Città, risorse locali e sviluppo del Mezzogiorno

Di Carlo Trigilia Venerdì 02 Settembre 2016 15:21 Stampa

Tra i vantaggi che la globalizzazione porta con sé vi è la creazione di nuove domande, più ricche ed esigenti, che molto apprezzano quel capitale territoriale che numerose città grandi e medie, anche al Sud, dimostrano di possedere. In particolare nel Mezzogiorno, però, la dotazione di capitale locale non si traduce automaticamente in valorizzazione, proprio perché viene meno il ruolo cruciale delle città, la loro capacità di agire da catalizzatore, da trasformatore delle risorse locali in occasioni di sviluppo. Che cosa frena la capacità di valorizzazione delle risorse locali nelle città, specie in quelle del Sud, nonostante esse presentino livelli di dotazione a volte non dissimili da quelli del Centro-Nord, e in alcuni casi addirittura superiori? Quali implicazioni ciò comporta per le politiche di sviluppo?

 

SVILUPPO E CITTÀ

La crisi economica ha colpito il Mezzogiorno in modo ancor più gra­ve del resto del paese. Il fragile tessuto produttivo delle Regioni me­ridionali è messo a dura prova, con il rischio concreto di un’ulteriore diffusione dell’economia sommersa e di una più stretta compenetra­zione tra criminalità organizzata e attività economiche. È evidente dunque che l’obiettivo di promuovere una crescita inclusiva, capace di ridurre le diseguaglianze, incrocia il tema dello sviluppo del Sud. Ma è altrettanto evidente che da tempo stenta a prendere corpo una strategia credibile. Per procedere in questa direzione bisognerebbe anzitutto partire dal Mezzogiorno che c’è. Quali sono le principali risorse di cui dispongono oggi i territori? Su quali leve si può puntare di più, tenendo conto delle trasformazioni dei mercati e delle ten­denze della domanda di beni e servizi?

La globalizzazione comporta vincoli e problemi per i paesi avanza­ti, perché accresce la concorrenza di costo nelle attività produttive meno qualificate, e perché rende più difficili politiche di protezione del lavoro e sistemi di welfare estesi che comportano un’elevata tas­sazione. Ma la globalizzazione crea anche nuove domande più ricche ed esigenti, che alimentano opportunità di sviluppo locale per chi sa combinare identità e tradizione con innovazione. Si profila una “nuova occasione”, specie per un paese come l’Italia e per il Mezzo­giorno, che riguarda la valorizzazione di risorse locali, ovvero risorse non standardizzate, connesse alla storia e alle identità dei territori: i beni culturali e ambientali, per i quali cresce una domanda di tu­rismo culturale di qualità; le tradizioni di saper fare locale, legate anche a un ruolo nuovo dei prodotti agricoli e agroindustriali, e le risorse scientifiche e di ricerca, che collegandosi alle tradizioni di sa­per fare locali possono soddisfare una domanda di beni innovativi più sofisticati e di qualità.

Le nuove domande creano occasioni di sviluppo in un paese ricco di città grandi e medie che per la loro storia e la loro identità sono parti­colarmente ricche di risorse locali. Ciò sta avvenendo anche nel Mez­zogiorno, che in molti casi – si pensi in particolare ai beni culturali e ambientali e all’agricoltura – non è meno ricco di questo capitale territoriale, ma ha una dotazione addirittura superiore a quella media delle Regioni del Centro-Nord.1 È però indubbio che ci troviamo di fronte un paradosso. Un paese particolarmente dotato per soddisfa­re le nuove domande che però riesce ad attivarle e valorizzarle solo in misura limitata, più sotto la spinta della do­manda esterna che di un’efficace strategia attiva e consapevole. E questo limite è ancor più forte nel Mezzogiorno.

