Perché l'Occidente vota a destra

Di Raffaele Simone Lunedì 22 Dicembre 2008 19:49 Stampa

Nel tentativo di comprendere le ragioni della sconfitta della sinistra nelle elezioni svoltesi nella maggior parte dei paesi occidentali negli ultimi anni, non si può non ammettere il ruolo svolto dall’incapacità progettuale della leadership, ma ragione ben più importante è stato l’oggettivo indebolirsi degli ideali stessi della sinistra politica, progressivamente sostituiti dai valori dell’egoismo consumista riconducibili al paradigma culturale della neodestra. All’esaltazione dell’egoismo, dell’apparenza, della futilità, la sinistra non ha saputo finora opporre la rivendicazione dei principi morali che le sono propri.

Prologo personale (ma non troppo)

Nel marzo 2008 ho pubblicato un libro, “Il Mostro Mite. Perché l’Occidente non va a sinistra”,1 in cui tentavo di indicare alcune ragioni profonde e persistenti della crisi planetaria in cui la sinistra giace oggi nel mondo avanzato. Mi lusingo di credere che alcuni dei motivi che suggerivo (li riprenderò più avanti) non fossero del tutto ovvi ma potessero aiutare a capire la situazione. Qualche mese dopo la pubblicazione del libro – che ha trovato una certa risposta di pubblico – la pesante sconfitta elettorale del PD e dei partiti della sinistra radicale ha dato una conferma millimetrica, da manuale, alle previsioni che il libro conteneva. Una parte della sua fortuna dipende, ahimé, proprio da questo fatto.

Ebbene – sta qui il motivo di questa premessa – sia dopo la pubblicazione sia dopo il quasi profetico realizzarsi dello schema che avevo proposto, nessuno da qualsivoglia partito o forza di sinistra mostrò di essere sia pur solo al corrente dell’esistenza del mio libretto. Ciò che ottenni fu solo una tardiva recensione (peraltro cautamente consenziente) su “l’Unità”. Per il resto, silenzio totale.

In altre parole: alcune decine di migliaia di lettori avevano ritenuto il libro meritevole di esser letto (o almeno comprato); nessuna voce istituzionale della sinistra (persone, organi di stampa, entità) riteneva utile manifestarsi. Considero quindi, senon un ripensamento, almeno un confortante certificato d’esistenza in vita (per il mio libro) l’invito a presentare su questa rivista qualche considerazione a proposito di quelle idee.

Due strati

Vorrei richiamare a grandi tratti le tesi del libro, che è composto da due strati, come certe torte a sorpresa, ma stavolta la parte interna è più aspra di quella esterna. In superficie (e in apparenza) “Il Mostro Mite” è un tentativo di spiegare perché la sinistra, negli ultimi dieci o quindici anni all’incirca, non vinca più in nessun paese avanzato. L’unico paese che nel 2008 sia governato da “qualcosa di sinistra” è infatti la Spagna, mentre dieci anni fa nel gruppo apparivano Italia, Francia, Danimarca, Svezia, Germania, Inghilterra, Polonia, Grecia, Israele, Stati Uniti e così continuando, con sfumature diverse.

Insomma, il mondo avanzato oggi tende a destra, nelle diverse varietà di questa posizione. Gli innumerevoli motivi storici della flessione della sinistra sono stati descritti mille volte2 e si compendiano in una formula drastica ma non falsa: la paura del comunismo. La prima parte del mio libro ripercorre quei motivi da angolazioni diverse. Ma ad essi si aggiungono altre categorie di fattori, una contingente e una più profonda.

La prima sta nel fatto che presso la leadership di sinistra ha avuto luogo negli ultimi decenni (forse per un oscuro ciclo storico) un indiscutibile declino della capacità di produrre progetti interessanti per la nostra vita e il nostro futuro. Nel mio libro ho notato la sorprendente modestia dell’envergure progettuale e del respiro di gran parte della dirigenza. Tanto per fare esempi a caso (e senza offesa per nessuno), Zapatero non è Willy Brandt, Ségolène Royal non è Beveridge e Pierluigi Bersani non è Roosevelt. Insomma, da decenni da quella parte non viene fuori un solo pensiero davvero ampio e risolutivo. E sì che di temi ce ne sarebbero: non c’è che da guardarsi attorno.

