Occupazione: le parole non bastano

Di Francesco Boccia Martedì 03 Settembre 2013 14:07 Stampa

La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è ormai diventata, in Italia, una vera e propria emergenza, e deve rappresentare la principale priorità dell’agenda politica nazionale. Sui temi del lavoro non c’è più spazio per la retorica: servono azioni concrete. Alcuni importanti passi in avanti sono già stati fatti nel Consiglio europeo di giugno. Ma molto ancora rimane da fare. C’è bisogno di interventi mirati per sostenere la crescita dell’occupazione. Primo tra tutti, la riduzione del cuneo fiscale.

Lavoro e giovani. Due parole troppo spesso, negli ultimi anni, costrette a scontrarsi, ma che, oggi più che mai, abbiamo il dovere di riportare sullo stesso binario. È un obiettivo che non ha colore politico. Considerare il lavoro come “la” priorità assoluta è l’unica strada che il nostro paese ha per poter ripartire e ridare nuovo impulso all’attività economica. Le parole, è ovvio, ormai non bastano più. Quando ci si trova davanti ai dati, a cifre che mettono nero su bianco il livello dell’occupazione nel nostro paese, il numero di disoccupati, l’età di chi un lavoro lo sta cercando, di chi lo ha perso, di chi ha smesso anche di cercarlo, l’unica cosa utile da fare è agire, e agire concretamente. Perché il tema del lavoro non può essere soltanto uno spot da campagna elettorale. Sarebbe troppo semplice e per niente risolutivo. Il lavoro deve essere la meta finale verso cui indirizzare tutte le nostre risorse, le idee, le proposte che abbiamo a disposizione.

UN PERICOLO DA NON SOTTOVALUTARE

La caduta della gran parte delle componenti della domanda aggregata sta infatti ormai incidendo sulla capacità di investimento: il mancato rinnovo della dotazione di capitale sta portando a una diminuzione della capacità produttiva, con il rischio di non cogliere tempestivamente i primi segnali di rafforzamento che alcune delle maggiori economie stanno mostrando: Stati Uniti e Giappone in particolare, ma anche parte dell’Europa del Nord. Il persistere della minor domanda di beni durevoli sta comportando una progressiva obsolescenza della qualità dei beni medesimi posseduti dalle famiglie. Questa pericolosa tendenza potrebbe ridurre sia il livello di prodotto potenziale dell’economia che del reddito permanente delle famiglie. E, di conseguenza, per adeguarsi alle più basse esigenze produttive delle imprese e al minor livello dei consumi delle famiglie, comportare una riduzione di investimenti e consumi. Questo è il pericolo più grave che corrono l’Italia e il nostro mercato del lavoro. Per evitare di cadere nell’inutile spirale dei buoni propositi è necessario avere ben chiari alcuni dati. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 83 mila; il tasso di disoccupazione, che si attesta al 12%; il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, che è pari al 40,5%. Tutti numeri facilmente rintracciabili nelle ultime rilevazioni Istat. Dramma italiano? No, purtroppo. È un dramma generazionale, italiano, europeo e di gran parte del mondo occidentale. Basta scorrere i dati Eurostat, secondo i quali il tasso di disoccupazione dei giovani sotto i 25 anni nei principali paesi dell’Unione è così ripartito: Francia 24,6%, Regno Unito 20,2%, Spagna 56,5%. Numeri che, tradotti, ci fotografano una situazione senza precedenti dal secondo dopoguerra. Per non parlare, poi, del numero di giovani disoccupati o inattivi che continua ad aumentare giorno dopo giorno o, ancora, del “mostro esodati”, prerogativa tutta italiana lasciataci in eredità dalla recente riforma Fornero.

Sul piano industriale non si intravedono segnali di inversione di tendenza, anzi, i dati più recenti sembrano accentuare la criticità della situazione: le crescenti difficoltà dell’industria, con una diminuzione del fatturato nell’ultimo anno (marzo 2013 sullo stesso mese del 2012) del 7,6%; il crollo dell’immobiliare, con una diminuzione delle compravendite nel 2012 di quasi un quarto (–24,8%) rispetto all’anno precedente; il continuo ridimensionamento del mercato dell’auto, sceso del 12,9% nel trimestre gennaio-marzo 2013 rispetto allo stesso trimestre dell’anno scorso. E non dimentichiamoci che proprio il settore dell’auto e dell’edilizia sono di grande importanza, in quanto guidano filiere produttive lunghe, cui appartengono numerosi settori a monte.

