Lo Stato Islamico ha trovato nel paese nordafricano un terreno fertile per la propria espansione, anche se, a differenza dell’Iraq e della Siria, in questo caso non è possibile parlare di effettive conquiste territoriali. In Libia, infatti, l’IS ha approfittato della presenza di gruppi jihadisti radicali, che sono stati reclutati dal califfato. La diffusione di movimenti e rivendicazioni jihadiste, tuttavia, non va ricondotta a un reale estremismo religioso, quanto alla ricerca di un canale per l’espressione delle insoddisfazioni causate dalla drammatica situazione politica e socioeconomica del paese. Qualunque sia l’esito dei negoziati condotti dall’ONU è improbabile che nel breve periodo la Libia venga stabilizzata e persiste il pericolo di un’alleanza funzionale fra i diversi gruppi islamisti radicali presenti nel paese.
La morte dell’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens nel consolato americano di Bengasi il 12 settembre scorso, alla vigilia della nomina del nuovo premier libico, apre nuove e inquietanti prospettive sulla transizione politica della Libia post Gheddafi. Nonostante le elezioni per il Congresso nazionale tenutesi il 7 luglio 2012 abbiano avuto un relativo successo, la stabilità e il futuro della Libia appaiono ancora molto incerti. Il primo presupposto per una transizione pacifica e democratica, cioè l’affermarsi di condizioni di sicurezza sufficienti al mantenimento della pace e dell’integrità territoriale – derivanti dal monopolio dell’uso della forza da parte dello Stato – non è ancora soddisfatto. Inoltre, diversi fattori disgreganti o centrifughi, quali la presenza delle milizie, l’opposizione degli ex gheddafiani e la crescente minaccia terroristica, sembrano porre sfide di difficile soluzione.