Nel contempo però, a parziale discolpa del declino di cui sopra, vanno segnalate anche molte difficoltà più radicali. Quel che sembra indebolirsi, infatti, sono gli ideali stessi della sinistra, al posto dei quali si insedia via via una sorta di colossaleegoismo consumista. Il popolo della sinistra, la gente che la votava e aveva bisogno di votarla senza neanche pensarci sopra (a partire dalla classe operaia), si è misteriosamente disperso. Qualcuno teme che si sia addirittura liquefatto. Ne esistono frammenti e frantumi, ma la grande folla (le “masse”) non c’è più. Ciò risulta anche da fatti esterni: sono scomparsi o indeboliti in tutt’Europa gli organi di stampa dei partiti di sinistra; non ne esistono più sedi territoriali; le antiche forme organizzative sono svanite. L’Italia ha dato una lampante illustrazione di tutti questi fenomeni: nelle elezioni del 2007, una parte importante degli operai votò a destra. Forse, la classe operaia ha cessato di essere antagonista e punta semmai a farsi borghesia consumatrice.

Ciò dipende dal fatto che gli ideali di sinistra non sono più “all’altezza dei tempi”, cioè non hanno più mordente nell’orizzonte della modernità. In un’epoca sui cui vessilli si accampano consumo dissipativo e liberismo a oltranza, appaiono di natura costrittiva e quasi pauperistici. Ciò vale per tutti i grandi traguardi storici, a ognuno dei quali si può opporre una ragione di contrasto nella cultura del consumo e del divertimento: l’uguaglianza limita l’espansione delle proprie prerogative; la legalità limita il soddisfacimento dei desideri; la giustizia impone regole e limitazioni; la severità fiscale danneggia i consumi; l’attenzione per le classi povere o disagiate perturba l’ambizione di far parte di quelle superiori; l’istruzione e la cultura affaticano e stancano, e così via.

Quindi, la colpa del tracollo, per così dire, non è solo della dirigenza (che ha però le sue responsabilità), ma ancor più del cambiamento della cornice del pianeta.

Nella sfera politica

Il responsabile di questo rovesciamento è un impasto senza nome che nel libro ho chiamato «Neodestra». Questa non si identifica con un partito singolo ma è una sorta di magma tiepido, di blob trasparente e dolciastro, in cui siamo immersi. È molto up to date per immagine e tecniche di propaganda: vuol sembrare moderna, giovane e piena di energia. Ha elaborato una mentalità, un insieme di atteggiamenti e di comportamenti chesi respira nell’aria, si osserva per strada, in televisione e nei media.

Ha come valori pubblici il consumo, il successo, il divertimento, l’egoismo. È totalitaria nel suo fastidio verso l’avversario e le regole dei sistemi democratici, colpevoli di produrre solo perdite di tempo. È populista: crede che una cosa sia opportuna solo se «interessa al popolo», se la «vuole il popolo » ecc., anche nel caso in cui quel che vuole il popolo dovesse essere difforme da quel che vuole la legge. Nella sua cornice, la politica non è fatta di partecipazione dei cittadini all’analisi dei problemi comuni, ma è un format che fissa alcune regole ineludibili. Eccone alcune: il passaggio in televisione dei politici è un fattore essenziale di successo, il Parlamento va interpellato il meno possibile, non sono permesse troppe sottigliezze o analisi. A una persona di sinistra, posizioni di questo genere sembreranno estremamente volgari. E qui sta uno dei punti della questione: la neodestra non ha nessuna esitazione a usare la volgarità e la dismisura come strumento politico e risorsa dialettica, a differenza di quel che faceva la destra storica nei paesi che (come l’Inghilterra) hanno la fortuna di averne una. Anzi, siccome un po’ di volgarità abita in ognuno di noi, usa quel pedale in modo sfrontato, proprio per far presa sulla parte vile dell’opinione pubblica. A questa neodestra conviene perfino un certo grado di diseducazione, dato che l’educazione rende rispettosi delle regole e dei principi e spinge ad accorgersi dell’altro. Per questo, sono diventati d’uso comune argomenti che vent’anni fa tutti avrebbero considerato impresentabili: l’esibizione della vita privata, l’ostentazione del lusso, il dileggio dell’avversario, la lode sfrontata di sé e dei propri successi, il mutamento continuo di opinione, l’uso disinvolto della menzogna e della sbruffonata, l’atteggiamento di sostanziale irresponsabilità nelle prese di posizione e così via.

