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Articoli del numero 4/2023

Del numero 4/2023 di Italianieuropei sono disponibili integralmente gli articoli di Laura Boldrini, Laura Zanfrini, Pietro Bartolo, Ugo Melchionda, Anna Finocchiaro.



 

Articoli del numero 3/2023

La redazione di Italianieuropei, anche a seguito di alcune faziose ricostruzioni giornalistiche, ha deciso di rendere accessibili i contributi di tutti gli autori della rubrica: “BRICS, l’alba di un nuovo ordine internazionale”, per rispetto degli autori stessi e dei nostri lettori.
Inoltre del numero 3/2023 di Italianieuropei sono disponibili integralmente gli articoli di Massimo D'Alema, Mariastella Gelmini, Michele Prospero.



 

Originalità e innovazione nella comunicazione di Berlusconi

Il 26 gennaio 1994, Silvio Berlusconi “scende in campo” con un video registrato di nove minuti e venticinque secondi, ormai famoso e che appartiene a buon diritto alla storia della comunicazione politica italiana (e forse non solo). Il video – com’è noto – si apriva con una sorta di “dichiarazione d’amore all’Italia” o almeno all’immagine che dell’Italia aveva Berlusconi. «L’Italia è il paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare».

Gli ingredienti del populismo berlusconiano

Anche all’indomani della morte Silvio Berlusconi ha continuato a suscitare controversie quanto al significato del suo ruolo nella vita pubblica del paese. Su di un solo aspetto della sua personalità tutti hanno convenuto e cioè che è stato un combattente mai domo. Giuste o sbagliate che siano state le sue battaglie. Divisivo anche sul piano di come si possono interpretare i valori della vita, l’etica personale, i criteri di misura del proprio successo. Sarà comunque la storia a offrirci un’interpretazione plausibile delle scelte da lui compiute, grazie a quel distacco dalle passioni cui i contemporanei non riescono a sottrarsi. Nel frattempo, su tutte, una cifra distintiva va sottolineata: quella di un Berlusconi leader populista, espressione di un populismo più evoluto a paragone di quello di altri, di un Umberto Bossi ad esempio.

Il segno di Berlusconi sul sistema politico: non bipolarismo ma assenza della mediazione

Silvio Berlusconi è, a suo modo, un leader anticipatore che ha esercitato un influsso sistemico non congiunturale. Con le sue gesta di magnate che occupa d’intuito un vuoto politico, egli estrapola, sul cadavere della partitocrazia, le forme di un neopatrimonialismo postmoderno (il partito è una cosa, una proprietà d’azienda). Sul piano politico, Berlusconi non ha inventato però il bipolarismo. Egli ha solo affinato sul campo la tecnica coalizionale a maglie larghe con la quale sarebbe stato più efficace affrontare una competizione con la inedita formula maggioritaria. Un andamento bipolare il sistema politico italiano l’aveva mostrato anche nel tempo della prima Repubblica.

Berlusconi e l’Europa

Silvio Berlusconi è stato indubbiamente un protagonista negli ultimi trent’anni della politica italiana. Tuttavia, l’enorme risalto dato dalla stampa di tutto il mondo alla notizia della sua morte, spesso con articoli tutt’altro che lusinghieri, ci ricorda che il Cavaliere ha fatto parlare di sé ben oltre i confini nazionali.
Dalla creazione di Forza Italia, nel 1994, l’ascesa di Berlusconi, del suo partito, del suo modo di fare politica e gli enormi conflitti di interesse che ne sono scaturiti, hanno impresso tracce profonde anche in Europa. Da un lato, il primo partito-azienda è entrato prestissimo a far parte della famiglia dei Popolari europei (PPE), contribuendo a determinarne una mutazione genetica ancora in corso. Dall’altro, la combinazione del magnate multimilionario, del tycoon della comunicazione e del partito accentrato nella figura del leader, sostanzialmente inedita fino agli anni Novanta, è stata terreno fertile per i populismi di destra, ben oltre l’Unione europea, ed è stata senza dubbio di ispirazione per altri, Donald Trump in primis.

Forza Italia e la politica secondo Berlusconi

Il giudizio sulla complessa figura di Silvio Berlusconi andrebbe affidato agli storici. Non sarà tuttavia impresa semplice: il presidente di Forza Italia ha esercitato fino alla fine un ruolo politico di assoluto rilievo e continuerà a scatenare, seppure in tono minore, le opposte tifoserie. Ciò allontana purtroppo – come hanno dimostrato le assurde e ingiustificate polemiche sui funerali di Stato – la condivisione di un’opinione più serena e obiettiva sul Berlusconi politico e uomo di Stato.
Anche i più accaniti detrattori dovrebbero oramai riconoscere che il ventennio berlusconiano non lascia – come troppo spesso è stato detto – ferite o danni all’assetto istituzionale e al paese. Berlusconi non è stato un usurpatore della democrazia ma un interprete della modernità e un precursore della nuova era della comunicazione politica.

Il segno di una fase della storia del paese

È ovvio che Giacomo Leopardi non avrebbe potuto prevedere l’avvento sulla scena pubblica italiana di Silvio Berlusconi. E tuttavia vi sono pagine nel suo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani” che sembrano anticipare tratti fondamentali della personalità del leader recentemente scomparso. Così come quando il grande poeta e intellettuale descrive l’individualismo e il cinismo delle classi dirigenti del nostro paese, anche come frutto dell’assenza di uno Stato nazionale che ha caratterizzato a lungo la storia italiana. Molto più tardi il concetto di “familismo amorale” ha ripreso e ha arricchito questa interpretazione sui tratti fondamentali della borghesia del nostro paese.

Il declino della partecipazione al voto. Compagno al duol…(non) scema la pena

Da anni in Italia si registrano crescenti tassi di astensionismo. Al punto che alla vigilia di ogni tornata elettorale si può prevedere, con un elevato grado di fiducia, un ulteriore calo del tasso di affluenza alle urne. Eppure puntualmente, alla chiusura dei seggi, le forze politiche e gli organi di informazione si mostrano sorpresi della crescita dell’astensionismo ed esprimono preoccupazione per il distacco e il disinteresse dei cittadini rispetto alla procedura di selezione dei decisori. La sensazione è che le dichiarazioni di forze politiche e organi di informazione assecondino un canone politicamente corretto, ma non corrispondano ad una preoccupazione davvero urgente. L’attenzione già nell’immediatezza dell’esito elettorale si sposta esclusivamente sui risultati di quella determinata competizione, sulle ragioni che li hanno determinati.

La fuga (diseguale) dalle urne: trent’anni di astensionismo in Italia

Alla vigilia del 25 settembre pochi avrebbero scommesso su una ripresa della partecipazione. Non deve quindi sorprendere che il verdetto delle urne sia stato anche peggiore delle aspettative, con la percentuale di votanti crollata al 63,9%, quasi dieci punti inferiore rispetto al 2018. Si è trattato di un calo senza precedenti, un vero e proprio crollo le cui dimensioni appaiono ancora più preoccupanti se si guarda alla distribuzione territoriale del non voto. Pur in presenza di un deciso peggioramento nel Centro-Nord, è nelle regioni del Sud che i numeri si sono rivelati impietosi, con appena un elettore su due che si è recato alle urne.
Diverse ragioni sono state richiamate per spiegare questo risultato così negativo: l’anomalia della stagione politica precedente, che aveva visto una larga coalizione sostenere il governo Draghi a discapito del tradizionale confronto-scontro tra coalizioni;

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