Turchia. Nuove polarizzazioni, nuove coalizioni, nuove fratture

Di Ekrem Eddy Güzeldere Martedì 11 Giugno 2013 16:38 Stampa
Turchia. Nuove polarizzazioni, nuove coalizioni, nuove fratture Foto: Ekrem Eddy Güzeldere

Le manifestazioni di Gezi Park a Istanbul, nate inizialmente per salvare qualche albero dall’edificazione massiccia della città, hanno velocemente travolto l’intero paese mettendo in luce il continuo sgretolarsi del consenso di cui il governo AKP e il suo primo ministro godevano e le nuove fratture sociali che caratterizzano oggi la Turchia.


Dallo scorso 28 maggio molti cittadini turchi hanno cominciato a protestare contro il primo ministro Erdogan e il suo partito di governo, l’AKP. Da una piccola manifestazione contro il taglio di diversi alberi nel centrale Gezi Park di Istanbul, le contestazioni contro la tendenza autoritaria di governo, le interferenze nello stile di vita degli elettori (non necessariamente dell’AKP) e contro il prevalere dell’edificazione sulle preoccupazioni ambientaliste, si sono estese all’intero paese. Gli alberi di Gezi Park, un parco di Istanbul piuttosto piccolo, poco frequentato e non particolarmente bello, sono diventati il catalizzatore che ha incanalato le frustrazioni di una parte significativa della popolazione.

Queste due settimane di protesta sono state piene di sorprese. Nuove coalizioni sono venute alla luce, così come nuove fratture.

A partire dal colpo di Stato del 1980, uno dei mantra prevalenti negli studi sociologici e politici era che la gioventù turca è fondamentalmente apolitica, interessata solo ai consumi e pronta a offrire una resistenza minima pur di raggiungere un guadagno personale. La “coalizione di Gezi Park”, la cui età media è di circa 25 anni, dimostra che queste erano supposizioni errate. I giovani turchi sono certo meno ideologici della generazione del ’68, ma “non ideologico” e apolitico non si equivalgono.

Un’altra opinione che veniva data per certa circa la società turca era che quest’ultima è chiaramente divisa in sfere separate, caratterizzate da diversi processi di socializzazione, che si guardano reciprocamente con indifferenza, nella migliore delle ipotesi, o con ostilità, nella peggiore, in una società sempre più polarizzata.

Gezi Park non è molto grande. Nei suoi 300 metri di lunghezza si sono ritrovati marxisti, kemalisti, musulmani anticapitalisti (sì, questo gruppo esiste), esponenti della minoranza alevita, ONG femminili, rappresentanti della comunità LGBT, non musulmani, stranieri che vivono a Istanbul o semplicemente in visita, atei e donne velate. Mentre in un angolo l’Unione giovanile turca grida lo slogan “Noi siamo i soldati di Atatürk”, 250 metri più in là alcuni simpatizzanti del PKK urlano “lunga vita al nostro leader Öcalan”. A metà strada tra i due capannelli, un gruppo religioso prega e recita il Corano, mentre alcuni workshop su varie tematiche intrattengono i bambini.

Questi gruppi politici così diversi non sono organizzati da alcun partito politico. Per la prima volta in novant’anni di storia della Repubblica turca, questi movimenti civili indipendenti prendono coscienza del fatto che essi sono, se non la maggioranza, certamente una massa significativa.

Le proteste hanno però esposto anche la maggiore polarizzazione e le crescenti fratture sociali. Una la si riscontra fra Erdogan e quegli elettori che non votano per l’AKP; l’altra è fra i cosiddetti “intellettuali islamici liberali” e quanti scrivono di cronaca oppure conducono programmi televisivi.

Per l’AKP e il suo primo ministro una delle principali risorse è sempre stata la possibilità di apparire come un partito onnicomprensivo votato in tutto il paese. Per questa ragione in passato ha cercato di avvicinare curdi, liberali e allo stesso tempo ha tentato di attirare la più grande minoranza religiosa, quella degli Alevi. Questa immagine, tuttavia, a partire dal 2009 ha cominciato ad offuscarsi, e le reazioni alle proteste, le accuse ai manifestanti di compiere dei saccheggi, l’assurda pretesa che si trattasse di una cospirazione internazionale sono stati il colpo di grazia a un consenso già fortemente indebolito. Erdogan adesso, parlando delle manifestazioni, si riferisce a “noi e loro” e non più a “noi per tutti”.

La seconda frattura che si è andata insinuando nella società civile è fra gli intellettuali islamici e i liberali. All’epoca dell’influenza delle Forze armate, delle attività dello “Stato profondo”, dell’autoritarismo dell’attuale Costituzione, delle discussioni per concedere maggiori diritti a curdi e cristiani, c’era l’illusione che esistesse una coalizione fra la sinistra e gli intellettuali islamici per più libertà, democrazia e trasparenza. Ora che il governo è al centro delle critiche, questi intellettuali islamici hanno serrato i ranghi con il governo per difendere il primo ministro, liquidando i manifestanti e i loro sostenitori come teppisti e terroristi. Questa frattura era già emersa durante i dibattiti sulla nuova legge sugli alcolici, che ne ha limitato l’uso e la visibilità. Mentre gli intellettuali di sinistra avevano difeso il diritto delle studentesse con il velo di frequentare l’università o di trovare un impiego statale, la solidarietà degli intellettuali islamici è venuta del tutto meno quando la discussione si è spostata su altri stili di vita. Bere vino è stato equiparato all’uso di cocaina.

Nel corso di quest’ultimo finesettimana, il primo ministro Erdogan ha cercato con tenacia di buttare altra benzina sul fuoco. Invece di invitare al dialogo quanti lo criticano, li ha invitati a un più aspro confronto: «se continuerete a protestare, parleremo una lingua che voi possiate comprendere». L’intransigenza del governo è diventata ancora più evidente quando l’AKP ha deciso di tenere tre massicce manifestazioni di piazza il 14 e 15 giugno prossimi ad Ankara e Istanbul, e la settimana successiva a Smirne. Il messaggio è “noi siamo di più, siamo potenti e siamo dominanti”. Se un governo che ha ricevuto quasi il 50% dei voti alle ultime elezioni e che governa con una maggioranza assoluta ritiene di dover reagire a un movimento civile giovanile, questo non può certo essere considerato un segno di forza.