Turchia. Dopo il referendum, prima delle elezioni

Di Ekrem Eddy Güzeldere Venerdì 01 Ottobre 2010 16:48 Stampa
Turchia. Dopo il referendum, prima delle elezioni Foto: Nico Crisafulli

Il referendum sulle riforme costituzionali – tenutosi in Turchia lo scorso 12 settembre – ha avuto un risultato chiaro. Eppure si tratta di un piccolo passo nel processo di trasformazione della Costituzione turca, introdotta nel 1982 in seguito a un colpo di Stato autoritario.

Il 12 settembre è per la Turchia una data simbolica. Trent’anni fa, in questa data, fu annunciato il terzo colpo di Stato militare nella storia della Repubblica. I partiti politici e le ONG vennero banditi, centinaia di migliaia di persone furono arrestate, migliaia furono quelle torturate. Quando nel 1982 i generali ritornarono nelle loro caserme  lasciarono una pesante eredità: una Costituzione autoritaria, restrittiva e tutt’altro che democratica.
Da allora un terzo della Carta costituzionale è stato già cambiato, ma il suo carattere autoritario è ancora visibile in molti aspetti. Il governo dell’AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo), al potere dal 2002, ha optato, a maggioranza assoluta, per una riforma graduale invece dell’introduzione di una Costituzione completamente nuova. Ciò a causa dell’opposizione massiccia da parte dei partiti nazionalisti, ma anche da parte della burocrazia, della magistratura e delle forze armate.
Finora il passo più importante è stata la riforma di ventitre articoli, che il governo ha presentato in Parlamento lo scorso maggio. Ventidue di questi articoli hanno ricevuto la maggioranza dei tre quinti, ma non quella di due terzi. Secondo la Costituzione turca, di conseguenza,  per entrare in vigore dovevano essere sottoposti al voto popolare. Il referendum ha avuto luogo proprio il 12 settembre. Non si poteva scegliere data più simbolica. I risultati sono stati indiscutibili: la maggioranza del 58% li ha avallati.
Da maggio a settembre però, il dibattito politico è stato interamente occupato da una campagna elettorale per procura, in gran parte irrazionale e priva di contenuti. Tanto i sostenitori quanto gli oppositori hanno esagerato la portata dei cambiamenti. Il governo li ha spacciati per il più importante passo che la Turchia potesse compiere, che avrebbe catapultato il paese nel Ventunesimo secolo, allineando la Costituzione agli standard europei. L’opposizione kemalista (CHP, Partito Repubblicano del Popolo) ha invece sottolineato il fatto che le riforme non avrebbero avuto un impatto né sulla disoccupazione né sulla crescita economica, né tantomeno sui piantatori di albicocche della Malatya. L’opposizione neonazionalista (MHP, Partito del Movimento Nazionalista) avvertiva, invece, che la riforma costituzionale avrebbe aperto la strada alle divisioni interne e al terrorismo. Nessuno delle suddette argomentazioni aveva minimamente a che fare con i reali cambiamenti, che sono in realtà molto modesti.
Gli articoli maggiormente dibattuti riguardavano la composizione e l’elezione della Corte costituzionale, i cui membri passeranno da undici a diciassette, di questi tre saranno eletti dal Parlamento e i restanti saranno invece nominati dal presidente. Questo esempio mostra chiaramente la dimensione del cambiamento. Un passo piccolo, ma anche codardo quando concerne questioni importanti. Una bozza iniziale della nuova Costituzione prevedeva infatti che tutti i membri sarebbero stati eletti dal Parlamento. Ma le critiche dell’opposizione, che accusava il governo di voler porre la magistratura interamente sotto il proprio controllo, hanno indotto l’AKP a rendere questa riforma poco più che un intervento estetico. Eppure persino questo cambiamento non ha impedito ai partiti di opposizione di insistere sul fatto che il governo stava tentando di porre gli organi giurisdizionali sotto la propria vigilanza.
