Libreria

Di Pietrangelo Buttafuoco Martedì 30 Agosto 2011 11:01 Stampa
Libreria Foto: Fiorella Sanna

La libreria è un luogo d’accoglienza per viaggiatori di ogni tipo. C’è il solitario che, con timore e riverenza, vi arriva come per entrare in uno spazio sacro. Sa quel che vuole ma confida sempre in una sorpresa. | di Pietrangelo Buttafuoco per la rubrica "Dizionario Civile" del numero 7/2011.


La libreria è un luogo d’accoglienza per viaggiatori di ogni tipo. C’è il solitario che, con timore e riverenza, vi arriva come per entrare in uno spazio sacro. Sa quel che vuole ma confida sempre in una sorpresa. Si aggira tra gli scaffali come tra le colonne del tempio, ma sa anche trasformarsi in un cane. Fiuta, infatti, e, con lussuria, s’immerge nei risvolti di copertina. Per recitare indifferentemente preghiere e sbavare di godimento. La libreria è certamente una cattedrale civile. Ancora prima di essere un negozio la libreria può essere un catalogo, un calepino dove resta scritto tutto il mondo di fuori – fuori dalla vetrina, oltre le pagine –, il mondo di fuori che scompare.

Scompare altrettanto la libreria, così come scompare il catalogo, ma non sparisce il libraio – il compilatore, il bibliofilo, il fanatico – anche se la solitudine dell’uomo che spaccia libri è inaudita quasi come il condannarsi ad assistere a un’agonia.

La libreria, che è comunque un’impresa commerciale, è l’edificio per eccellenza dell’umanesimo e perciò è casa di un’estrema possibilità data ai clienti: la memoria, l’intrattenimento derivato dalla memoria e poi ancora l’invenzione. L’uomo che si nutre di libri è certamente una persona di livello superiore e la lettura, così come la frequentazione delle librerie, diventerà nel tempo prerogativa di una schiatta superiore. La grande folla degli analfabetizzati li guarderà così come le genti della pastura guardavano alle gesta degli eroi e dei semidei. La libreria non seguirà il destino delle cabine telefoniche. Non diventerà, dunque, un luogo deserto del modernariato percepito. E se già le edicole hanno seguito il destino dell’“archeo-cabina”, la libreria, al contrario, si trasformerà in sala d’aspetto per viaggiatori sporchi di parole. Tutte quelle parole del mondo che scompare.

Gli innamorati entrano in libreria, ma come per occuparsi d’altro. Sbirciano e se ne restano incuranti. Lo studente arriva in libreria, porge la sua lista, e si affida al commesso come nei funerali un parente lontano del defunto si affida al sagrestano. Soppesa le pagine, le conta con timore, proprio come fa quello che deve calcolare la durata della funzione.

La professoressa colta, specie rara, entra in libreria. I suoi colleghi non ci vanno perché i libri costano troppo, lo stipendio è troppo basso o, al massimo, si fanno regalare copie omaggio dal rappresentante dell’editoria scolastica, ma sono sempre succedanei, non veri libri. Quello che la libreria può offrire, infatti, è un tempo di piacere, una sorta di divertimento del cuore che porta a cercare i desideri; si diventa preda di quello che i tedeschi chiamano Sehnsucht, desiderio di desiderare. Ed è per questo che dalle librerie vengono fuori i pazzi, i superuomini, gli eroi, i sognatori e i veri capi.

Il padre ostinato – magari un grande lettore da sempre, uno che vorrebbe contagiare i propri figli trasmettendo loro la sua passione – continua a cercare tra gli scaffali qualcosa che possa interessare una prole presa da altre passioni: sincopate, immediate, tecnologiche, visive ma, soprattutto, orbe di grandezza. La libreria è anche una moschea adibita agli usi sociali. Vi arrivano anche gli autori e, nell’ovattata ostinazione dello stare dentro una libreria, i non-lettori, quelli che ieri erano almeno attratti dagli instantbooks di un Enzo Biagi, oggi dalla pubblicistica giudiziaria, vi arrivano come per sperimentare una situazione, non per navigare tra le sorprendenti acque del refrigerio mentale, e si spurgano in automatico.

I libri più venduti in libreria sono anche i libri non letti; per questo nel negozio dovrebbero capitarci solo complici, non avventori casuali. La libreria è anche periodicamente la meta dei rappresentanti che fanno visita al libraio sciorinandogli il loro campionario. Dalla valigetta vengono fuori, scanditi dal ritmo delle stagioni, le strenne natalizie, le novità primaverili e quelle estive e poi, corposo, il calendario delle uscite da settembre fino alla fine dell’anno. Quelli più anziani hanno macinato centinaia di migliaia di chilometri, spesso partendo dalla lontana periferia, nell’ardua impresa di convincere arcigni librai con un occhio al bilancio e un altro alla clientela della bontà del loro prodotto. Il prodotto non è altro che un’ipotesi di libro. E anche il rappresentante ha le sue debolezze, ne predilige uno sugli altri e se veramente ama il suo lavoro li conosce tutti, li ha proprio visti nascere e li accudisce come neonati indifesi da proteggere in un mondo ostile. E infine quel libraio, il sacerdote, l’imam del libro, un sopravvissuto nella sua bottega alle multinazionali del Kali Yuga che pianificano il prodotto e inventano campagne promozionali per vendere più copie possibili. Il libraio che resiste è un vecchio signore, difende con foga il suo piccolo mondo di cui conosce ogni anfratto. Accarezza le copertine. Sistema in asse i libri e li sfoglia, senza squadernarli, per destinarli a un lettore ideale. Ma il libraio – pochi vogliono ammetterlo – è solo un serial killer. In ogni cliente ammazza l’ovvia natura banale e lo rivolta fino a farlo nuovo: sognatore, superuomo, pazzo, semidio ed eroe. L’umanità di domani avrà dei dominatori, e saranno dei lettori.

 


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