Che fare, quindi? Come muoversi, quali misure adottare? Le decisioni in materia di lavoro prese dal Consiglio dei ministri lo scorso giugno segnano un cambio di passo notevole, ed è su questa strada che, d’ora in avanti, dobbiamo proseguire. Sono state messe in campo nuove opportunità di lavoro e di formazione per i giovani. Si tratta di misure che, una volta entrate a regime, potranno ridurre la disoccupazione e l’inattività, favorendo anche l’alternanza scuola-lavoro. Si andrà a incidere sulle assunzioni a tempo indeterminato, su un apprendistato che abbia un reale valore, sui tirocini formativi. È una prima boccata d’ossigeno.

 

L’EUROPA, LA NOSTRA SPERANZA

«L’Europa – ha detto il presidente del Consiglio, Enrico Letta, a margine del vertice UE del 27-28 giugno – ci dice di ridurre le tasse sul lavoro». Bene, ripartiamo da qui, ripartiamo da questa frase che connette le politiche europee con le priorità del PSE in Europa e del PD in Italia. Perché soltanto con una diminuzione del costo del lavoro, attraverso una radicale riduzione dell’imposizione sul lavoro, le nostre imprese potranno recuperare anche quel gap di competitività legato a vincoli e barriere, purtroppo tutti domestici, dal costo dell’energia al costo dei trasporti. Una riduzione del cuneo fi scale basata sulle detrazioni da lavoro dipendente e sulla fiscalizzazione degli oneri contributivi sui contratti a tempo indeterminato è ormai, a mio avviso, possibile, utile e necessaria. Si tratterebbe di una misura orizzontale senza problemi di compatibilità europea ma che di fatto agevolerebbe donne, giovani e Mezzogiorno. Così come sarebbe possibile dare un sostegno reale alle imprese con la riduzione delle aliquote IRAP e IRES per quelle con base imponibile positiva e che aumentano l’occupazione e con incentivi rafforzati sulle start up innovative.

Ma è evidente che oggi non possiamo più prescindere dal contesto europeo. La politica deve trovare il coraggio di guardare, con forza, agli Stati Uniti d’Europa. Serve, oggi più che mai, pensare a uno stesso welfare, a stesse politiche fi scali e, soprattutto, a uno stesso mercato del lavoro. Fino ad oggi, a mancare è stato proprio il coraggio. Ma la gravissima crisi che viviamo impone una brusca e repentina accelerazione. Ed è anche in quest’ottica che si inseriscono le decisioni in materia di lavoro e disoccupazione giovanile del vertice UE dello scorso mese.

A livello comunitario, per il periodo 2014-20, infatti, sono state assunte decisioni importanti, che hanno invertito la rotta in materia di disoccupazione giovanile. Nell’ultimo vertice di Bruxelles si è stabilita un’implementazione dei Fondi strutturali (in modo da sfruttare tutte le possibilità offerte dal Fondo sociale europeo); una piena operatività dal gennaio 2014 dell’Iniziativa occupazione giovanile (Youth Employment Initiative-YEI), per permettere di operare i primi finanziamenti nelle Regioni in cui il tasso di disoccupazione giovanile è superiore al 25% nel 2013; un rafforzamento del programma Your First EURES Job, per promuovere la mobilità dei giovani in cerca di lavoro; una promozione dell’apprendistato e dei tirocini di alta qualità, con il coinvolgimento delle parti sociali.

Dal vertice l’Italia esce a testa alta, guidando il processo politico. Il nuovo piano per l’occupazione giovanile si è arricchito di tre miliardi in più dei sei già stanziati. E dei nove miliardi previsti, ben 1,5 andranno all’Italia: un miliardo per il periodo 2014-15, il resto per gli anni successivi. Certezze su cui costruire le politiche del lavoro del prossimo futuro.

Parallelamente serve mettere sul tavolo misure che incentivino la crescita anche attraverso politiche indirette di sostegno al lavoro: migliorando l’efficienza amministrativa, riducendo i tempi della giustizia civile, aumentando la concorrenza nei mercati protetti, agendo sul contrasto all’evasione. Ma, su tutti, la priorità delle priorità deve essere una: abbassare il cuneo fiscale. È la strada maestra per far ripartire quelle riforme profonde che consentono di cambiare il paese da sinistra.

Acquista la rivista

Abbonati alla rivista