Le fonti rinnovabili tra conflitti locali e cambiamento del territorio

Di Edoardo Zanchini Giovedì 09 Settembre 2010 16:51 Stampa

Pochi temi sollevano discussioni accese e dividono gli animi quanto l’atteggiamento da assumere rispetto all’impatto sul territorio degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. In particolare, questa apparente inconciliabilità coinvolge l’ambientalismo, che sembra vivere un insanabile conflitto fra due componenti egualmente importanti del suo messaggio: tutela del territorio e sviluppo di un modello energetico ecosostenibile.

Cosa sta succedendo nel settore delle fonti rinnovabili? Davvero gli impianti che dovrebbero permettere di produrre energia pulita sono diventati una delle principali minacce per l’ambiente e per il paesaggio italiano? A leggere alcuni resoconti giornalistici sembrerebbe effettivamente così, e si sarebbe verificato un paradossale effetto boomerang per cui gli impianti solari, eolici e a biomassa, invece di raccogliere consenso nei territori in cui sono collocati, sono al centro di feroci attacchi da parte di comitati locali e oggetto dell’attenzione di noti opinionisti. Pochi temi in questo periodo sollecitano altrettante discussioni, dividono tanto i giudizi, muovono così forti passioni e ottengono la stessa attenzione da parte dei media. Le accuse mosse sono pesantissime. I biocombustibili e gli impianti a biomassa sono sotto accusa per gli effetti che su scala internazionale provocano in termini di deforestazione e di aumento dei prezzi dei prodotti agricoli; aumenti che sarebbero tali da ridurre alla fame i più poveri del pianeta. L’eolico e il fotovoltaico lo sono per l’impatto sul paesaggio e sull’avifauna. Le centrali idroelettriche sono invece criticate per lo stravolgimento prodotto sui bacini idrici e su una risorsa delicata come l’acqua, e perfino la geotermia lo è per come va ad interessare la falda idrica. Nessun tipo di impianto sembra rimanere escluso da una discussione confusa e spesso violenta, in cui negli ultimi mesi si sono inserite persino inchieste per presunte infiltrazioni mafiose.
L’interesse a capire se questa sia effettivamente la situazione della diffusione delle fonti rinnovabili nel 2010 in Italia è dunque reale, perché al di là delle diatribe e degli interessi che è facile riconoscere dietro alcune rappresentazioni e dello straordinario risalto mediatico di ogni polemica che riguardi questo genere di impianti, la questione vera è che il territorio sembra diventato il nodo più difficile e delicato per il loro sviluppo. La novità più rilevante è data proprio dal fatto che ci troviamo di fronte ad un processo che sta cambiando profondamente il rapporto tra le fonti energetiche e il territorio (basti dire che sono oltre settemila i Comuni italiani nei quali è installato almeno un impianto. In pratica, le fonti di energia pulita che fino a dieci anni fa, con il grande idroelettrico e la geotermia, interessavano le aree più interne e una porzione comunque limitatissima del territorio italiano, sono oggi presenti in quasi il 90% dei Comuni.[1] E siamo solo all’inizio di un processo destinato ad andare avanti e che ha un elemento interessante nella diversità dei caratteri che mostra lungo la penisola, proprio perché differenti sono le potenzialità di sfruttamento delle diverse fonti rinnovabili. Il problema sta proprio qui: un processo di questo tipo avrebbe bisogno di regole chiare e di procedure trasparenti per capire come si stanno attuando gli interventi e come possono continuare a svilupparsi; ma anche per comprendere il reale impatto di progetti che “sfruttano” risorse naturali e spesso interessano aree delicate, in modo da garantire l’interesse generale alla tutela e quello privato di chi vuole realizzare gli investimenti in tempi certi.
E invece in Italia i progetti degli impianti da fonti rinnovabili si muovono in un vero e proprio “far west” giuridico. Basti dire che non esistono ancora regole nazionali per l’approvazione e la valutazione dei progetti, perché non sono state mai approvate le linee guida previste dal decreto legislativo 387/03. Inoltre, la Corte costituzionale ha bocciato in questi mesi ben cinque leggi regionali che avevano provato a dettare norme in materia e ad indicare le procedure per la costruzione degli impianti. Ma la suprema Corte ha stabilito che in assenza di una cornice nazionale non è consentito intervenire con norme regionali. Insomma, i problemi degli impianti eolici, solari, a biomasse, idroelettrici e geotermici, e la controproducente attenzione mediatica di cui godono hanno una causa precisa, rintracciabile nella cattiva politica. In Europa non esiste una situazione paragonabile a quella italiana; così mutevole e schizofrenica, dove ci si può trovare di fronte a procedure di kafkiana complessità e incertezza contemperate però da incentivi tra i più generosi. In ogni caso, i numeri sono impressionanti: nel 2009 sono stati installati 1.000 MW di eolico, 500 MW di fotovoltaico ed è aumentata la diffusione di tutti i tipi di impianti, con un contributo alla produzione che ha consentito di coprire il 20% del consumo lordo di energia elettrica a fronte del 16,5% del 2008.