Elezioni presidenziali iraniane: alcune considerazioni in attesa dell’ufficializzazione delle candidature

Di Nicola Pedde Mercoledì 22 Maggio 2013 14:58 Stampa

Il prossimo 14 giugno si terranno in Iran le elezioni per eleggere il successore di Ahmadinejad, il quale non può, secondo la Costituzione iraniana, correre per un terzo mandato consecutivo. Fra i ben 686 aspiranti presidenti (la cui candidabilità è al momento al vaglio del Consiglio dei Guardiani) spiccano i nomi di Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente per due volte dal 1989 al 1997, di Mohammad Baqer Qalibaf, sindaco di Teheran, e soprattutto quello di Esfandiar Rahim Mashaei, cognato di Ahmadinejad e fautore della politica di scontro diretto con l’establishment teocratico.


Il Consiglio dei Guardiani – l’organo istituzionale chiamato a verificare le credenziali anagrafiche, scolastiche, morali e religiose dei candidati alle elezioni presidenziali iraniane – si aspettava certamente un elevato numero di candidature per il voto del prossimo 14 giugno, ma non certamente in così ampia misura come invece si è verificato quest’anno.

Sono stati, infatti 686, i cittadini iraniani che hanno deciso di provare la carta della selezione per concorrere alla massima carica (eletta) dello Stato, e tra la loro circa trenta donne. Che, tuttavia, sono state inaspettatamente escluse in virtù di un’interpretazione restrittiva della Costituzione, come ha ufficialmente annunciato l’anziano ayatollah Yazdi, ponendo fine a una lunga diatriba interpretativa circa il senso attribuito dal legislatore agli articoli della Costituzione inerenti la figura del Presidente e la sua elezione.

Visto quindi il gran numero di candidati, il Consiglio non ha potuto far altro che chiedere una proroga di cinque giorni nel processo di selezione, alimentando in tal modo ancor di più il già intenso clima politico nazionale.

Ciò che rende difficile il ruolo del Consiglio dei Guardiani in questa delicata fase, tuttavia, non è l’elevato numero delle candidature, ma la presenza di candidati considerati pericolosamente destabilizzanti dall’establishment per gli equilibri politici e sociali della Repubblica Islamica. Imponendo quindi la necessità di un’attenta e accurata valutazione delle procedure da applicare in sede di valutazione.

 

La Guida e le elezioni

Per la Guida Suprema Ali Khamenei, un’esigenza imperativa domina qualsiasi altra considerazione sulle non poche inerenti le prossime elezioni: è necessario evitare nel modo più assoluto il ripetersi dei fatti e soprattutto delle tensioni del 2009. A qualsiasi costo.

La Guida teme, infatti, ben conoscendo gli umori dell’opinione pubblica nazionale, che un clima di aperta conflittualità e di contestazione possa minare la credibilità delle istituzioni nazionali, dando avvio a manifestazioni di piazza che in questo frangente sarebbero facilmente alimentate dalla forte pressione esercitata sulla popolazione dalle sanzioni.

La crisi economica e occupazionale ha infatti dominato gran parte del dibattito politico che nel corso degli ultimi mesi ha anticipato le elezioni presidenziali del prossimo giugno, dimostrando con chiarezza quali siano i temi di interesse primario di quasi ottanta milioni di iraniani, e dando quindi il metro dell’esplosività dei toni politici nazionali.

Per evitare un’escalation e riportare il paese gradualmente sulla strada della stabilità, la Guida auspicava la candidatura di singoli e coalizioni riconducibili essenzialmente all’area moderata del sistema conservatore, in modo da costituire un poderoso blocco di opposizione alle mire dell’ex presidente Mahmood Ahmadinejad, e solo apparentemente competitivo al suo interno.

In tal modo, quindi, si sarebbe assicurata la vittoria di un candidato fedele alla linea di continuità delle istituzioni, e al tempo stesso capace di smorzare i toni della compromessa posizione iraniana sul piano internazionale. Soprattutto cercando di definire i margini di una soluzione onorevole della complessa e pericolosa questione nucleare.

In tale quadro, quindi, in molti avevano guardato con interesse alla candidatura dell’attuale sindaco di Tehran, Mohammad Baqer Qalibaf, largamente apprezzato dall’opinione pubblica iraniana, e soprattutto dalla sterminata maggioranza dei giovani, che rappresenta il principale peso della bilancia politica nazionale.

