Come l'Unione europea può evitare che il G20 diventi G2

Di Alberto Quadrio Curzio Giovedì 02 Luglio 2009 17:44 Stampa

L’attuale crisi economica può essere l’occasione per avviare un processo di ristrutturazione del governo della finanza mondiale e per l’elaborazione e il lancio di un programma di sviluppo economico globale sostenibile. Un contributo in tal senso può venire dal G20 e dagli accordi raggiunti in quella sede, che testimoniano del salto di qualità compiuto recentemente da questa istituzione a scapito del G8. Per evitare che il G20 si trasformi di fatto in un G2 fra Stati Uniti e Cina è però necessario rafforzare il ruolo dell’Unione europea.

Il 2008 e il 2009 potrebbero essere ricordati nella storia economica come gli anni nei quali si è verificata una crisi di gravità senza precedenti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, in seguito alla quale è stato avviato un processo di ristrutturazione del governo della finanza mondiale. Mentre sul primo punto c’è concordia generalizzata, sul secondo la situazione non è così chiara.

Spesso si sono invocati a supporto delle due precedenti affermazioni dei parallelismi storici: quello con il 1929 per la gravità della crisi e per le successive politiche economiche americane tese a superarla; quello con gli accordi di Bretton Woods del 1944, attraverso i quali si disegnò l’architettura finanziaria mondiale, tuttora in gran parte vigente.

La storia è certo molto importante anche per capire il presente e per tentare di prevedere il futuro; e gli economisti farebbero bene a studiarla di più. Non potremo tuttavia qui fare ricorso ad essa, ma faremo uno sforzo di ragionata sintesi sui G20, perché riteniamo che questi consessi e gli accordi che ne conseguono abbiano fatto un salto di qualità nel biennio 2008-09. Ne potrebbe derivare un grande contributo per riformare il sistema finanziario mondiale e per rilanciare uno sviluppo sostenibile.

Affinché ciò avvenga è tuttavia necessario, a parere di chi scrive, che l’Unione europea sappia rafforzarsi, altrimenti c’è il rischio concreto che il G20 diventi nei fatti un G2 tra Stati Uniti e Cina. Siamo infatti convinti che l’attuale G8, dove sono presenti ben quattro paesi dell’UE, stia perdendo forza. Il problema è sapere se si andrà verso un forte G20 o verso un forte G2. E, come detto, l’esito dipende molto da cosa saprà fare l’Unione europea.

 

La nuova era dei G20

Il periodo che va dal novembre 2008 all’aprile 2009 può essere visto come quello del G20 rafforzato, prolungato, istituzionalizzato.

Il G20 “rafforzato” si è riunito a Washington nel novembre 2008, passando per la prima volta dal livello dei ministri finanziari e dei governatori delle banche centrali a quello dei capi di Stato e di governo. Si tratta dei venti paesi economicamente più importanti del mondo, la cui incidenza è pari a circa l’84% del PIL mondiale a parità di potere di acquisto, mentre la sua quota sulla popolazione mondiale era del 66% nel 2007. La nuova configurazione del G20 è stata determinata dall’Unione europea, e in particolare dalla presidenza francese del secondo semestre del 2008, nella quale l’attivismo di Nicolas Sarkozy ha portato notevoli risultati.

Questo passaggio di grande rilevanza non fa altro che prendere atto di come i membri del G7 (Stati Uniti, Giappone, Canada e i quattro principali paesi dell’UE) siano scesi da una quota del PIL mondiale pari a circa il 51% degli anni Ottanta al 42% del 2008, e del fatto che questo calo relativo di importanza non si arresterà. Il G8 – ossia il G7 allargato alla Federazione Russa – arriva oggi al 45% del PIL mondiale e al 13% della popolazione. La sua azione non può certo essere efficace senza il contributo della Cina, che ha una quota del PIL mondiale pari all’11,5% e della popolazione pari al 20%. Anche il Brasile meriterebbe l’inclusione nel gruppo, data la sua quota di PIL e di popolazione pari al 3% di quelli mondiali e il suo ruolo in Sud America.

I risultati specifici del vertice di novembre si possono considerare modesti se visti in sé, ma vanno invece ritenuti importanti se si valuta che hanno avviato un processo.

Il G20 di novembre era, del resto, indebolito dalla presenza di George W. Bush, un presidente uscente e privo di prestigio dopo otto anni negativi di mandato. Nella dichiarazione conclusiva del G20 si legge che i leader lì riuniti sono determinati a cooperare per rilanciare la crescita globale e per riformare il sistema finanziario mondiale con alcuni adempimenti da attuare entro il marzo 2009 e altri da conseguire nel medio termine, sia attraverso l’azione dei singoli Stati aderenti al G20 sia attraverso gli organismi sovranazionali, quali il FMI e la Banca mondiale.