Il lettore avrà capito che, se cerchiamo un campione di neodestra, non dobbiamo andare troppo lontano: in casa ne abbiamo un precursore. Il berlusconismo è neodestra pura e ha insegnato il mestiere, in piccola o grande parte, anche al bushismo e al sarkozismo – le altre due forme oggi più accreditate di neodestra al potere.

Il fatto è che, mentre la neodestra sembra moderna e trendy, la sinistra appare impolverata e out. I suoi ideali sono in declino, perché appaionoa molti estranei alla direzione della modernità. Ma, oltre a ciò, la sinistra si è indebolita perché le sono accadute attorno talune cose di raggio planetario che ne hanno minato le fondamenta. L’insieme di questi fenomeni significa che la sinistra ha oggi dinanzi un avversario che non è più costituito da concreti partiti politici contro cui si può lottare nei parlamenti e nelle piazze, ma da moventi storici di ampiezza planetaria, con cui il confronto è immensamente più difficile. Un simile rovescio non ha precedenti nella storia. E qui si passa al secondo, più intimo, strato del libro, che non si occupa di politica ma di qualcosa di più sfumato e sottile (e apparentemente non politico), che chiamerei (alla maniera di Georg Simmel) filosofia della cultura.

Nella sfera “culturale”

L’idea che ho proposto nel mio libro è che il vero nemico della sinistra è il paradigma culturale della neodestra, al quale ho dato il nome di “Mostro Mite”: mostro perché è dispotico e corruttore e perché induce a fare e a credere cose sconvenienti, mite perché è in apparenza affabile e accattivante. Di questo paradigma ho suggerito alcuni aspetti fondamentali, che richiamo in tre passi.

Primo passo In quel paradigma il tempo libero coincide col consumo e col divertimento, che nel frattempo sono divenuti diritti primari incomprimibili, quasi diritti politici. Questa situazione ha prodotto una capillare e permanente carnevalizzazione della vita, anche presso i ceti meno facoltosi, che ormai non esitano a indebitarsi pur di accordarsi la quota dovuta di divertimento e di consumo dissipativo. L’incremento del bisogno di divertirsi rende meno plausibile (o del tutto implausibile) la concentrazione su cause collettive. Il disinteresse per la politica, segnalato dappertutto, è una conseguenza di questo fatto. L’allontanarsi dei giovani dalla politica (se non come alternativa professionale “facile” – perché non richiede titoli di studio faticosamente acquisiti) è un altro aspetto dello stesso trend.

Secondo passo Siccome i paradigmi culturali, quando sono davvero poderosi, non risparmiano il mondo interiore, il mostro mite ha colpi-to anche lì, procurando una ristrutturazione generale (che potrà avanzare ancora) del catalogo delle passioni “buone” contro le “cattive”. Di contro alle due essenziali passioni di sinistra – la solidarietà (ideale traguardo morale della sinistra di tutti i tempi) e la compassione (la sua versione cattolica) – il mostro mite ha dato vita a una forma barbarica di universale egoismo, che ha decine di simboli e di emblemi.

