Obama torna in America Latina

Di Gianandrea Rossi Venerdì 17 Maggio 2013 17:26 Stampa
Obama torna in America Latina Foto: Presidencia de la República, México

La recente visita del presidente Obama in America Centrale ha messo in luce il crescente interesse strategico che i paesi della regione rappresentano per l’Amministrazione americana. Più volte nel corso del suo viaggio, il presidente statunitense ha posto l’accento sul desiderio di consolidare le relazioni con gli Stati latinoamericani, fondando tali rapporti non più sulla dipendenza ma su uno status paritario.


Nei primi mesi del suo secondo mandato, il presidente Barack Obama è tornato in America Latina, a poco più di due anni dallo storico viaggio del marzo 2011 – quando incontrò con l’allora neoeletta presidente del Brasile Dilma Rousseff (soli due mesi dopo il suo insediamento), con il presidente di El Salvador, Mauricio Funes, e con quello del Cile, Sebastián Piñera – e a un anno da quello in Colombia, in occasione della quale visitò il capo di Stato Juan Manuel Santos e prese parte alla sesta Cumbre de Las Américas (il summit dei capi di Stato e di governo americani). A inizio maggio Obama si è recato in Messico e Costa Rica, e ha partecipato a una riunione del Sistema dell’integrazione centroamericana in occasione della quale si è riunito con i sette presidenti centroamericani e con quello della Repubblica Dominicana.

Come il viaggio del 2011 segnò un riavvicinamento concreto di Washington ad alcune delle principali capitali latinoamericane (con un’agenda basata non solo sulla cooperazione economica, energetica e ambientale, ma anche sul rilancio del dialogo politico), anche questa seconda missione “verso il Sud” ha confermato l’interesse del presidente statunitense ad aumentare l’interazione con il quadrante più meridionale dell’emisfero occidentale. Un interesse che si è mantenuto costante nel corso del primo mandato, come dimostrato dalle visite compiute a Washington dai principali leader dell’area: Juan Manuel Santos, Mauricio Funes, Ollanta Humala, Michelle Bachelet).

Come ha sottolineato lo stesso Obama, di rientro dal suo viaggio, in un articolo da lui firmato sul quotidiano “Miami Herald”, il viaggio ha «offerto l’opportunità di mettere in luce i progressi in corso in America Latina, una delle regioni più dinamiche del mondo, con l’obiettivo di progettare nuove alleanze utili a migliorare la vita di tutti i nostri i cittadini».

Di fatto, proprio alla vigilia di una storica riforma delle politiche sull’immigrazione e mentre sono in corso i negoziati per due accordi, la Trans Pacific Partnership (TPP) e l’accordo commerciale UE-USA (Transatlantic Trade And Investment Partnership), destinati a modificare l’assetto degli equilibri commerciali mondiali, il presidente Obama ha voluto ribadire l’importanza delle relazioni emisferiche per Washington, riconoscendo, con il suo viaggio, sia la forza dei processi di maturazione della sovranità geopolitica (il consolidamento dell’UNASUR, della CELAC e del SICA), sia la rapida trasformazione politica economica e sociale in atto nella regione (che nel 2013, nonostante la crisi internazionale, crescerà con un tasso medio del 3,5%, secondo le ultime stime della CEPAL). «In America Latina ci sono alcune tra le economie in più rapida crescita, e in tutta la regione decine di milioni di persone sono uscite dalla povertà e sono entrate nella classe media», ha ribadito Obama, sottolineando che proprio questo aspetto «rappresenta un’incredibile opportunità per tutti i nostri paesi, soprattutto quando ciò va in direzione delle mie priorità: produrre ricchezza e classe media, qui, in America», ha scritto il presidente statunitense sul “Miami Herald”. È chiara, dunque, la volontà di riconoscere sempre di più l’autonomia politica ed economica di un quadrante considerato sempre più imprescindibile nello scenario globale, soprattutto per gli interessi strategici degli Stati Uniti.

