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Fotografia di una vittoria annunciata della destra

Come da tradizione italica, della “fuga dalle urne” in atto da tempo si è parlato giusto nell’intervallo tra la chiusura dei seggi e l’arrivo dei primi risultati. Eppure mai come quest’anno il crollo della partecipazione è stato così fragorosamente rumoroso. Con il 63,9% di votanti, infatti, è stato battuto il record negativo assoluto, con un arretramento di 9 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2018.
Più di un italiano su tre ha disertato i seggi, e anche il richiamo all’oggettivo impedimento dei fuori sede e degli anziani impossibilitati a muoversi, il cosiddetto “astensionismo involontario” stimato in oltre 4 milioni di potenziali elettorali

Dopo la sconfitta, la rinascita di una comunità politica

La destra ha vinto. Era un risultato atteso, ma non per questo meno scioccante per tanta parte del nostro paese e della opinione pubblica internazionale. La vittoria della destra non è il frutto di una travol­gente onda di consenso popolare. La coalizione guidata da Giorgia Meloni ha raccolto esattamente la stessa quantità di voti che aveva raccolto nel 2018. Ma ci sono tre differenze importanti. Anzitutto, che il consenso si è concentrato su Fratelli d’Italia, che ha compiuto un balzo dimezzando la consistenza di tutti i suoi alleati.

In questo numero

Il voto in Italia. La lettura attenta del voto dello scorso 25 settembre ci dice molto di un centrodestra che, pur senza conquistare un travolgente consenso popolare, è riuscita, grazie alla sua capacità di ricompattare il fronte conservatore, ad ottenere una netta vittoria politica.

Come cambierà l'Europa dopo la guerra. L’aggressione russa all’Ucraina del 24 febbraio 2022 pone l’Unione europea di fronte a un dilemma ineludibile perché esistenziale: trasformarsi in un’area politica coesa, determinata e capace di compiere scelte precise,

 

La destra dopo Trump. Viaggio nel Gruppo di Visegrad. Italianieuropei 1/2021

Dove va la destra dopo Trump. Nella cornice del cambiamento di prospettiva europeo e sull’onda della vittoria di Joe Biden negli Stati Uniti, abbiamo voluto dare la parola alla destra per offrire elementi di analisi su cui riflettere per comprendere su quali basi le forze conservatrici italiane intendono costruire il loro progetto politico dopo la fine dell’esperienza di Trump. Pur non essendo “Italianieuropei” un luogo neutrale del confronto politico, riteniamo utile in questo momento contribuire al dibattito pubblico con un approfondimento di merito su questioni di grande importanza e sulle quali certamente torneremo a discutere.

 

L'Ungheria e lo stato di diritto

Le più recenti valutazioni della Commissione europea sullo Stato di diritto in Ungheria sono tutt’altro che incoraggianti e sottolineano diverse criticità. Secondo l’istituzione: «L’indipendenza e l’efficacia del consiglio dei media sono a rischio e la trasparenza della proprietà dei media non è pienamente garantita. Inoltre l’importante numero di inserzioni pubblicitarie dello Stato affidata ai mezzi di informazio­ne filogovernativi ha consentito al governo di esercitare un’influenza politica indiretta sui media.

La crisi dello stato di diritto in Polonia

La sentenza della Corte costituzionale (Trybunał Konstytucyjny) del 22 ottobre 2020, che definisce alcune restrizioni al diritto all’interruzione della gravidanza, ha gettato una luce sulla crisi in cui versa lo Stato di diritto in Polonia. La decisione della Corte, la cui maggioranza dei membri è stata nominata dall’attuale coalizione governativa nazionalpopulista, più che per stabilire la conformità della legge vigente sull’aborto alla Costituzione pare dettata dall’obiettivo di introdurre limitazioni consentanee alle linee programmatiche della maggioranza di governo, sostenuta in maniera massiccia dai settori clericali della società, tra cui l’integralista Radio Maryja, e sottoporre il massimo organo di controllo della costituzionalità delle leggi ai desiderata dell’esecutivo. La sentenza del 22 ottobre era stata preceduta da altri provvedimenti governativi attinenti all’organizzazione della magistratura che avevano messo in allarme l’Unione europea, tra cui la costituzione dell’Organo di controllo disciplinare della Corte suprema (Izba Dyscyplinarna Sądu Najwyższego) cui è attribuita la funzione di esaminare la correttezza degli adempimenti di natura giuridica nei tribunali polacchi.