Terzo passo Il mostro mite ha colpito le abitudini mentali collettive indebolendo una risorsa cognitiva che nella nostra cultura (sin dall’antica Grecia) era fondamentale: la capacità di distinguere tra realtà e finzione e di coltivarle separatamente. Il tramite principale di questa perdita di distinzione è la diffusione, universale e capillare insieme, dell’immagine, dei mezzi per acquisirla, per riprodurla e per diffonderla. Può parere che questo non sia un tema da mettere all’agenda politica, ma non è così. La diffusione universale e capillare dell’immagine ha alterato il rapporto tra vero e falso. Ogni cosa è trasformata in spettacolo, e – si sa – allo spettacolo si presenzia senza troppo partecipare.3 Tra “cosa vista” e “cosa vissuta” non c’è più alcuna differenza, l’una si rovescia nell’altra e dinanzi all’una e all’altra si prende esattamente lo stesso atteggiamento. Ciò ha avuto conseguenze che si dispiegano dinanzi a tutti: si creano eventi al solo scopo di catturarli come immagine (fotografarli, filmarli, riprodurli, diffonderli) e farli vedere. La percezione del vero s’è infiacchita fino a scomparire. Da una simile specola, per molti i mali del mondo sono soltanto uno spettacolo ripetitivo che si vede in televisione ma che non può turbarli. La cattiva maestra televisione, e i suoi mille avatar visivi attuali, sono strumenti essenziali di questa distruzione.

Ritorno al politico

L’Italia, come ha dato alla luce un rappresentante della neodestra inesauribile (per trovate e risorse), così ha creato anche un perfetto campione di “sinistra impoverita” (nel senso in cui è impoverito l’uranio), deprivata cioè di forza propulsiva. Nel mio libro l’ho chiamata senza ironia «sinistra light», un termine che è stato ripreso anche da altri. Spinti dalla paura di apparire duri, rigorosi, severi, i dirigenti della sinistra hanno studiato ricette più leggere per i nuovi gusti dell’elettorato. Non vogliono far paura a nessuno, non vogliono ricordare in nessun modo il comunismo (anche se la dirigenza viene da lì in parte fin troppo grande), non vogliono aver l’aria di prediligere alcuna misura drastica. La mistura, inoltre, di ciò che resta di un antico partito di sinistra con una parte di partito cattolico (d’indirizzo sociale in molte scelte, ma indiscutibilmente reazionario in molte altre) rappresenta un’altra faccia di questo alleggerimento: la componente agnostica o irreligiosa delle sinistre, anche questa potenzialmente paurosa, è stata alfine accantonata.

Nessuno se ne avrà a male se proprio su questa rivista dico che il Partito Democratico, benché non sia ancora un soggetto politico a tutto tondo (è debolissima, ad esempio, la sua capacità di raggiungere la gente), è sin dalla nascita argomento perfetto per un seminario di teoria politica. La sua ancor breve storia, la sua composizione, la varietà dei suoi conflitti interni, il suo modo di stare all’opposizione, sono tutti all’insegna della insuperabile difficoltà di generare idee nuove all’altezza dei tempi, della tenuità e della mitezza, della misura e della prudenza, della fiducia dei valori convenzionali. L’orizzonte della modernità non è ancora entrato nelle fibre della sua cultura politica. Per questo, mentre sono stati scritti diversi inutili statuti e carte, non è stata neanche accennata un’analisi del terribile teatro d’operazioni in cui ci si muove – la modernità velenosa che ci soffia sul collo! L’errore o la gaffe dell’avversario continuano a essere troppo spesso la speranza del giorno: ogni intervento in reazione a un errore permette di risparmiarsi l’intervento progettuale del quale – ammettiamolo – non si è capaci. L’incapacità progettuale del governo ombra (un’invenzione anche terminologicamente poco convincente) illustra in modo parlante questa condizione di retroguardia.

Ma, mentre continua la turbolenta chimica della sinistra, siamo sicuri che, lì fuori, nella realtà, ci sia ancora qualcuno in attesa che il processo si concluda? Siamo sicuri che, mentre gli operai (seguendo per motivi diversi la parabola di una gran parte dei socialisti) migrano a destra e la sinistra “tosta” resta fuori del Parlamento, ci sarà ancoraun residuo di persone disposte a identificarsi con gli ideali della sinistra?

