena approvato. Anche Mario Draghi, dal canto suo, ha affermato di condividere questa analisi, pur decidendo di concedere l’aumento di liquidità alle banche greche senza aspettare il rimborso della tranche di debito dovuta alla BCE.

In realtà un’altra strada per disegnare il terzo piano di aggiustamento della Grecia esisteva e poteva essere percorsa: si trattava di passare attraverso la realistica ristrutturazione dell’enorme debito greco unita alla revisione dei parametri dell’aggiustamento fiscale previsti nell’intesa, nella direzione di un loro alleggerimento. In realtà si potrebbe ancora fare, visto che nelle prossime settimane si negozieranno in dettaglio in sede ESM tempi e modalità delle misure di aggiustamento. Ma resta una strada molto difficile da percorrere perché a sbarrarla c’è per ora l’opposizione del governo tedesco. Vedremo se ci saranno ripensamenti.

Se nulla cambierà, è molto probabile che il piano concordato non funzioni – come già avvenuto altre due volte in passato – riportando il caso greco tra qualche tempo al centro dell’attenzione europea, compresa l’ipotesi estrema della Grexit. Eventualità assai preoccupante considerate le fragilità oggi esistenti nell’area euro e che la drammatica vicenda greca ha messo impietosamente a nudo.

In primo luogo perché l’unificazione monetaria è stata dichiarata nel negoziato ufficialmente reversibile, decretando la possibilità per un paese di poter uscire o essere espulso. Alla prima occasione i mercati cominceranno a dare un prezzo a tali rischi di uscita e i costi di finanziamento dei paesi periferici più indebitati – tra cui il nostro – cresceranno inevitabilmente. Più in generale le difficoltà di gestione dell’attuale assetto della governance europea, dominata da tempo da meccanismi interamente intergovernativi, sono emerse clamorosamente. A prevalere sono sempre gli interessi nazionali dei singoli paesi, soprattutto dei più forti, come dimostra anche il recente caso dell’immigrazione.

In queste condizioni è l’Europa a rischiare di più. Non ci sono dubbi che una Unione monetaria non potrà sopravvivere poggiando sulla sola gamba della moneta e della politica monetaria. Servono anche elementi di unione fiscale da associare all’Unione monetaria e a quella bancaria – che va a sua volta completata – in modo da garantire una politica economica che sia in grado di perseguire gli interessi dell’area euro nel suo insieme.

Sarebbe pertanto necessario disegnare al più presto un più ambizioso progetto di avanzamento del progetto di integrazione economica, fino al traguardo finale dell’Europa politica. A questo scopo il cosiddetto Rapporto dei 5 presidenti, presentato a fine giugno all’ultimo Consiglio europeo, è troppo timido e può rappresentare solo un punto di partenza. Bisognerebbe andare molto più lontano e l’Italia potrebbe giocare un ruolo di mediazione di primo piano in questa fase.

È una impresa certo ardua e oltremodo difficile visto il clima imperante in Europa. Ma va tentata. L’alternativa è assistere passivamente al crescente predominio dei nazionalismi e dell’Europa delle patrie. Le stesse possibilità di sopravvivenza del processo di unificazione monetaria e, più in generale, d’integrazione dell’Europa finirebbero per esserne travolte. Al riguardo, la Grecia rischia di diventare il detonatore di tensioni latenti da tempo e non più controllabili.

 


Foto: afilitos

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