[2] Se questo apporto mostra quanto sia oggi affidabile la tecnologia per la produzione di energia da fonti rinnovabili è anche vero, però, che per raggiungere gli obiettivi vincolanti fissati dall’Unione europea per il 2020 – quando il contributo delle Fonti energetiche rinnovabili (FER) in Italia dovrà arrivare al 17% dei consumi rispetto all’attuale 8% – l’accelerazione da imprimere al processo è rilevante. E senza un sistema di regole chiaro e trasparente per l’autorizzazione dei progetti l’obiettivo risulterà impossibile da raggiungere.
Da queste premesse può sembrare che si tratti solo di un problema di assenza di regole per cui, una volta approvate a livello nazionale le tanto attese linee guida, la strada da percorrere sarà in discesa. Ma non bisogna sottovalutare i conflitti che nascono intorno ai singoli progetti: indagare le ragioni profonde per cui all’ampio consenso con cui i cittadini guardano allo sviluppo delle fonti rinnovabili facciano seguito poi convulse polemiche sugli interventi non è una questione banale. Bisogna capire perché, se guardiamo ad esempio all’eolico, l’intrusione nel paesaggio di una delle immagini più efficaci del fascino e della modernità del nuovo scenario delle fonti rinnovabili trovi, da parte di alcuni gruppi, tanta ostilità. Un discorso analogo può essere fatto anche per gli impianti a biomasse o solari. Anche in altri paesi la stampa internazionale ha acceso i riflettori sull’incredibile crescita di questo tipo di impianti e sui casi di speculazione e corruzione che si profilavano dietro i grandi guadagni del settore. La discussione non è però mai arrivata a toccare i livelli di livore della polemica e di attenzione mediatica raggiunti in Italia. È certamente importante che venga fatta piena luce sulle accuse che riguardano le fonti rinnovabili, ma per questo basterebbe fornire un’informazione non di parte ai cittadini. È senz’altro vero che gli incentivi in Italia sono generosi se comparati con quelli degli altri paesi, ma questo è un problema su cui è responsabilità di governo e parlamento intervenire. Descrivere i settori dell’eolico o del fotovoltaico come attività in mano alla criminalità organizzata nel Mezzogiorno, raccontare che gli impianti beneficiano di incentivi anche se non sono connessi alla rete elettrica o che si sta rischiando di riempire l’Italia di migliaia di impianti per produrre pochissima energia elettrica significa offrire una rappresentazione falsa della realtà. In primo luogo perché è la mafia il problema del Mezzogiorno e non l’eolico o il solare che, come tutte le attività imprenditoriali, sono invece vittime del controllo del territorio da parte della criminalità organizzata. In secondo luogo perché gli incentivi vengono erogati in base ai KWh prodotti, e dunque, se gli impianti non funzionassero quel costoso investimento sarebbe un totale fallimento che nessuno farebbe. Infine, perché gli scenari apocalittici che vengono descritti e che narrano di un’Italia in cui scomparirà l’agricoltura o si devasteranno interi territori con torri e pannelli sono semplicemente fuori dal campo delle possibilità. Questi impianti avranno un futuro se diventeranno più competitivi dal punto di vista tecnologico ed economico, e in ogni caso l’utilità delle fonti rinnovabili sta nel concorrere ad un processo di riconversione energetica e non nel rappresentare ognuna da sola (eolico, solare o biomasse che sia) l’alternativa al petrolio. Certamente non si devono nascondere gli errori e sottacere le speculazioni fatte da alcuni imprenditori, l’assenza di regole che ha portato a impiantare in alcune zone dell’Appennino tra Puglia e Campania centinaia di torri eoliche differenti per dimensioni, colore e forma, realizzate da aziende diverse proprio sui confini amministrativi dei Comuni e che chiudono completamente i crinali e il paesaggio. Ed è giusto denunciare l’assurdità di impianti fotovoltaici costruiti a terra e che occupano centinaia di ettari di fertili terreni agricoli (il solare ha senso innanzitutto sui tetti), di centrali