Negoziati Iran e 5+1: la Francia fa saltare l’accordo, ma resta la volontà di definire una soluzione

Di Nicola Pedde Lunedì 11 Novembre 2013 17:38 Stampa
Negoziati Iran e 5+1: la Francia fa saltare l’accordo, ma resta la volontà di definire una soluzione Foto: U.S. Department of State

Le speranze che lo scorso finesettimana si potesse raggiungere un primo accordo fra Iran e i 5+1 sulla riduzione del programma nucleare iraniano sono, per il momento, rimandate al prossimo incontro, che si terrà il 20 novembre. La Francia, infatti, a sorpresa, ha sottolineato l’esistenza di elementi di divisione fra le parti. A prescindere dalle molte difficoltà che ostacolano il cammino verso un compromesso, le dichiarazioni francesi gettano un’ombra sulle ambizioni regionali di Parigi.


Sembrava ormai raggiunto a Ginevra l’accordo tra l’Iran e i paesi del 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania). Gli Stati Uniti e l’Iran, seguiti e appoggiati dalla Germania, dalla Russia, dalla Cina e persino dalla perennemente scettica Gran Bretagna, erano riusciti a definire il punto di partenza di un accordo che avrebbe potuto cambiare il corso della storia in Medio Oriente.

Il criterio generale dell’accordo tra le parti, basato sulla concreta e manifesta volontà di tutti di individuare una soluzione complessiva, era imperniato sulla necessità di procedere per step progressivi, partendo dall’immediata sospensione del processo di arricchimento dell’uranio, per inserire poi gradualmente tutte le altre questioni tecniche relative al funzionamento degli impianti, alle modalità di conduzione delle ispezioni, alla gestione delle scorte di uranio già arricchito e agli aspetti tecnici minori.

Sino alla mattina di sabato 9 novembre, tutto faceva presagire che l’accordo fosse ormai a portata di mano, se non già addirittura definito de facto, e a confermare questa interpretazione dei fatti aveva contribuito anche la massiccia partecipazione dei ministri degli Esteri delle parti coinvolte. John Kerry, Laurent Fabius, Sergei Lavrov, Catherine Ashton e Javad Zarif si erano infatti trovati tutti a Ginevra nella cornice di quello che era apparso come un incontro storico e che avrebbe dovuto concludersi con il documento programmatico di accordo.

È stato quindi accolto con estremo stupore, soprattutto per i diplomatici presenti all’incontro, il comunicato del portavoce francese in cui – molto poco diplomaticamente, prima ancora che Catherine Ashton prendesse la parola a nome dell’Unione europea – si annunciava l’emergere di posizioni discordanti e l’impossibilità di definire l’agognato compromesso.

Visibilmente irritati dalla posizione francese, i rappresentanti delle altre nazioni presenti al tavolo delle trattative hanno brevemente commentato la notizia del mancato accordo, parlando ottimisticamente di «riduzione delle differenze tra le parti», lasciando aperta la porta per il successivo incontro (che si terrà il prossimo 20 novembre), ma non nascondendo in alcun modo il proprio disappunto per l’inaspettata decisione della Francia di impedire il raggiungimento del risultato atteso. 

Secondo quanto trapelato dalla sala del negoziato, nelle prime due giornate di incontri i rappresentanti dei paesi coinvolti avrebbero individuato e definito soddisfacente come avvio del processo negoziale una formula progressiva basata sulla immediata sospensione dell’arricchimento e sulla successiva definizione delle questioni tecniche e operative. Poco prima di precisare il perimetro dell’accordo, tuttavia, la delegazione francese avrebbe sollevato la questione della centrale di Arak – peraltro non ancora in funzione – e della gestione delle riserve di uranio arricchito già disponibili negli stock iraniani, determinando in tal modo l’impossibilità di raggiungere un risultato e facendo venir meno la possibilità di una progressione graduale delle trattative.

Per quale ragione la Francia avrebbe determinato il fallimento – auspicabilmente solo parziale e temporaneo – del negoziato?

Sono in molti a cercare una risposta a questa domanda all’indomani della conferenza di Ginevra. E la spiegazione che appare più plausibile è quella della difesa a oltranza di una linea di politica estera indipendente e ambiziosa – quanto irrealista e anacronistica – che ha preso il via con la crisi libica prima, con la Siria e il Mali poi, e con la speranza adesso di poter giocare un ruolo nel riassetto degli interessi che dividono il Golfo Persico.

Un tentativo di consolidare gli interessi del paese, quindi, sulla rinnovata comunanza di interessi di Parigi con Tel Aviv e Riyad, nel solco di una progettualità politica che sembra voler concedere ben poco spazio a qualsiasi cambiamento nella regione, consolidando in tal modo un ormai vacillante status quo.

La Francia può giocare questa carta solo grazie alla debolezza – attuale o, ormai, strutturale che sia – degli Stati Uniti e alla tradizionale incapacità dell’Unione europea di formulare una propria linea politica unitaria e condivisa.

Ma è alquanto improbabile, soprattutto alla luce dei disastrosi effetti sino ad oggi generati in tutto il Medio Oriente, che questa strategia possa risultare sostenibile e, soprattutto, fruttuosa.

I team negoziali dell’Iran e del 5+1 si riuniranno nuovamente a Ginevra il prossimo 20 novembre. Nonostante la battuta d’arresto, non verrà certo meno la volontà delle parti di trovare un accordo, ma un numero sempre maggiore di ostacoli sarà presente lungo il cammino.

Il Congresso degli Stati Uniti potrà in questi dieci giorni rinfacciare al presidente Obama la propria percezione dell’impossibilità di raggiungere un accordo per colpa degli iraniani, mentre in Iran argomentazioni più o meno simili saranno sbandierate a Rohani da parte delle componenti più radicali e ostili al riavvicinamento con gli USA, dimostrando ancora una volta come “qualsiasi cosa offra l’Iran, non sia mai sufficiente”.

L’Arabia Saudita intensificherà la sua azione diplomatica a Washington, in un’improbabile comunanza di interessi con Israele, cercando di dimostrare a ogni livello dell’Amministrazione statunitense quale e quanto grande sia il rischio di una politica conciliatoria con l’Iran.

L’Unione europea non riuscirà probabilmente in alcun modo a capitalizzare la portata della débâcle di Ginevra, mancando così l’opportunità di definire una scelta di politica estera di comune interesse e utilità. E vanificando ancora una volta l’opportunità per giocare un ruolo politico significativo, anziché di spettatore.

La Cina e soprattutto la Russia cercheranno di tessere relazioni diplomatiche separate alla ricerca di una linea d’accordo per il prossimo appuntamento, senza tuttavia nutrire troppe speranze di riuscire a convincere gli europei circa la necessità di una coesione.

Ciononostante, non tutto è perduto. La volontà negoziale dimostrata nel coso dei primi due appuntamenti di Ginevra è ancora presente, così come l’intenzione di perseguire a ogni costo un risultato che permetta di avviare la macchina del confidence building, su cui innestare un laborioso ma vicendevolmente proficuo percorso di crescita per step progressivi.

L’obiettivo, quindi, è oggi quello di limitare i danni nei dieci giorni che separano dal nuovo appuntamento, cercando al tempo stesso di individuare un meccanismo di coesione del gruppo del 5+1 in grado di impedire il ripetersi di unilateralismi inutili e ingiustificati.

 

 


Foto: U.S. Department of State