Gli intendimenti sono chiari, ma colpisce l’assenza di un riferimento esplicito sia agli Stati Uniti, paese che ha causato la crisi attraverso forme di indebitamento sempre più azzardate, sia alla Cina, che ha contribuito ad aggravare la crisi con un eccessivo accumulo di riserve in dollari dovuto ad una sistematica sottovalutazione del cambio che ha distorto (insieme ad altre forme di dumping) il commercio internazionale.

Si dirà che lo scopo di quel G20 era di indicare soluzioni alla crisi e non di individuare dei responsabili. Noi riteniamo che abbia agito il timore reverenziale del G20 nei confronti di due grandi potenze che, pur avendo dato una forte spinta alla crescita economica mondiale degli ultimi vent’anni, hanno contribuito, soprattutto nel caso degli Stati Uniti, a trascinare il mondo in una crisi che potrebbe vanificare molti dei risultati conseguiti.

Il G20 “prolungato” si è svolto da novembre 2008 ad aprile 2009. L’importanza di quanto avvenuto in questi mesi non sta tanto nei dibattiti un po’ fumosi sulla rifondazione del capitalismo, ma su tre temi concreti rispetto ai quali le cose sono continuate a cambiare nel periodo compreso tra i due summit. Si tratta delle politiche di bilancio espansive necessarie per uscire dalla crisi, delle modalità per evitare un ritorno al protezionismo, dell’elaborazione di nuove regole per il sistema finanziario internazionale.

 

Politiche espansive e di sostegno

Le politiche monetarie espansive, sia per quanto riguarda l’erogazione del credito sia in merito alla riduzione dei tassi di interesse, sono proseguite a ritmo serrato, con la Federal Reserve che ha portato il tasso di riferimento allo 0,25% con decorrenza dal 16 dicembre 2008 e la Banca centrale europea che lo ha portato all’1% con decorrenza dal 13 maggio 2009. La cooperazione tra BCE e Fed, ma anche quella con le altre principali banche centrali, è stata notevole.

Per quanto riguarda le politiche di bilancio, le misure discrezionali a sostegno dell’economia sono continuate e già sono state avanzate ipotesi sul loro ammontare alla fine delle operazioni. Nel complesso dei paesi del G20, dovrebbe trattarsi del 2% del PIL nel 2009 e dell’1,5% nel 2010. Questo appare tuttavia più come l’esito di decisioni spontanee prese dai singoli paesi che come il risultato di politiche concordate.

Gli Stati Uniti, i cui interventi per i salvataggi bancari e industriali e per il sostegno all’economia sono stati resi necessari dal rischio di un collasso, vedranno il proprio deficit arrivare al 13% del PIL nel 2009 e il debito sul PIL aumentare di quasi trenta punti dal 2008 al 2010, avvicinandosi così al 100%. Nella zona euro lo stimolo è stato diverso da paese a paese, ma nel 2009 il deficit sul PIL supererà in media il 5% e nel 2010 il 6%, con un debito sul PIL che arriverà nel 2010 all’85%, registrando una crescita di 16 punti percentuali.

La vera novità sul “coordinamento” internazionale delle politiche di bilancio viene dalla Cina, che già in novembre aveva annunciato un programma di 580 miliardi di dollari da attuarsi nel triennio 2008- 10 con interventi in infrastrutture ed edilizia popolare. Successivamente, è stato avviato anche un piano per il periodo 2009-11 da 120 miliardi di dollari per lo sviluppo dei servizi pubblici e assistenziali. In altri termini, per la prima volta dall’inizio della sua rivoluzione di mercato, la Cina sta attuando, per resistere alla recessione, un grande programma, concentrato nel tempo, di spesa pubblica interna.

 

Protezionismo

Nel 2009 è proseguita la caduta nel volume del commercio mondiale, che a fine anno potrebbe avvicinarsi al 9%. L’ordine di grandezza colpisce se si pensa che tra il 1998 e il 2008 c’è stata una crescita media annua di quasi il 6%. Purtroppo, è risultato sempre più evidente che a questa riduzione si andavano affiancando misure, più o meno striscianti, di protezionismo. Vi è qui un paradosso che il G20 di novembre e quello “prolungato” hanno ben rilevato. E cioè che mentre il G20 e gran parte dei suoi membri si esprimevano contro il protezionismo, la maggioranza di essi, in seguito alla crisi, attuava misure restrittive che andavano da aumenti tariffari sulle importazioni di prodotti provenienti dai paesi emergenti fino a pressioni fatte dai governi di paesi sviluppati affinché le loro aziende, sostenute da aiuti di Stato, creassero solo occupazione nazionale.