a biomasse che importano legna e oli dall’Indocina, di impianti idroelettrici che mettono in crisi i fiumi. Ma questi problemi dipendono innanzitutto dall’assenza di regole. Il presupposto indispensabile per uscire da questa situazione è ovviamente che siano approvate le linee guida per l’attuazione dei progetti, in modo da fissare regole che devono valere in tutta Italia rispetto alle aree da tutelare e alle accortezza da avere in merito alla costruzione degli impatti. A quel punto le Regioni, che hanno la responsabilità di valutare e approvare i progetti, dovranno applicare alla propria realtà territoriale le indicazioni di tutela specifiche per i diversi tipi di impianti, perché il ragionamento che va fatto per l’eolico (dove ciò che conta è la tutela delle aree di pregio naturalistico – come i Siti d’importanza naturalistica (Sic) e le Zone di protezione speciale (Zps) – e delle rotte di migrazione di avifauna e fauna) è diverso da quello per l’idroelettrico (dove il problema riguarda il deflusso minimo vitale dell’acqua e la tutela dei caratteri naturalistici del bacino idrografico) e per le biomasse (dove l’attenzione va posta sul bilancio energetico e ambientale delle risorse utilizzate). Tutte questioni delicate nelle quali occorre tenere distinto l’impatto sugli ecosistemi, più facilmente identificabile, da quello paesaggistico, dovuto al fatto che alcuni di questi impianti – pensiamo all’eolico o al solare – sono ben visibili, rappresentano un segno innovativo rispetto ai caratteri di molti paesaggi e per questo possono non piacere. Tutte le altre questioni sono secondarie: chi si batte contro l’eolico lo fa innanzitutto perché ritiene quegli impianti un rischio di trasformazione irreversibile e peggiorativa del paesaggio. E se i sondaggi mostrano come i cittadini italiani siano in nettissima maggioranza favorevoli all’eolico[3] è comunque necessario che queste preoccupazioni siano prese sul serio, soprattutto se si vuole rendere possibile anche in Italia una diffusione dell’eolico paragonabile a quella di paesi come la Spagna e la Germania.
Queste riflessioni chiamano in causa in particolare l’ambientalismo, che sembra vivere un insanabile conflitto tra due ragioni fondanti del suo messaggio: quella della tutela del territorio e quella del diverso modello energetico da adottare per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici. Proprio nel momento in cui le politiche pubbliche e gli investimenti privati vanno nella direzione, per tanti anni invocata, delle fonti rinnovabili si evidenzia una fragilità della spinta ambientalista. Proprio quando la diffusione degli impianti sta consentendo riduzioni di costo molto rilevanti (-30% per il fotovoltaico nel 2009) e la ricerca sta rendendo sempre più affidabili le tecnologie, uscire da questo cortocircuito diventa prioritario se si vuole fare delle fonti rinnovabili il pilastro di una diversa politica energetica, che riesca in pochi anni a invertire la curva delle emissioni di CO2 e quindi a fermare i cambiamenti climatici. La chiave per riuscirci sta da un lato nell’attenzione all’integrazione degli interventi nel paesaggio, e quindi nel migliorare la qualità dei progetti. Ma dall’altro, per costruire un vasto consenso, occorre descrivere meglio lo scenario che questa prospettiva può aprire, ossia raccontare come questi impianti siano la più innovativa ed efficiente risposta oggi possibile al fabbisogno energetico, come attraverso l’eolico, la geotermia, l’idroelettrico, le biomasse, già oggi siano centinaia i Comuni in Italia che producono più energia elettrica di quanta ne consumano.[4] Queste esperienze mostrano come il modello energetico che si sta delineando in molte parti d’Europa, e anche in alcune realtà italiane, sia adatto a rispondere alle esigenze dei diversi territori e dei centri urbani, perché accorcia la distanza tra la domanda di energia (di edifici e attività) e gli impianti dove la si produce con i sistemi più efficienti. Ad esempio riuscendo a soddisfare i fabbisogni termici attraverso reti di teleriscaldamento, impianti solari termici integrati con pompe di calore, centrali di microcogenerazione, caldaie a condensazione, e i fabbisogni elettrici attraverso il solare fotovoltaico, la geotermia e, laddove possibile, con impianti eolici, mini idroelettrici, a biomasse integrati con le tecnologie più efficienti di produzione e gestione energetica. Occorre dunque guardare con molta più attenzione alle specifiche esigenze dei diversi territori e considerare che una risposta credibile agli obiettivi nazionali di riduzione dei gas serra potrà venire solo da tante