Al centro dell’agenda della prima visita di Obama al presidente messicano Enrique Peña Nieto è stata la ridefinizione delle relazioni bilaterali. La visita ha, infatti, orientato gli sforzi congiunti secondo una nuova prospettiva che vede le due capitali non più in rapporto asimmetrico, bensì in una nuova relazione paritaria. È forse questo uno dei dati più significativi secondo quanto dichiarato dallo stesso Obama; di fronte ad oltre ottocento giovani riuniti nel Museo di antropologia e storia (in un discorso caratterizzato da ampi passaggi in spagnolo, e frequenti citazioni di Octavio Paz e Benito Juárez) il presidente statunitense ha ribadito che è arrivato il momento di «rompere i vecchi stereotipi: ora siamo dei soci alla pari, due nazioni sovrane, dobbiamo lavorare insieme, nel mutuo interesse e nel mutuo rispetto».

La Dichiarazione congiunta fra Stati Uniti e Messico inquadra il rilancio di questi rapporti secondo un asse articolato in quattro punti: la competitività dei sistemi economici e produttivi; i vincoli sociali e culturali tra le due società; la leadership condivisa sulle tematiche di governance regionale e globale; la sicurezza urbana. L’obiettivo è quello di rilanciare ulteriormente l’attuale interrelazione economica (500 miliardi di dollari di interscambio), individuando più meccanismi virtuosi che permettano ai due sistemi di crescere reciprocamente, e non in un rapporto di dipendenza. A supporto di questo obiettivo è stato inaugurato il Meccanismo di dialogo economico di alto livello, che prevede riunioni frequenti tra i vicepresidenti e i ministri economici dei due paesi. Nella stessa direzione va la firma di un Accordo di cooperazione triangolare, che vede le agenzie di cooperazione dei due paesi impegnate a sviluppare attività congiunte in paesi terzi e l’impegno a rilanciare, entro l’anno, l’Accordo Transpacifico e il Foro binazionale per l’educazione e l’innovazione tecnologica.

Obama ha anche assicurato il pieno sostegno alle recenti politiche intraprese da Peña Nieto, elogiando il forte «spirito di unità nazionale» con cui il Parlamento sta sostenendo l’ambizioso piano di riforme volto a modernizzare il paese, e ha ricordato le difficoltà in tema di sicurezza e violenza, da un lato riconoscendo che, nonostante gli sforzi fatti dal predecessore di Peña Nieto, ancora molto rimane da fare, e dall’altro lanciando il suo impegno a «collaborare nelle forme che il governo messicano riterrà opportune». Obama ha insomma avallato i cambiamenti che il nuovo presidente del Messico ha introdotto rispetto alla vecchia strategia contro il narcotraffico di Calderón. Infine, sono molte le aspettative suscitate dalla possibile riforma delle politiche migratorie voluta da Obama, che potrebbe intervenire su un dossier molto spinoso, come dimostrato dagli oltre 400 mila arresti avvenuti alla frontiera solo nel 2012.