Alcuni degli altri articoli che sono stati soggetti a modifica suonano bene, ma avranno ben poca influenza, come nel caso della cosiddetta discriminazione positiva per donne e bambini introdotta al fine di assicurare l’eguaglianza. Altri cambiamenti sono più concreti, ma anche politicamente molto meno controversi, per esempio i diritti sindacali o l’introduzione dell’ombudsman. Ci sono poi due aspetti che riguardano le relazioni fra civili e militari: il primo concerne il sistema della corte di giustizia militare, che verrà ristrutturato limitandone la portata; il secondo si riferisce invece alla capacità di perseguire legalmente i generali responsabili del colpo di Stato del 1980. Il referendum ha annullato il “temporaneo articolo 15” (temporaneo da ventotto anni), che salvò dal procedimento giudiziario i partecipanti al golpe, illustri generali a quattro stelle. La mattina del 13 settembre, varie ONG, partiti politici e singoli individui hanno intentato causa contro il generale Kenan Evren in varie città della Turchia. Evren ha ormai 93 anni e dunque non è chiaro se verrà mai sottoposto a giudizio, ma per molte persone che furono arrestate, torturate o che hanno perso dei familiari ai tempi del colpo di Stato, tutto ciò ha un significato fortemente simbolico.
Al di là dei cambiamenti apportati alla Costituzione, il referendum sembra avere avuto un altro effetto. Nuove iniziative da parte di vari attori politici sembrano infatti essere state messe in moto. Ciò è dovuto al fatto che il principale partito di opposizione, il CHP, può adesso contare su un 42% di “no”, quando alle ultime elezioni non aveva ricevuto nemmeno il 21% dei voti. Inoltre il partito curdo BDP (Partito Pace e Democrazia) ha almeno registrato un certo impatto quando ha invocato il boicottaggio del voto. Entrambi i partiti possono misurare adesso un nuovo spazio di manovra.
Subito dopo il referendum è cominciato un intenso dibattito su ulteriori riforme istituzionali a sui tempi per realizzarle. Una buona parte dell’attività verte intorno alla questione curda. Nel corso di un incontro tra l’AKP e rappresentanti del BDP, questi ultimi hanno presentato una lista degli articoli della Carta costituzionale che vorrebbero modificare, essi riguardano questioni come l’insegnamento della lingua materna, la definizione di cittadinanza, la decentralizzazione. Si tratta di questioni estremamente delicate e dunque è improbabile che l’AKP inserisca questi articoli nel proprio programma prima delle elezioni, poiché l’opposizione li utilizzerebbe per alimentare una campagna della paura e una facile propaganda contro il partito di governo del tipo “l’AKP cede ai terroristi”. Per evitare questo, queste riforme – che sono assolutamente necessarie per fare della Turchia un paese veramente democratico – potrebbero essere posposte fino a dopo le elezioni, nella speranza di una nuova vittoria elettorale e di una chiara maggioranza in Parlamento. In ogni caso il dibattito non si esaurirà.
Anche il CHP sta portando avanti nuove manovre politiche. Il presidente del partito, Kemal Kılıçdaroğlu, ha visitato Brussels e Berlino dopo il referendum, e ha posto l’enfasi sull’impegno del suo partito affinché la Turchia entri a far parte dell’Unione europea. In occasione di un incontro con il primo ministro Erdoğan, il leader del CHP ha proposto di costituire una commissione parlamentare per risolvere la questione dell’uso del velo per le donne.
L’AKP ha anche lanciato un altro tema, che riappare di tanto in tanto, specialmente quando i partiti si sentono forti. La trasformazione del sistema parlamentare turco in una Repubblica presidenziale, del quale l’attuale primo ministro potrebbe diventare il primo presidente. Tuttavia, l’introduzione di un sistema presidenziale senza una preventiva decentralizzazione al momento non sembra un cambiamento auspicabile. Una devolution veloce sembra peraltro molto improbabile.
La discussione su ogni sorta di riforma costituzionale si intensificherà nei prossimi mesi. Comunque, se riforme di ampio respiro verranno introdotte prima delle elezioni della prossima estate dipenderà dal coraggio e dalla strategia dell’AKP, ma anche dall’evolversi del clima politico. Un dialogo costruttivo con il BDP, il cessate-il-fuoco del terrorista PKK, la riduzione o l’assenza di scontri militari saranno tutte condizioni favorevoli per la messa a punto di un pacchetto di riforme. Poiché però sono in molti ad opporsi alle riforme, tanto fra gli estremisti turchi quanto fra quelli curdi, c’è sempre il pericolo che queste verranno sabotate, com’è già successo spesso in passato. Tuttavia, come gli avvenimenti degli ultimi anni hanno dimostrato, i cambiamenti costituzionali verrebbero solo posposti, perché non è più questione di se si faranno, ma di quando si faranno.

 

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Per approfondire:
The white path
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Foto: Istanbul Modern di Nico Crisafulli