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Rappresentanza e formazione delle classi dirigenti

Com’era quella cosa del buscar el levante por el ponente…? Ecco, dovendo scegliere il punto di partenza direi così: per troppo tempo abbiamo creduto sensato supplire a un deficit della rappresentanza con un surplus di governabilità. In soldoni, la fragilità della democrazia dipendeva da una debolezza del potere esecutivo, rafforzando il secondo avremmo consolidato i pilastri della prima. Teoria corredata e correlata all’infinita stagione del riformismo di stampo elettorale, istituzionale, costituzionale. Nella prima versione con l’esito drammatico di piegare a più riprese le regole alla convenienza in transito (ieri l’auspicio dell’iper-maggioritario, oggi la preghiera della restaurazione proporzionale), negli altri due casi con risultati modesti e talora fallimentari.

Sulle origini sistemiche della crisi dei partiti

L’articolo 49 della Costituzione afferma il principio che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
I fondamentali diritti civili di ogni persona sono ampiamente richiamati da più articoli della nostra Carta, ma è significativo che il riconoscimento del diritto di partecipare alla vita politica sia vincolato al “metodo democratico” ed esplicitamente collegato all’esistenza di partiti politici. Questo riconoscimento ha un duplice significato: da un lato impone che la stessa vita interna dei partiti sia condotta secondo regole democratiche, tutelabili in sede giurisdizionale;

Una nuova legge elettorale Per riavvicinare elettori ed eletti

A discorrere di legge elettorale senza analizzare quanto è avvenuto nell’ultimo trentennio nel nostro paese si rischia di cadere in giudizi sommari e in stereotipi fuori dalla realtà. Il racconto convenzionale svolto apoditticamente da una parte consistente dei media e dell’accademia suona pressappoco così: “solo il maggioritario garantisce la democrazia dell’alternanza e la stabilità degli esecutivi; col maggioritario sono i cittadini a scegliere il governo; il maggioritario è il bene perché ti fa sapere la sera delle elezioni chi governerà fino alle elezioni successive; una legge elettorale proporzionale, anche corretta, genererebbe frantumazione parlamentare, democrazia bloccata, instabilità e partitocrazia; il maggioritario è trasparenza, il proporzionale è opacità”.

La fine della funzione costituente dei partiti

A settanta anni di distanza, l’esperienza dell’Assemblea costituente conserva grande fascino. Appare un esempio cui continuare a ispirarsi. Sorprende, in particolare, la capacità che ebbero allora i partiti di accantonare calcoli angusti e interessi limitati, superando fortissime contrapposizioni ideologiche per realizzare un “compromesso costituzionale” di grande respiro. Ne è scaturita una Costituzione che ha mantenuto nel tempo notevole vitalità, sopravvivendo alla scomparsa delle forze che lo hanno generato. Ma la memoria della fase costituente pone oggi un problema scomodo. L’accordo tra i partiti che ha portato alla Costituzione ha rappresentato l’espressione più alta di una democrazia consensuale che in Italia è stata abbandonata dall’inizio degli anni Novanta. È subentrato un bipolarismo aspramente conflittuale e poco compatibile con la funzione costituente dei partiti. Con questo problema è necessario misurarsi, se si vogliono ricordare la Costituente e la Costituzione in modo non meramente celebrativo o retorico.

I partiti possono davvero fare a meno del finanziamento pubblico?

I partiti politici sono sempre meno i principali vettori della partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese. Eppure essi hanno dato un contributo essenziale allo sviluppo democratico dell’Italia repubblicana. L’eliminazione del finanziamento pubblico, nonostante il consenso con cui è stato accolto, rischia però di indebolire ulteriormente tale partecipazione.

Il partito che sceglie da che parte stare

La crisi ha fatto riemergere in Italia una drammatica questione so­ciale. Nuove linee di frattura tagliano trasversalmente la società, sepa­rando inclusi ed esclusi di un modello di sviluppo sempre più oligar­chico e parassitario. Di fronte a questa scelta di campo, come si colloca il Partito Democratico? In quale parte decide di giocare la sua partita? La forza del PD sta oggi nell’aver rigettato l’idea che si possa parlare alla società come a un tutto indistinto per scegliere invece con chia­rezza di stare dalla parte giusta della linea, dalla parte degli esclusi.

I partiti tra personalizzazione della politica e disintermediazione dei rapporti sociali

Personalizzazione della politica e disintermediazione dei rapporti sociali hanno entrambi contribuito, negli scorsi due decenni, a trasformare il sistema delle relazioni tra istituzioni, corpi intermedi e individui. Quali conseguenze possono avere, allora, le trasformazioni in atto riguardo al ruolo di quel particolare tipo di corpi intermedi, specifico della democrazia moderna, che sono i partiti politici? Come si può, alla luce dei cambiamenti che caratterizzano la partecipazione, non far venir meno l’esigenza di integrare idee e interessi entro un quadro di compatibilità con il sistema democratico?

Chi sceglierà il presidente della Commissione?

L’obiettivo della politicizzazione della candidatura alla presidenza della Commissione europea è forse stato mancato per la legislatura che sta per cominciare, a causa di risultati elettorali che non permettono di individuare un vincitore netto. Tuttavia non è ancora persa l’occasione per una sua parlamentarizzazione: spetterà agli europartiti cercare di giocare un ruolo determinante, facendosi interpreti della scelta fatta dagli elettori europei.

Finanziamento dei partiti e partecipazione politica

La necessità di assicurare il finanziamento pubblico ai partiti è stata determinata, nelle democrazie europee, soprattutto da ragioni storiche, ed è stata spesso accompagnata dall’imposizione di un sistema giuridico differente da quello delle altre associazioni politiche. Il caso italiano è, da questo punto di vista, un’anomalia in quanto, mancando indicazioni specifiche nella Costituzione sull’obbligo da parte dello Stato di sostenere finanziariamente i partiti ed essendo prevalsa l’incapacità di trovare una sintesi tra dimensione istituzionale e dimensione associativa dei partiti, è stato possibile sostenere legittimamente tanto l’obbligo quanto il divieto per lo Stato di contribuire direttamente alle spese dei partiti. In ogni caso, gli effetti che il prevalere del finanziamento statale o di quello privato hanno sul partito devono essere tenuti in considerazione.

Regole e finanziamento dei partiti: un'occasione persa?

La recente conversione in legge del decreto 149 sul finanziamento pubblico ai partiti pone l’Italia in una condizione di anomalia rispetto alle altre democrazie europee, nelle quali l’intervento dello Stato nella vita dei partiti è previsto sia dal punto di vista della regolazione che da quello del finanziamento, attraverso contributi diretti, indiretti e privati. Questa anomalia presenta anche tratti paradossali, perché afferma, e nello stesso tempo di fatto nega, il ruolo dei partiti come “produttori” di beni pubblici. Che si tratti di un’ammissione di irriformabilità della nostra politica o di una strategia di deresponsabilizzazione, è un’incoerenza, questa, che lascia comunque molto perplessi.

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