Congresso PD: affrontare il nodo delle ragioni della sconfitta elettorale

Di Fausto Raciti Giovedì 19 Settembre 2013 15:39 Stampa
Congresso PD: affrontare il nodo delle ragioni della sconfitta elettorale Foto: Francesca Minonne

Dal dibattito che sta segnando l’avvicinamento del Partito Democratico al congresso viene regolarmente rimossa una questione cruciale: il PD ha perso le elezioni, e se non vuole trasformare questo nel proprio destino farà bene ad aprire la discussione sul perché ciò è accaduto. Il congresso dovrebbe partire proprio da qui.


Nonostante si conoscano solo a grandi linee le regole che ne segneranno lo svolgimento, il congresso del Partito Democratico è già iniziato. È un bene che sia così, se non vogliamo che il perimetro della discussione e della decisione politica si restringa fino a comprendere i soli rappresentanti istituzionali del PD, alimentando la percezione di un partito ostaggio di gruppi dirigenti superati dalle cose e incapace di assumere una linea politica che sia più della semplice mediazione tra le posizioni di volta in volta in campo.

La presenza di Enrico Letta alla leadership del governo rende tutto questo più vero: sarebbe un errore inseguire l’illusione che un partito più docile e silenzioso possa garantire un sostegno valido all’azione dell’esecutivo. Una volta che il PD si sarà liberato dagli automatismi per i quali segretario e candidato premier (ruolo peraltro non previsto dalla Costituzione) coincidono, sarà più facile svolgere un confronto tra linee politiche diverse con la serenità di chi sa che il governo ha buone ragioni per temere il PDL, ma non per temere il PD e la sua discussione.

Cosa manca, però, per affrontare una discussione utile? Come si fa a poggiarla sulla difficile realtà in cui agiamo e non sull’ennesima illusione della “volta buona”, e cioè che trovato il leader giusto i nostri problemi, che hanno un carattere profondo, possano sparire d’incanto?

Sarà meglio, per evitare nuove e cocenti delusioni, sgomberare il campo da alcune tendenze che rischiano di vanificare i mesi di discussione politica che ci aspettano e ai quali guarda ancora con interesse una buona parte del paese.

La prima è una forma di doroteismo che ha conquistato numerosi e vivaci interpreti determinati a difendere le rendite di posizione che nel corso di questi anni sono state colpevolmente alimentate. Nonostante l’utilizzo frequente della retorica della rottamazione, infatti, dietro Matteo Renzi tenta di ricostruirsi una posizione una parte di ceto politico, di varia provenienza, che ha la spiccata attitudine a interpretare l’appartenenza al PD come se partecipasse di una società per azioni: cioè con l’occhio ai dividendi politici che ciascuna scelta determina. Questo atteggiamento politico, a cui siamo stati abituati nel corso degli anni recenti, è una delle più profonde cause delle difficoltà del centrosinistra italiano. È stato infatti questo tipo di logica ad avere paralizzato il PD nei mesi del sostegno all’esecutivo guidato da Mario Monti, rendendolo incapace di fare apprezzare la sua voce proprio nel momento in cui serviva di più.

Speculare a questo atteggiamento, si è fatta largo, anche tra molti simpatizzanti e militanti del Partito Democratico, l’idea che si possa ridurre il congresso a una moralistica resa dei conti tra un PD sano e uno malato, incarnato dai cosiddetti 101, che si sono rifiutati di votare per l’elezione di Romano Prodi a presidente della Repubblica. Il capo d’accusa principale loro rivolto è però un altro: avere deviato il naturale corso delle cose, che avrebbe portato alla nascita del governo di cambiamento, provocando come esito deliberato le larghe intese tra PD e PDL.

Entrambe queste tendenze, anche a causa dello scarso coraggio nell’affrontare la verità dimostrato dal gruppo dirigente democratico dalla notte delle elezioni in poi, hanno in comune la rimozione della sconfitta elettorale. Tanto i primi sono convinti che tutto possa continuare come prima, quanto gli altri sono certi che se abbiamo un governo di larghe intese è per un complotto e non, invece, per una sconfitta subita nelle urne.

Il congresso, al contrario, dovrebbe partire proprio da qui: il PD ha perso le elezioni e se non vuole trasformare questo nel proprio destino farà bene ad aprire la discussione sul perché ciò è accaduto. È pericoloso avventurarsi alla ricerca di un segretario senza assumere questo come il perno di una riflessione sul nostro futuro. Omissioni e ipocrisie fino a questo momento non hanno permesso di svolgere una analisi seria e inquadrata nella storia europea recente, come se il congresso potesse azzerare biografie politiche individuali, responsabilità e percorsi collettivi.

A ogni rimozione corrisponde la riproposizione dei medesimi errori del passato. E, per quanto riverniciato, è al passato che rischiamo di tornare: una piattaforma politica liberale, una leadership che si affida al proprio carisma, un partito che ritorna semplice trampolino di lancio verso i percorsi istituzionali, l’illusione di potercela fare da soli che ha accompagnato come una maledizione tutti i leader che si sono avvicendati fino a questo momento alla guida del PD.

Si può ancora cambiare film. Basta volerlo.

 


Foto: Francesca Minonne

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