Ferdinando Nelli Feroci

Ferdinando Nelli Feroci

è presidente dell’Istituto Affari Internazionali.

La proiezione internazionale della UE: limiti e sfide

Le numerose crisi di questi ultimi anni hanno fatto crescere la UE e la sua capacità di reazione a shock esterni, ma hanno anche sollecitato un maggiore ruolo internazionale dell’Unione e una maggiore capacità di protagonismo della UE sulla scena mondiale. Nei fatti però i risultati raggiunti nel campo della politica estera continuano a essere complessivamente percepiti come inadeguati e non all’altezza delle aspettative.

Diplomazia

Con il termine diplomazia si può intendere uno speciale metodo nell’affrontare le difficoltà e i contrasti, una speciale abilità nella trattazione di questioni complesse e nella ricerca di compromessi. O con il termine diplomazia ci si può riferire ad una carriera nella Pubblica Amministrazione, al corpo dei dirigenti dei ministeri degli Esteri incaricati a vario titolo di gestire le relazioni internazionali di un determinato paese. Ma soprattutto, con il termine diplomazia si può fare riferimento al complesso delle regole e dei processi che presiedono alle relazioni internazionali con l’obiettivo di prevenire o risolvere dispute e conflitti. Ed evidentemente, se si assume quest’ultima interpretazione del termine diplomazia, è fin troppo facile constatare che, rispetto al conflitto in corso da un anno e qualche mese in Ucraina, la diplomazia ha complessivamente fallito. Ma forse la questione merita di essere analizzata con maggiore attenzione.

L’Unione Europea e la guerra in Ucraina

Non ci sono dubbi che l’invasione russa dell’Ucraina abbia colto di sorpresa l’Unione europea, malgrado i ripetuti avvertimenti dei servizi di intelligence americani sulla minaccia costituita dal massiccio schieramento di truppe e mezzi militari russi ai confini con l’Ucraina. E sicuramente l’UE da tempo avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione ai segnali che venivano da Mosca sulla volontà di Putin di riportare l’Ucraina sotto il pieno controllo della Russia.
Una volta però iniziata l’offensiva militare russa sul terreno, e di fronte alla brutalità della aggressione russa, l’Unione europea ha reagito nel modo più adeguato e in maniera unitaria e solidale, scegliendo di contrastare l’aggressione russa con i mezzi di cui dispone, e attestandosi su una linea di difesa dei propri valori fondanti e degli interessi dell’Europa.

Bergoglio e l’Europa

Non è compito facile individuare una dottrina organica di papa Bergoglio sull’Europa in quanto entità politicamente rilevante. Ma sono invece numerosissime le occasioni il cui il papa ha parlato di Europa e all’Europa. E lo ha fatto sia in occasione dei tanti incontri che ha avuto nel corso del suo mandato con leader politici europei, sia in occasione dei suoi viaggi pastorali in vari paesi del continente. Ma anche e soprattutto quando ha avuto modo di intervenire sull’Europa, sulle sue sfide e sui suoi problemi, in occasione di incontri solenni, con interventi articolati e focalizzati proprio sui temi sui quali la sensibilità del pontefice incontrava competenze e responsabilità europee.

 

Quali condizioni per un maggiore ruolo internazionale dell’Unione Europea?

Al momento del suo insediamento, nell’autunno 2019, la nuova Commissione aveva proposto un programma di lavoro ambizioso e impegnativo: contrasto del cambiamento climatico e transizione energetica (il Green Deal); più digitalizzazione; più investimenti in infrastrutture fisiche e immateriali; più attenzione alla dimensione sociale; un’autentica politica migratoria comune. Ma aveva anche evocato la necessità di sviluppare una dimensione geopolitica, con l’ambizione di riportare l’Europa al rango di protagonista della governance globale. Poi è arrivato il Covid, che ha colpito pesantemente l’Europa e ha modificato il programma e l’agenda della UE.

Biden alla Casa Bianca: cosa cambia per l’Europa

L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti è senz’altro una buona notizia per l’Europa e per gli europei. Dopo quattro anni di Trump, un presidente americano per la prima volta dichiaratamente ostile nei confronti dell’Unione europea, profondamente scettico sulla stessa utilità della NATO, e complessivamente poco interessato alla tenuta del rapporto transatlantico (che ha vissuto più come una serie di relazioni complicate da gestire con singoli paesi, che come una scelta strategica di campo), l’Europa non può che rallegrarsi e tirare un sospiro di sollievo per la prospettiva dell’arrivo alla Casa Bianca di un presidente come Biden.
Inutile nasconderselo: mai come con la presidenza Trump si era registrato da parte europea un clima di difficoltà e di incomprensioni così evidente e così clamoroso nel rapporto con una Amministrazione americana.

 

Perché c’è ancora bisogno dell’Unione Europea

Come individuare idee e progetti per rilanciare un’idea di Europa che torni a scaldare i cuori di opinioni pubbliche nazionali scetti­che e disilluse, quando non apertamente ostili, e che sia in grado di mobilitare consensi e sostegni oltre a legittime critiche? Si tratta certamente di un’operazione complessa e dagli esiti incerti in questa congiuntura politica. Ma anche di una operazione necessaria se si vorrà evitare che alle prossime elezioni del Parlamento europeo le forze politiche che continuano a investire sul progetto di integrazio­ne subiscano un pesante ridimensionamento.

Le integrazioni differenziate: una formula già sperimentata

Le integrazioni differenziate e tutto quello che a esse è connesso non costituiscono certamente un inedito nella cornice del cammino dell’Unione europea. Al rinnovato interesse per questo tema hanno contribuito sia il riferimento agli effetti devastanti della crisi economica e finanziaria che da anni ha investito l’Europa, deprimendo tutti gli indicatori essenziali, sia la constatazione che a fronte di tale crisi le divergenze tra gli Stati membri sul futuro del progetto comune europeo restano evidenti e profonde. Il rilancio del metodo delle integrazioni differenziate costituirebbe un valido espediente pragmatico non certo per dividere o escludere ma per scongiurare ulteriori processi di dissoluzione dell’Unione europea.

Una politica industriale per la crescita

I pur incoraggianti segnali di ripresa sono ancora insufficienti per far riassorbire gli alti livelli di disoccupazione che affliggono l’Europa. È quindi giunto il momento di spostare l’attenzione sull’economia reale e sulle imprese e promuovere un Rinascimento industriale europeo. Per far ciò bisogna però agevolare l’accesso delle imprese ai mercati e ai fattori di produzione, a partire dal credito, investire nell’innovazione come fonte di competitività e migliorare il quadro normativo specifico. Tutto ciò non può ovviamente prescindere da aggiustamenti nella governance microeconomica per evitare politiche contraddittorie tra gli Stati membri. Un’industria competitiva è il presupposto essenziale per ridare all’Europa il suo ruolo di protagonista sulla scena globale.