Qalibaf, ex generale dei Pasdaran, ex comandante delle forze di Polizia, e stimato sindaco di Tehran è notoriamente un conservatore, lealmente allineato sulle posizioni politiche della Guida, ma anche altrettanto notoriamente conosciuto per la propria moderazione politica, l’apertura al cambiamento e la capacità gestionale conquistata nella difficile posizione di sindaco della capitale. Un ottimo candidato quindi, che avrebbe potuto intercettare con facilità sia il voto generazionale, spaziando tra prima e seconda generazione con discreto successo, sia quello ideologico, riuscendo senza dubbio ad attrarre nelle sua fila un gran numero di ex sostenitori della galassia riformista e dell’ormai defunta onda verde.

 

Le sorprese dell’ultima ora

A complicare la questione delle candidature elettorali, tuttavia, sono stati ben due personaggi di spicco della politica iraniana, che hanno riportato l’asse degli equilibri pre-elettorali nuovamente in uno stato critico e potenzialmente esplosivo.

La prima grana per la Guida, e conseguentemente per Qalibaf, era in un certo senso attesa. L’ex presidente Mahmood Ahmadinejad aveva, infatti, preannunciato la sua intenzione di favorire la candidatura di un proprio esponente politico, sebbene in pochi avrebbero scommesso sulla possibilità di veder scendere in capo direttamente Esfandiar Rahim Mashaei, cognato di Ahmadinejad e fautore della politica di scontro diretto con l’establishment teocratico del paese.

Mashaei è diventato celebre in Iran nel corso del doppio mandato presidenziale di Ahmadinejad, avendo apertamente posto in discussione la credibilità religiosa e istituzionale di gran parte del vertice politico e religioso iraniano, attuando una spregiudicata politica basata sulla retorica mahdista, letta tuttavia attraverso una lente politica mirata a delegittimare il potere politico del clero, e soprattutto della Guida.

Per questa ragione, Mashaie è stato oggetto di violenti attacchi, e ha rischiato – e forse ancor oggi rischia – di essere imprigionato sotto il peso della pesante accusa di “deviazionismo” e stregoneria. La Guida Suprema in persona si è opposta nel 2009 a ogni ipotesi concernente la sua nomina alla vicepresidenza della Repubblica, facendo intendere molto chiaramente al presidente quali sarebbero stati i limiti e soprattutto i confini dell’azione pubblica dello scomodo cognato.

La Guida si aspettava quindi un candidato espresso dal gruppo politico dell’ex presidente, ma in pochi ritenevano possibile una candidatura così spudoratamente ostile come quella di Mashaie. Oggi si presenta quindi l’incognita connessa alla sua gestione.

Se da un lato sarebbe facile estrometterlo dalla corsa alle elezioni presidenziali, attraverso un qualsivoglia cavillo di natura giuridica, morale o religiosa (in ognuno dei tre ambiti Mashaie presenta evidenti lacune rispetto alle specifiche della legge elettorale), dall’altro con la sua esclusione si otterrebbe l’effetto di generare un diffuso malcontento nella non modesta linea di sostegno politico dell’ex presidente, introducendo in tal modo una pericolosa variabile nell’orientamento di voto alla data del 14 giugno, quando i sostenitori di Ahmadinejad potrebbero essere compattamente chiamati a sostenere il candidato meno favorevole alla linea della Guida e dell’establishment.

Ulteriore elemento di preoccupazione per i vertici istituzionali del paese è poi la candidatura di Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, già presidente per due volte dal 1989 al 1997, e attualmente presidente del Consiglio per il Discernimento, il potente organo istituzionale di sostegno alla Guida, incaricato di dirimere le controversie tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani.

Rafsanjani è oggetto di giudizi contrastanti in seno all’opinione pubblica iraniana, che spazia tra accaniti sostenitori del suo liberismo economico e conservatorismo politico e feroci oppositori, che lo considerano al contrario un corrotto e spregiudicato politico interessato al proprio personale tornaconto istituzionale ed economico. Nelle elezioni del 2005, che videro l’elezione di Mahmood Ahmadinejad al suo primo mandato, Rafsanjani pagò il prezzo politico della sconfitta proprio sulla base delle pesanti accuse mosse dall’elettorato all’ex presidente, perdendo di misura le elezioni al ballottaggio.

Sebbene nettamente più vicino alla Guida di quanto non possa essere Mashaie, Rafsanjani rappresenta un’incognita per la sua indipendenza e soprattutto per la più volte sbandierata volontà di fare piazza pulita dei vecchi schemi della Repubblica Islamica, ristabilendo l’equilibrio e la stabilità. Progetto ambizioso e lodevole, di cui sfugge tuttavia alla Guida la portata e soprattutto la modalità di esecuzione.

Elezioni che si annunciano quindi estremamente interessanti e importanti, e sulle quali sarà opportuno tornare a formulare qualche considerazione presto, quando cioè il Consiglio dei Guardiani dovrebbe annunciare la rosa dei candidati ammessi. A meno di non chiedere un’ulteriore proroga per far fronte al difficile processo di selezione.