Il rischio è che, una volta data forma al partito, l’elettorato sarà andato in vacanza, attratto dal richiamo del mostro mite che già molto lo tenta.

Stare a sinistra o a destra Non voglio entrare in analisi concrete (cioè con nomi e cognomi) che pure andrebbero fatte, perché il mio punto di vista è quello non di un politologo ma di un analista della cultura. Mi basta notare che il terribile rovesciamento dei quadri materiali, affettivi e cognitivi prodotto dal mostro mite ha portato allo scoperto un cruciale aspetto trascurato dell’essere di sinistra, che entra come una variabile esplosiva nell’analisi che sto facendo.

Chi sta a sinistra deve accettare preliminarmente taluni principi morali che sono propri di questa posizione. Alludo all’idea del sacrificio, della rinuncia e della disponibilità a trasferire almeno in parte il proprio ad altri. Per accettare questi principi si richiede una dura elaborazione interiore (un travaglio) e uno sforzo che va ripetuto di continuo.

Al contrario, essere di destra non comporta sforzo. Come il bambino è nativamente (in un certo senso) di destra, così la destra è (in un certo senso) infantile: egoista, presuntuosa, prepotente. Questo è il motivo per cui essere di destra è facile in termini di costo personale, molto più che essere di sinistra. Questo è anche il motivo per cui gli apostati passano da sinistra a destra, mentre sono rari quelli che migrano in senso inverso. Nel “Mostro Mite” ho anzi sostenuto che ciò che distingue la sinistra dalla destra è proprio questo: stare a destra non richiede alcuno sforzo su di sé, stare a sinistra ne richiede uno continuo e fortissimo, perché comporta il contrasto del bisogno naturale di acquisire, possedere e ignorare le pretese degli altri. Ora, il paradigma della neodestra (il mostro mite), nella sua resistibile ascesa sta convincendo tutto il mondo avanzato che non vale più la pena di compiere quello sforzo: nella vita è meglio divertirsi e fare il proprio comodo. Se da ciò deriveranno crisi finanziarie come quelle che l’Occidente patisce da un anno e mezzo a questa parte (anche coi loro terribili effetti individuali: impoverimento, disoccupazione, sofferenza personale e sociale), pazienza.

L’essenziale è che si salvi quel che è nostro. Per questi pesantissimi motivi – che non sono locali ma planetari e non attengono alla dinamica politica ma all’elusivo e immateriale spirito del tempo – la ricostruzione della sinistra è oggi un compito drammaticamente più difficile di prima: richiede una fantasia e un’inventiva fuori del comune, una straordinaria percezione del moderno e un’inesausta capacità di progetto – tutti compiti a cui la leadership della sinistra europea (a partire da quella italiana) si è mostrata finora del tutto impari.

Post Scriptum Il bel discorso che Walter Veltroni ha pronunciato alla manifestazione del PD dello scorso 25 ottobre restituisce all’osservatore scettico qualche barlume di speranza. Il quadro planetario non cambia, ma perlomeno sembra di notare una ripresa di energia critica e ideativa per quanto riguarda la nostra sinistra. Se son rose fioriranno.

[1] R. Simone, Il Mostro Mite. Perché l’Occidente non va a sinistra, Garzanti, Milano 2008.

[2] Tra le analisi recenti più penetranti vanno citati il torrenziale (ma ineludibile) F. Furet, Le passé d’une illusion. Essai sur l’idée communiste au XXe siècle, Laffont/Calmann Lévy, Parigi 1995, e il lucidissimo M. Lazar, Le Communisme. Une passion française, Perrin, Parigi 2005.

[3] Fenomeno segnalato negli anni Sessanta da Guy Debord in La Société du Spectacle, Buchet-Chastel, Parigi 1967, un testo che fece epoca.