Il rischio è grave, perché la crescita economica mondiale è stata intensa negli ultimi due decenni anche per merito dello sviluppo del commercio internazionale. Intaccare l’interdipendenza commerciale vuol dire danneggiare anche l’integrazione produttiva e quindi la crescita mondiale.

Riforma delle regole e della vigilanza bancario- finanziaria

Su questo tema hanno continuato a lavorare, da novembre ad aprile, molti soggetti internazionali (oltre a quelli nazionali), tanto che è difficile farne l’elenco e dare conto dei loro contributi. Alcuni di questi soggetti sono stabili, altri temporanei; alcuni sono emanazione di organismi sopranazionali, altri privati; alcuni hanno già concluso la loro attività, altri sono all’opera. Ci sono il FMI, l’OCSE, il Gruppo dei Trenta, la Banca dei regolamenti internazionali e altri ancora. Vi partecipano anche autorevoli personalità italiane. Spiccano soprattutto il Financial Stability Forum (FSF), presieduto da Mario Draghi, e il gruppo, nominato dal presidente della Commissione europea, presieduto da Jacques de Larosière e del quale fa parte anche Rainer Masera.

La sostanza dei problemi da risolvere è nota. La riforma dovrebbe infatti riguardare i requisiti di capitale delle banche e delle finanziarie, i connessi effetti ciclici, il monitoraggio dei rischi sistemici e, a livello dei singoli operatori, i criteri contabili, la regolamentazione di attori e prodotti finanziari, le agenzie di rating, la supervisione internazionale delle banche globali e molto altro, fino alle retribuzioni dei vertici bancari e al ridimensionamento dei paradisi fiscali.

In definitiva, una agenda di riforma globale.

 

Il G20 “istituzionalizzato” si è riunito a Londra il 2 aprile 2009. L’“istituzionalizzazione” ha riguardato sia elementi di forma sia di sostanza. La forma è stata quella della Londra che ha ricevuto i capi di Stato e di governo con uno “stile imperiale” che combina austerità ed esteriorità. La sostanza è stata soprattutto quella portata da Barack Obama, che ha conferito al summit il carattere di nuovo forum multilaterale del governo mondiale, lasciando però sullo sfondo anche la possibilità di un G2 con la Cina, paese al quale ha visibilmente riservato una maggiore attenzione, come ben rilevato da tutta la stampa cinese. Risultato di un insieme di elementi di forma e di sostanza è stato il potenziamento del FMI e del Financial Stability Board (FSB) deciso in quella sede.

Consideriamo allora, in breve, i risultati e i programmi del G20 di Londra. Il FMI è stato potenziato con un incremento delle sue risorse fino a 1.100 miliardi di dollari e autorizzato ad emettere 250 miliardi di dollari di Diritti speciali di prelievo. Si tratta di una decisione che prende atto della difficoltà di coordinamento delle politiche di bilancio dei diversi Stati, anche a causa dei vincoli individuali di finanza pubblica. Particolare attenzione, in collaborazione con la Banca mondiale, sarà rivolta ai paesi meno sviluppati. Anche la Cina contribuirà a potenziare queste istituzioni, ma ha chiesto di avere in esse un peso maggiore, ricevendo garanzia che ciò avverrà nel 2011, quando ci sarà la riforma dei poteri di voto nel FMI, dove oggi il gigante asiatico pesa comparativamente poco sia nell’Executive Board sia nel Board of Governors. Si porrà fine anche al dominio dei maggiori paesi sviluppati sul FMI espresso in passato dalla scelta del Managing Director solo tra personalità di quei paesi. È stato infine potenziato il Financial Stability Forum, che diventa perciò Board, per svolgere una azione di nuova regolamentazione-supervisione non solo su tutti i paesi del G20, ma più in generale su tutti quelli aderenti al FMI. Tale regolamentazione passa anche attraverso una stretta sugli hedge funds, sulla affidabilità delle agenzie di rating, sui bonus ai manager, sul ridimensionamento dei paradisi fiscali ecc.

Sul contrasto al protezionismo, è stata rinnovata la volontà di agire sia aumentando di 50 miliardi di dollari la dotazione della Banca mondiale (o meglio di una sua affiliata) per sostenere il credito all’export, sia con l’impegno dei singoli Stati di mettere a disposizione credito all’export per arrivare in totale a 250 miliardi di dollari nei prossimi due anni.