Il fatto è che la dotazione non si traduce auto­maticamente in valorizzazione, ma richiede un ruolo cruciale delle città: la capacità di agire da catalizzatore, da trasformatore delle risorse loca­li in occasioni di sviluppo. Nel vecchio mondo fordista, l’innovazione era meno dipendente dalle città, era più lega­ta alla storia e ai caratteri organizzativi delle grandi imprese. Nelle nuove condizioni dei mercati e dell’organizzazione produttiva, in­novazione e qualità sono ancor di più una costruzione sociale che ha al suo centro la città: dipendono dalla sua capacità di offrire beni collettivi e servizi qualificati. Le strategie di investimento e di crescita degli attori privati – siano essi operatori locali o imprese esterne che scelgono la localizzazione più conveniente – dipendono più stretta­mente dal contesto, dall’ambiente urbano. E dipendono anche dalla capacità delle città di tutelare e regolare i beni comuni, il cui con­sumo non regolato crea rendite per alcuni, ma un impoverimento complessivo delle opportunità di sviluppo per la collettività (si pensi allo sviluppo edilizio non regolato, specie nel Mezzogiorno – ma non soltanto – o all’abbandono e al deperimento di beni culturali impor­tanti o di tradizioni di saper fare locali).

 

DOTAZIONE E ATTIVAZIONE DELLE RISORSE LOCALI

Che cosa frena la capacità di valorizzazione delle risorse locali nelle città, specie in quelle del Sud, nonostante esse presentino livelli di dotazione a volte non dissimili da quelli del Centro-Nord, e in alcuni casi addirittura superiori? Comprendere le ragioni di questo scarto è d’importanza cruciale perché l’obiettivo di colmare i divari tra do­tazione e attivazione può aiutare a ripensare le politiche di sviluppo.

I cambiamenti nella domanda esterna rappresentano un primo fatto­re che modifica le prospettive di sviluppo delle Regioni meridionali. È evidente, infatti, che essi aprono una “nuova occasione” proprio perché accrescono le possibilità di utilizzare risorse locali che sono di entità significativa. Tuttavia, le città non riescono in genere a svolgere efficacemente il ruolo di “trasformatore”, a promuovere una strategia attiva di valorizzazione del capitale territoriale.

Tra i fattori favorevoli all’incontro con la domanda esterna emerge chiaramente il ruolo dei caratteri naturali e di quelli legati alla storia lunga del territorio. Ad esempio, nel campo del turismo, la dotazione di beni ambientali di particolare pregio e di grandi attrattori turisti­ci legati a beni culturali di elevata qualità, la compresenza diffusa di risorse naturalistiche e storico-artistiche giocano un ruolo chiave nell’attrarre la domanda. I flussi turistici sono quindi in crescita, ma il confronto con altre città del Nord – o di altri paesi – con una dota­zione simile o inferiore mette in luce la carenza di strategie attive per catturarla; la difficoltà di promuovere interventi capaci di coordinare e fare agire insieme più efficacemente attori pubblici e privati. Nel campo dell’agricoltura, contano di più elementi naturalistici come il clima e la composizione del terreno, oltre a un saper fare di lunga durata. Le carenze infrastrutturali e il debole ruolo delle città nell’offrire servizi collettivi ostacolano il completamento della filiera con la crescita dell’agroindustria; e spingono invece le strategie im­prenditoriali a concentrarsi su produzioni agricole che valorizzano i vantaggi competitivi più legati ai caratteri naturali del territorio e il saper fare, anche con importanti innovazioni di prodotto (primizie nell’ortofrutta, vino di qualità) o di processo (coltivazione in ser­ra). Anche in questo caso, dunque, si manifesta una crescita adattiva dell’agricoltura e in parte dell’agroindustria, sostenuta dalla nuova domanda esterna, ma certo inferiore alle potenzialità.