Dopo la visita in Messico, il presidente statunitense ha partecipato al vertice del SICA a San José, in Costa Rica. La missione di Obama includeva una riunione con i presidenti centroamericani seguita da un incontro con oltre duecento imprenditori dell’area. Il tema portante del suo intervento ha riguardato la necessità di ripensare le relazioni tra gli Stati Uniti e l’America Centrale «non solo in relazione al tema della sicurezza e della lotta alla droga, ma nei termini delle reciproche opportunità economiche: fino a oggi vi è stata una grande enfasi sui temi migratori e di sicurezza, adesso dobbiamo iniziare a puntare sull’integrazione e la crescita economica». Il presidente ha inoltre fatto riferimento alla «valorizzazione delle frontiere tra i paesi, come occasioni di sviluppo, a partire dalle infrastrutture» e ha sottolineato che l’altra grande sfida per la regione è rappresentata dall’integrazione energetica, ribadendo che «gli USA sono disponibili ad agevolare l’incontro tra investimenti pubblici e privati, al fine di raggiungere l’integrazione energetica». In effetti, proprio nel quadro del Trattato di libero commercio (TLC) in vigore dal 2006 (che ha generato un raddoppio dell’interscambio con l’area, fino a 60 miliardi di dollari in sei anni), potrebbero essere realizzati investimenti sulle energie alternative. Per quanto riguarda il contributo statunitense nella lotta alla violenza e al narcotraffico, la maggiore novità è stata l’ammissione, fatta in Messico, del ruolo rivestito dalla domanda nordamericana di stupefacenti come impulso al narcotraffico: per molti analisti è questa la risposta alla proposta di legalizzazione della droga (burocraticamente rifiutata dagli USA) di alcuni presidenti latinoamericani (come il guatemalteco, Otto Pérez Molina, o l’uruguaiano Pepe Mujica). Come in Messico, anche i governi dei sette paesi riuniti nel SICA hanno espresso vive speranze per la riforma migratoria degli USA, visto che oltre 5 milioni di centroamericani vivono negli Stati Uniti e inviano annualmente 14 miliardi di dollari di rimesse nei paesi di origine (il 7% del PIL regionale).

Le aspettative per il futuro delle relazioni emisferiche nel secondo mandato di Obama sono invece diversificate, soprattutto per quanto concerne i dossier più caldi, come Cuba e Venezuela, che continuano a rappresentare un elemento di criticità, anche se con alcune sensibili novità. A Cuba il processo di trasformazione interna lascia presagire uno sblocco della situazione, magari attraverso la possibile partecipazione di Cuba, attuale presidente di turno della CELAC, alla settima Cumbre de Las Américas (prevista nel 2014). In Venezuela, in attesa dell’evoluzione del quadro politico interno verso un clima di maggior dialogo (attualmente penalizzato dalla violenta polarizzazione politica), sembra interessante l’inversione di tendenza negli acquisti di petrolio da parte di Washington da Caracas, scesi per la prima volta di circa il 35% nei primi mesi del 2013 (chiaro segnale della progressiva emancipazione del mercato statunitense).

Vi sono però altri importanti segnali positivi: sul piano politico Washington sembra interessata a consolidare i rinnovati rapporti paritari, oltre che con il Messico, con il Brasile (Dilma Rousseff visiterà gli Stati Uniti il prossimo ottobre) e con la Colombia (dove è in corso uno storico negoziato di pace e dove c’è ancora una presenza militare statunitense).

Sul piano commerciale, mentre appare ben lungi dal concretizzarsi l’Area di libero commercio delle Americhe (ALCA), i nuovi accordi che gli Stati Uniti stanno negoziando potrebbero consolidare una progressiva frammentazione commerciale dell’area sudamericana rispetto agli USA (come ha osservato Andrés Oppenheimer sarebbe già in atto un calo della quota rappresentata dal commercio con l’area LAC – America Latina e Caraibi – nella bilancia commerciale statunitense, scesa dal 39% al 38% nell’ultimo decennio). Tali dinamiche potrebbero determinare una spaccatura tra l’asse pacifico, più attraente per gli Stati Uniti a causa della sua “inclinazione” verso l’Asia (Messico, Cile e Perù sono già inclusi nella Trans-Pacific Partnership e a breve dovrebbero lanciare un’area di libero commercio nel quadro dell’Alleanza del Pacifico, con la Colombia) e quello atlantico (legato al blocco del Mercosur ), più marginalizzato dagli USA, che può invece rappresentare la sfida per l’espansione delle relazioni transatlantiche meridionali dell’Unione europea (qualora riprendessero i negoziati UE-Mercosur).

 

 


Foto: Presidencia de la República, México