ambiziose e diffuse politiche locali. Questo scenario, che può sembrare irrealizzabile alla luce dell’attuale dibattito politico italiano sui temi energetici, è già realtà in alcune parti d’Italia che hanno capito come valorizzare le proprie risorse attraverso il più adatto mix di impianti. Nessuno propone una lotta dei piccoli Comuni contro le grandi centrali o un modello lillipuziano di produzione dell’energia da contrapporre al gigantismo delle multinazionali. Piuttosto, quello che il nuovo scenario delle fonti rinnovabili sta facendo riscoprire è l’attenzione verso le nuove strade da intraprendere per rendere più moderno, efficiente e sostenibile il sistema energetico. Il nuovo sistema energetico dovrà passare per tanti piccoli e grandi impianti, per progetti di scala enorme come Desertec (un sistema di centrali solari a concentrazione e impianti eolici nel Nord Africa connesso alla rete elettrica europea) e per smart grids che gestiscono e interscambiano energia elettrica con utenze e produzioni distribuite.
Ma la sfida più difficile che le fonti rinnovabili hanno di fronte è probabilmente quella di convincere la politica che uno scenario di questo tipo sia nell’interesse di un paese dipendente dall’estero per le importazioni di fonti fossili come l’Italia e che puntare sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica sia una scelta lungimirante, in particolare per un sistema industriale che ha il suo cuore nelle piccole e medie imprese. Perché ancora oggi, spesso per provincialismo, altre volte per interesse, si guarda alle fonti rinnovabili con l’idea che continueranno a rappresentare anche in futuro una costosa e marginale quota del bilancio energetico.
Per un riflesso condizionato ogni ragionamento di politica energetica sembra non poter prescindere da un approccio centralizzato e quantitativo, fatto di MW installati per impianto. Ma questo modo di ragionare di energia risulta inevitabilmente datato, inadeguato rispetto ad un processo che apre delle strade assolutamente nuove. E perfino ora che gli impegni europei e gli obiettivi individuati per il 2020 sono diventati vincolanti prevale una visione antiquata dello scenario energetico che sarebbe possibile costruire intorno all’efficienza energetica e allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Come dimostrano gli studi più seri, non solo questa prospettiva può consentire risultati con tassi di accelerazione impressionanti, ma la novità del processo in corso sta nel fatto che, quando si guarda al territorio, le due componenti dell’efficienza e delle rinnovabili devono viaggiare assieme. Solo guardando alla domanda di elettricità e di calore e alle vocazioni dei territori è possibile oggi dare una risposta efficiente. Anche perché i cambiamenti avvenuti nella domanda di energia sono molto rilevanti e strutturali, basti dire che, mentre fino a qualche anno fa il settore industriale era il principale ambito di consumo, oggi è la domanda di energia che proviene dagli usi civili a pesare di più sia rispetto ai consumi elettrici che a quelli energetici totali. Ma soprattutto percorrere questa strada può risultare una concreta opportunità di aumentare la competitività del sistema economico. Anche perché non esiste un altro scenario che possa garantire gli stessi risultati in termini di riduzione delle importazioni dall’estero, di concorrenza e riduzione della spesa energetica, di creazione di posti di lavoro. Quello che è sicuro è che l’unico modo certo per i cittadini italiani di ridurre i costi della bolletta energetica potrà venire dall’installazione di un pannello solare o da un intervento di miglioramento dell’isolamento di pareti, finestre o coperture, dalla sostituzione degli attuali sistemi di riscaldamento e raffrescamento con altri più efficienti. Per i risparmi in bolletta grazie all’energia prodotta dalle centrali nucleari e a carbone si accettano scommesse.



[1] Si stima che al momento fra gli impianti installati siano oltre 80.000 quelli fotovoltaici, 20.000 i termici, oltre 1.000 nel complesso quelli eolici, a biomasse e biogas, più di 2.000 gli impianti idroelettrici “storici”.

[2] Secondo i dati forniti dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas nel 2009 si è registrata una produzione dall’eolico di 6.600 GWh (+35% rispetto al 2008), da biomasse di 6.500 GWh (+10%), da fotovoltaico di 1.000 GWh (+400%), da idroelettrico di 47.000 GWh (+13%).

[3] Il più recente, di giugno 2010, vede l’80% degli italiani favorevoli allo sviluppo dell’eolico nel nostro paese.

[4] Si veda Legambiente, Comuni Rinnovabili 2010, Legambiente, Roma 2010.