L’università pubblica, nonostante tutti i suoi problemi, acuiti nelle regioni meridionali, ha avuto finora il merito di disseminare cono­scenze scientifiche che costituiscono un potenziale, una dotazione di risorse importanti per lo sviluppo nelle nuove condizioni di orga­nizzazione dell’economia, per il contributo che esse possono dare a produzioni di beni e servizi innovativi e di qualità. Tuttavia, anche questo potenziale appare al momento sottoutilizzato, forse ancor più di altre risorse locali. In questo caso la valorizzazione di risorse di co­noscenza scientifica è limitata dalla più debole domanda che emerge dalle imprese locali. Sono invece più carenti – o restano fragili – le strategie attive di stimolo della domanda e di incoraggiamento del dialogo tra istituzioni dell’università e della ricerca e mondo delle imprese, anche in settori come l’agricoltura, l’alta tecnologia (che pure ha una presenza significativa in alcune grandi città del Mezzo­giorno) o i beni ambientali e culturali.

Finora i fattori che stimolano la messa a valore delle risorse locali sono stati dunque maggiormente legati ai vantaggi offerti dal conte­sto più che a una strategia attiva delle città come soggetti capaci di offrire beni collettivi. I fattori di contesto alimentano una risposta adattiva del sistema locale, fatta più da azioni dei singoli soggetti in relativo isolamento tra di loro e con scarse esperienze di coordina­mento. In questo quadro si può ad esempio leggere la diffusione di investimenti privati (ma fortemente incentivati) nella ricettività extra alberghiera, o le innovazioni di prodotto (primizie, nuove varietà, vino) e di processo (colture in serra) in agricoltura, e ancora le rela­zioni tra imprese locali e università, prevalentemente per commesse in conto terzi di servizio più che per ricerca avanzata, condotta in forma congiunta.

Nello stesso quadro rientra anche l’azione di attori pubblici, come i governi locali che spesso hanno fatto uso di risorse legate a program­mi europei o nazionali per azioni di restauro o di riqualificazione urbana; hanno cercato cioè di sfruttare risorse finanziarie esterne, ma soprattutto in chiave distributiva (appalti per opere pubbliche, incentivi a operatori privati). Stenta invece la messa in opera di stra­tegie più complesse e continuative di valorizzazione, capaci di coor­dinare soggetti pubblici e privati e di offrire beni collettivi e regolare efficacemente beni comuni. Ad esempio: interventi per migliorare l’accessibilità, politiche integrate di formazione, promozione di even­ti e itinerari, creazione di circuiti per il turismo; formazione, ricerca, servizi per la promozione e la commercializzazione in agricoltura e lo sviluppo dell’agroindustria; crescita di organizzazioni intermediarie efficaci, e più in generale di azioni che favorisca­no il dialogo e l’incontro tra mondo della ricer­ca e dell’università e mondo delle imprese. Per non dire degli evidenti limiti nella regolazione dei beni comuni come risorsa: dalla tutela dei beni ambientali e del paesaggio a quella dei beni culturali. Insomma, più che il finanziamento è il coordinamento a fare la differenza che frena le possibilità di valorizzazione. È la debolezza dell’infrastruttura socio-istituzionale che gover­na lo sviluppo “organizzato” dei territori a pe­sare; ed è in questa particolare dimensione che si manifesta la fragilità delle città meridionali come trasformatori delle risorse locali in occasioni più solide di svi­luppo. Naturalmente, ciò non significa che esperienze positive non siano state fatte, con risultati significativi. I sistemi politici locali presentano, infatti, differenze non trascurabili nella loro capacità di governo dei territori. Nel complesso, l’evidenza disponibile mostra tuttavia una maggiore difficoltà delle città del Mezzogiorno, spes­so non sostenute da interventi adeguati a livello regionale. Ciò ha prodotto, anche rispetto alle città del Centro-Nord, o di altri paesi, quello scarto maggiore tra dotazione di risorse locali e loro valorizza­zione che abbiamo prima sottolineato.