Non è facile valutare sin d’ora se queste innovazioni saranno effettivamente attuate, ma riteniamo che dal nuovo G20 discendano due conseguenze principali: la prima è che il G8 risulta largamente ridimensionato, se non superato, per cui crediamo che il G8 de L’Aquila del luglio di quest’anno sarà più che altro un momento formale. La seconda è che se l’Unione europea non si rafforzerà, allora il G2 diventerà una prospettiva concreta sulla quale potrebbero formarsi nuovi successivi aggregati.

Il ruolo della UE e della UEM

L’Unione europea non vive una stagione felice e non solo perché il primo semestre del 2009 vede il suo Consiglio presieduto dalla Repubblica Ceca, un piccolo paese euroscettico, ma soprattutto perché la Commissione in carica è scialba e il Trattato di riforma non è ancora stato ratificato da tutti i 27 paesi aderenti. In questa situazione solo un accordo forte tra i paesi più importanti può salvare l’UE da una deriva nazionalista che porterebbe i singoli paesi, e soprattutto l’Italia, all’irrilevanza internazionale.

Un accordo di tal genere dovrebbe svilupparsi in due direzioni.

Una più urgente, anche in vista del G8 che si terrà a luglio, riguarda il rafforzamento del “G4E”. Si tratta dei quattro paesi europei (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) membri del G8 e del G20 che sono stati riuniti in ottobre su iniziativa di Nicolas Sarkozy e in febbraio su iniziativa di Angela Merkel per dare una impronta europea comune ai successivi G20. Purtroppo non sembra che il presidente del Consiglio italiano si muova in questa direzione, così come il governo, nel cui ambito ogni singolo ministro, o quasi, sta organizzando il proprio G8 settoriale, nessuno dei quali conta salvo quello dei ministri dell’Economia e delle Finanze. Non sappiamo se questa giostra di G8 avrebbe potuto essere interrotta, ma così non è stato. Crediamo perciò che il G8 de L’Aquila sarà o un approfondimento di quanto è stato deciso nel G20 di Londra o, e speriamo che non sia così, una riunione formale.

Una seconda direttrice per rafforzare l’UE al suo interno e nei consessi internazionali è quella delle cooperazioni rafforzate nella zona euro, che servano poi a dare l’impronta a tutta l’Unione a 27. L’euro è una formidabile realtà, che però necessita, attraverso le cooperazioni rafforzate tra i paesi dell’Unione economica e monetaria (UEM), di una simmetrica politica economica e finanziaria.

Dopo il semestre di presidenza tedesca (gennaio- giugno 2007), nel quale la Merkel è riuscita con enorme fatica a varare il Trattato di riforma, è apparso evidente come la UE a 27 non riesca a funzionare. Perciò Sarkozy ha puntato più sulle cooperazioni rafforzate de facto, anche convocando un vertice di tutti i paesi aderenti all’UEM il 12 ottobre 2008. Purtroppo non ha avuto seguito l’ipotesi cir colata in ottobre di nominare Sarkozy alla presidenza di un “Eurogruppo politico” per i successivi due anni. Sappiamo che questa sarebbe stata una specie di anomalia istituzionale, ma non così eccessiva visto che esiste già un presidente dell’Eurogruppo, cioè del Consiglio dei ministri dell’Economia e delle Finanze della UEM, Jean-Claude Juncker, che è in carica dal 2004 e il cui mandato è stato rinnovato per altri due anni a partire dal 1° gennaio 2009, confermando così come la UEM sovrasti sia l’Ecofin sia la Commissione.

 

Conclusioni sull’Italia

Nella direzione delle cooperazioni rafforzate pare si muova anche il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, il quale, nei mesi scorsi, ha avanzato alcune importanti proposte per rafforzare l’unità economica europea. Tra queste quella sostenuta da anni anche da chi scrive, sulla scia delle proposte di Delors, e relativa all’emissione di titoli del debito pubblico europeo. Importante sarà anche il suo ruolo per far sì che il rilancio del federalismo italiano, varato con la legge 42/09, sia pienamente europeista secondo l’impostazione data da Carlo Cattaneo già nell’Ottocento e ripresa da molti federalisti italo-europei.

L’Italia, quale paese cofondatore, ha in Europa una storia importante, che non deve abbandonare e non solo perché potrebbe contare solo in quanto conta l’Europa. Anche per questo, è stata apprezzabile la scelta di Tremonti di chiedere ad uno dei grandi europeisti viventi, Carlo Azeglio Ciampi, di aprire il G7 dei ministri finanziari tenutosi a Roma a febbraio, così come l’esplicita consonanza rispetto alla crisi e ai suoi rimedi con un altro convinto europeista quale è Romano Prodi. Anche mantenendo viva la testimonianza di personalità che molto hanno dato all’Italia in Europa si rafforza quella responsabilità costituzionale repubblicana che il presidente Giorgio Napolitano tutela con equilibrio e prestigio.