Causa efficiens. Appunti sul caso polacco

Da centocinquant’anni la storiografia polacca si domanda se vi fu una causa efficiens. Se lo domanda riguardo alle spartizioni che tra il 1772 e il 1795 cancellarono la prima repubblica nobiliare: che, peraltro, fu una monarchia, ma elettiva. Se vi fu, fu di ordine interno: il liberum veto, per cui ogni singolo deputato poteva far saltare la Dieta? O fu, al contrario, esterna: la rapacità di San Pietroburgo, Berlino e Vienna? Di Vienna forse un po’ meno, perché, firmando il primo trattato di spartizione, Maria Teresa, pare, piangeva. Federico II confermò, è vero, piangeva, e piangendo diceva: mi prendo anche questo e quello. Fino alla metà dell’Ottocento si puntò sulla causa esterna, poi su quell’interna, oggi prevale l’intreccio.
Nel periodo 1795-1918 i polacchi vissero sotto il domino di Russia, Prussia (dal 1871 Germania) e Austria (dal 1867 Austria-Ungheria). Stando male, insorsero un paio di volte e peggiorarono le cose: l’ordre règnait à Varsovie.

Gli intellettuali ungheresi, l’Europa e Orban

Quello dell’identità europea, e di conseguenza dell’Ungheria come Stato membro dell’Unione europea, è uno dei temi maggiormente presenti nella riflessione degli scrittori e in generale degli intellettuali ungheresi più influenti in patria. Scrittori e intellettuali che da tempo denunciano, purtroppo non ascoltati, la deriva antidemocratica verso cui il sistema di Viktor Orban, secondo i critici, sta spingendo sempre più il paese. A loro giudizio l’attuale primo ministro ha messo da parte i principi europei di democrazia e rispetto dello Stato di diritto e si è avvicinato pericolosamente a Vladimir Putin, a ulteriore dimostrazione delle sue tendenze autoritarie.
Diversi scrittori e intellettuali ungheresi, attivi per lo più a Budapest, sono da tempo impegnati nella critica a un sistema-paese che fa fatica a guardarsi allo specchio per trarre spunti utili a una crescita sociale e culturale, tutto questo anche prima che Orban tornasse al potere.

Trenta gloriosi? il Gruppo di Visegrad fra ambizioni storiche, risultati tattici e fallimenti strategici

Ogni vicenda politica necessita di un mito fondativo che diventi narrazione identitaria. Per il Gruppo di Visegrad questo è il congresso che vide riuniti nell’autunno 1335, ospiti della fortezza che domina l’omonima cittadina ungherese sulle rive del Danubio, i re Giovanni I di Boemia, Carlo I d’Angiò d’Ungheria e Casimiro III di Polonia. I sovrani dei grandi regni centroeuropei dell’epoca medievale si incontrarono per rinsaldare rapporti diplomatici guastati da decenni di conflitti e turbolenze sociali e per formare un’alleanza antiasburgica mirata alla creazione di nuove rotte commerciali per bypassare il porto di Vienna e ottenere un più facile accesso ai principali mercati europei. La dimensione simbolica è quindi da sempre connaturata ai risvolti pratici della temporanea alleanza scaturita dall’incontro del 1335.

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Dove va l'Europa? | L'approssimarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo impone una riflessione sulle proposte su cui i partiti e le famiglie politiche europee si confronteranno | Leggi tutto