IMPLICAZIONI PER LE POLITICHE DI SVILUPPO

Quali conseguenze possiamo trarne per il disegno delle politiche? La prima – di particolare importanza – riguarda la visione dello svi­luppo. Nelle nuove condizioni, non è la carenza di capitale in sé a costituire l’ostacolo più rilevante per la crescita economica e sociale, ma la capacità di valorizzare il capitale territoriale di risorse locali per le quali si aprono nuove opportunità. Ne consegue che obiettivo primario delle politiche di sviluppo non dovrebbe essere un generico e generalizzato sostegno finanziario agli operatori privati in termini di incentivi individuali. Tale sostegno – anche a prescindere dai fe­nomeni di abuso o di vera e propria corruzione – appare infatti ina­deguato, e rischia di risolversi in una protezione di mercato priva di prospettive efficaci di innovazione, motivata dalle carenze infrastrut­turali e di servizi efficaci offerti dall’ambiente locale. Sono proprio queste carenze che occorrerebbe, invece, in primo luogo, cercare di colmare con strumenti adeguati.

Più nello specifico, questa impostazione richiede una maggiore sele­zione e concentrazione degli interventi, in contrasto con l’impian­to attuale che caratterizza largamente le politiche di sviluppo per il Mezzogiorno finanziate con fondi europei e nazionali. Di un tale ripensamento non solo non si vedono i segni se si guarda al nuovo accordo di partenariato per il ciclo dei fondi europei 2014-20, o all’uso delle risorse nazionali del Fondo Sviluppo e Coesione, ma appare carente la consapevolezza stessa della sua necessità.

Occorrerebbe, infatti, concentrare maggiormente gli interventi sulle risorse locali più rilevanti per le quali la domanda esterna e le trasfor­mazioni dei mercati creano maggiori opportunità, nel quadro di una strategia nazionale condivisa e responsabilizzante per i diversi attori centrali e locali. Politiche più orientate in questa direzione dovreb­bero tenere maggiormente conto della diversa dotazione nei territori delle risorse locali e anche della combinazione di risorse diverse. Per i motivi prima richiamati, sarebbe necessario, infatti, un intervento più sensibile alla specificità dei diversi luoghi, alla particolare con­formazione delle città e dei territori rispetto ai quali esse potrebbero svolgere più efficacemente il ruolo di “trasformatore”. In altre parole, occorrerebbe promuovere, anche con incentivi finanziari, la capacità di coordinamento e collaborazione tra gli attori locali – pubblici e privati – finalizzata non alla incentivazione dei privati, ma a produrre quei “beni collettivi dedicati” (infrastrutture, servizi, tutela dei beni comuni), tarati rispetto alle specificità del capitale territoriale, da cui dipende la stessa capacità di innovazione dei soggetti privati e quindi un solido sviluppo locale.

Si tratta dunque di incoraggiare la trasformazione della città da arene in cui si muovono attori diversi, in relativo isolamento e con scarso coordinamento, in attori collettivi capaci di strategia e di azione sta­bile e a lungo termine per la valorizzazione di risorse locali. Questo obiettivo può essere favorito da un ripensamento profondo dell’im­pianto complessivo delle politiche di sviluppo che ne riduca la di­spersione e la frammentazione attuale, spesso alimentata da obiettivi di consenso politico a breve piuttosto che di attiva valorizzazione delle risorse locali. Ma occorre riconoscere che anche un impianto più efficiente ed efficace rischia di essere compromesso senza un sal­to di qualità nella politica locale e regionale, senza un cambiamento significativo nei processi di selezione della classe politica locale e nei circuiti di formazione e alimentazione del consenso. Lo sviluppo del Mezzogiorno dipende dal cambiamento della politica non meno che da quello delle politiche.

 


[1] Nelle considerazioni seguenti si farà riferimento ai risultati di una ricerca della Fondazione Res dedicata alle città e alla valorizzazione delle risorse locali. Si veda P. Casavola, C. Trigilia (a cura di), La nuova occasione. Città e valorizzazione delle risorse locali, Donzelli, Roma 2012.