Si fa presto a dire presidenzialismo

Di Michele Prospero Martedì 15 Ottobre 2013 17:34 Stampa
Si fa presto a dire presidenzialismo Foto: Presidenza della Repubblica

Negli ultimi due anni, il capo dello Stato ha indubbiamente fatto un uso estensivo delle prerogative che gli sono attribuite. Eppure interpretare questi sviluppi come l’imporsi di una forma di presidenzialismo sarebbe fuorviante, perché il presidente non si è arrogato poteri che non gli spettano ma, in un quadro di crisi di sistema, ha agito da impulso per rimettere in moto il sistema politico.


A interpretare come presidenzialismo di fatto lo scorcio della presidenza Napolitano, che va dal varo del governo tecnico alla rielezione al Colle e quindi al decollo dell’esecutivo Letta, è stato per primo Ernesto Galli Della Loggia. Che la sfera di influenza del Quirinale si sia di molto ampliata negli ultimi due anni è nell’ordine delle cose accadute nella vita istituzionale e la sovraesposizione del Colle rappresenta un dato analitico inconfutabile. Ma incasellare lo svolgimento sicuramente estensivo del ruolo del capo dello Stato entro uno stampino diverso da quello parlamentare può risultare fuorviante.

Non di una semplice alterazione della forma a Costituzione invariata si tratta (secondo la vulgata diffusa dai fogli di destra e da “Il Fatto Quotidiano”) ma di un fenomeno più complesso. Nell’accresciuto impatto istituzionale del Colle si riscontra una logica della politica che, in giunture critiche, sollecita il periodico risveglio di una funzione dormiente che si rivela indispensabile per la ricalibratura dei poteri e per la rialimentazione della normalità istituzionale bloccata e incapace di riprendere da sé le solite attribuzioni formali.

Dal 2011 al 2013 si è consumata una crisi di sistema, è caduto, per la seconda volta in vent’anni, il già fragile sistema dei partiti e nuove formazioni sono apparse nei luoghi della rappresentanza. Prima la dissoluzione catastrofica del governo Berlusconi sotto la furia dei mercati, e dopo la comparsa di un tripolarismo paralizzato uscito dalle consultazioni d’eccezione del 2013 hanno distrutto le condizioni per gestire l’emergenza con le risorse normali del sistema dei partiti. Dal completo blocco della funzionalità del sistema politico, come altre volte già è accaduto (con Scalfaro soprattutto), la trama dei poteri riprende a muoversi secondo dei ritmi accettabili solo grazie all’impulso del Quirinale che dalle tradizionali prerogative di controllo e vigilanza transita a una più attiva determinazione della complessiva dinamica istituzionale.

L’azione di supplenza e di direzione della navigazione è esplicita. Non si tratta però di un degenere presidenzialismo di fatto che persegue un disegno personale di alterazione delle garanzie e della mappa dei poteri, ma della occupazione di una casella rimasta vuota. Il Colle interventista opera pur sempre in un’ottica di supplenza compatibile con l’impianto costituzionale e con le risorse dell’ordinamento attivabili per la gestione dei momenti di paralisi. Questo delicato ruolo di garante dell’equilibrio e di attore impegnato in prima persona nel ripristino della funzionalità dei poteri è ancora dentro i dispositivi elastici della Costituzione vigente. Con più o meno modiche rotture della consuetudine quirinalizia riscontrabile nei tempi normali, e con un visibile interventismo multilivello gestito in virtù di declinazioni estensive delle facoltà presidenziali, Napolitano ha offerto una sponda istituzionale necessaria per contenere le incognite di un periodo politico eccezionale altamente incerto.

E questo inserimento nel campo tradizionalmente gestito dagli attori politici, che si riscontra in casi eccezionali, non altera il ruolo di custode spettante al Colle e quindi non autorizza a ipotizzare la caduta in un proteiforme presidenzialismo di fatto. I poteri del capo dello Stato restano invariati e spesso nulli o neutri sul piano formale. È l’influenza politica che è cresciuta ma come rimedio estremo a una condizione di grave incertezza. E solo con l’avallo dei soggetti politici esistenti una tale capacità di influenza si è mantenuta. Nulla ha però potuto Napolitano per bloccare la discesa sgradita nell’arena politica da parte di Monti, nominato senatore a vita proprio per disegnare sulla sua figura un ruolo di riserva della Repubblica. E niente egli ha potuto minacciare in concreto per dissuadere Berlusconi dal proposito di uscire dalla maggioranza che sosteneva Monti. Il vuoto della politica, e non un qualche abuso formale, riempie di reale contenuto le facoltà di intervento e di condizionamento del presidente.

L’esperienza delle larghe intese è in effetti stata esplicitamente sollecitata e avallata da Napolitano, scettico su altre soluzioni ritenute non facilmente praticabili. Il governo Letta al pari di quello Monti suppone un doppio circuito fiduciario, quello sostanziale che lo lega al supporto e al consiglio discreto del Colle e quello formale-procedurale che lo riconduce pur sempre alla fonte di legittimazione che è il Parlamento. Sul piano formale nulla è però mutato. La sopravvivenza del governo Letta, in una fase assai difficile apertasi dopo le condanne di Berlusconi, è dipesa da nitide scelte politiche (la spaccatura del PdL per scongiurare una crisi al buio come ritorsione alle disgrazie del leader). Senza l’avallo di un sostegno politico maggioritario, le pistole a disposizione del Quirinale sarebbero scariche.

Il ruolo politico che di fatto viene esercitato dal capo dello Stato non indica il godimento di un plusvalore di comando, che pare ingiustificato dalla forma vigente e che pertanto sollecita un adeguamento costituzionale ai canoni autentici del regime presidenziale. L’esperienza istituzionale conferma semmai la flessibilità dell’impianto costituzionale vigente che affida al prestigio e anche alla creatività del capo dello Stato la gestione accorta di espliciti momenti di crisi che, nello scacco acclarato della politica, richiedono una forte capacità di invenzione formale e un’attitudine alla fluidità procedurale che travalica i passaggi rigidi e predeterminati.

Dinanzi a una competizione politica sbiadita, che assume fisionomie tecniche e dinamiche carnevalesche, spicca l’assunzione di un più marcato ruolo politico del presidente che peraltro non abbandona le sue vesti di arbitro e garante. Mutamenti in atto nei partiti, la formazione di nuove leadership già sembrano prefigurare (è del tutto evidente nell’accusa di autogol a proposito del messaggio presidenziale sull’indulto e l’amnistia) passaggi politici inediti che evocano lo scenario di un indebolimento del grado di persuasività morale riconosciuta sinora alla figura del presidente. Il distacco dall’agenda Napolitano che pare profilarsi dalle nuove maggioranze del PD, l’ostilità esplicita della destra e di Grillo nei suoi confronti, accentuano la solitudine politica del Quirinale e smentiscono la sussistenza di un irresistibile presidenzialismo di fatto.

Il Colle è al centro di svariate operazioni di ridimensionamento che confermano che non ha affatto allargato le sue potestà di consiglio in un modo irreversibile. Il biennio del presidenzialismo di fatto una cosa comunque pare mostrare. In un sistema sempre in bilico per la friabilità dei partiti, è auspicabile per la tenuta del sistema che almeno al Colle abiti un politico abile, pronto a ogni evenienza per tamponare le emergenze nello spirito però di una grande lealtà costituzionale. Figure di estrazione tecnica o provenienti dalla società civile aumenterebbero invece le rigidità del sistema condannando le istituzioni all’usura definitiva.

 

 


Foto: Presidenza della Repubblica

 

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