Berlusconi partigiano di se stesso

Di Jean-Marie Colombani Lunedì 01 Aprile 2002 02:00 Stampa

Le dimostrazioni antiberlusconiane in Francia hanno irritato molti italiani, e non solamente i sostenitori di Berlusconi. Quelle francesi sono manifestazioni tipiche di un atteggiamento a due facce, che Oltralpe è ben noto: da una parte c’è uno slancio sincero e profondo verso l’Italia, vista come repubblica sorella – una percezione che risale probabilmente alla Repubblica Cispadana – di cui pensiamo di non ignorare nulla; dall’altra c’è l’ignoranza a proposito di una società più complessa di quanto riteniamo, per comprendere la quale spesso ci basiamo soltanto sull’apparenza turistica o su qualche luogo comune. I francesi devono invece comprendere finalmente che in Italia, un paese con circa un millennio di vita politica in più dei suoi vicini, le cose sono spesso più complicate che altrove.

 

Le dimostrazioni antiberlusconiane in Francia hanno irritato molti italiani, e non solamente i sostenitori di Berlusconi. Quelle francesi sono manifestazioni tipiche di un atteggiamento a due facce, che Oltralpe è ben noto: da una parte c’è uno slancio sincero e profondo verso l’Italia, vista come repubblica sorella – una percezione che risale probabilmente alla Repubblica Cispadana – di cui pensiamo di non ignorare nulla; dall’altra c’è l’ignoranza a proposito di una società più complessa di quanto riteniamo, per comprendere la quale spesso ci basiamo soltanto sull’apparenza turistica o su qualche luogo comune. I francesi devono invece comprendere finalmente che in Italia, un paese con circa un millennio di vita politica in più dei suoi vicini, le cose sono spesso più complicate che altrove. Se questo è vero, per comprendere la situazione italiana come attualmente si configura vanno accantonati i cliché usati da una parte dell’opinione pubblica francese per demonizzare, un po’ frettolosamente, Berlusconi. Il quale peraltro, non va dimenticato, fu per tramite di Craxi un alleato audiovisivo di François Mitterand.

Innanzi tutto, per partire dai paralleli storici fra Mussolini e Berlusconi che vengono spesso più o meno allusivamente tracciati, va ricordato che il premier italiano non è diventato uomo politico per scelta propria, e ciò lo distingue dal dittatore di Predappio che viveva solo per la politica. Come è noto la «discesa in campo» di Berlusconi fu indotta dagli effetti dell’inchiesta «Mani pulite», che un decennio fa mise a soqquadro la classe politica italiana. Ciò è utile da ricordare perché è a partire da questa premessa storica che si comprende l’opera politica di Berlusconi, spesosi nell’organizzare uno spazio politico in cui far confluire un intero settore di classe dirigente ormai privo di leader politici cui affidarsi, e dunque in preda al panico. Berlusconi ha assunto fra i suoi obbiettivi quello di accogliere e organizzare in forme molto aggiornate l’area politica centrale dell’ultimo periodo della «prima repubblica»: quella formata dall’alleanza di un partito moderato – quello di Craxi, sempre più privo di ideologia – con la parte di Democrazia Cristiana avversa all’integrazione della sinistra comunista nel sistema politico.

Questa alleanza divenne il modo in cui da parte moderata ci si predispose all’ultima fase del confronto PCI-DC, con ogni probabilità la più perversa. Quando ormai regnavano dappertutto le divisioni e le identità ideologiche si erano fatte vaghe. Fu in questo panorama di disfacimento strategico della politica che risorsero le ideologie regionali. In un paese che, su mille anni di storia politica moderna, aveva conosciuto soltanto cent’anni di vita unitaria, Forza Italia, con un nome da squadra di calcio e uno stato maggiore da impresa privata, riuscì a costituirsi come partito conservatore più laico dell’antica DC, ma anche spostato più a destra. Fatto oggi particolarmente palpabile, quando si realizza l’abbandono della dottrina sociale di Leone XIII a favore di un «individualismo acquisitivo» di tipo americano. A ben vedere, tuttavia, molte continuità fra DC e Forza Italia permangono: Berlusconi, che ha creato un nuovo populismo conservatore, rimane un partigiano del corporativismo all’italiana, non è la signora Thatcher. Nella fase iniziale di «Mani Pulite» si realizzò una netta crescita dell’estrema destra: al sud essa si organizzò attorno al MSI, al nord intorno alla Lega. L’arrivo di FI, gradualmente, riuscì a sminuire l’impatto delle opzioni più estreme, permettendo l’integrazione di Fini nel gioco fisiologico della politica, e riducendo il peso e il pericolo rappresentato dalla Lega, che in un primo momento era assai forte. Questo ha consentito che si conservasse la pace civile, rendendo peraltro possibile una vera e propria alternanza in Italia.

Detto questo, non possono venire meno le grandi perplessità riguardo al fenomeno Berlusconi, che sono di almeno tre tipi: a) la confusione dei generi. In nessun altro luogo, neanche negli USA, si consentirebbe a un capitalista di primissimo livello di perseguire una carriera politica così inscindibilmente commista alla direzione dei suoi affari. Nelson Rockefeller dovette lasciare i suoi interessi petroliferi nelle mani di un blind trust; Dassault, dal canto suo, non è mai andato oltre la carica di deputato, per tacere poi della destra inglese, la cui ostilità a questo tipo di doppia identità non si spiega certo con le sue simpatie comuniste! Nessuna democrazia può prosperare in una tale confusione tra potere imprenditoriale e potere politico. b) L’attuale vicenda italiana richiama qualche spiacevole reminiscenza delle città-Stato del Rinascimento, ovvero quella dinamica sociale gravida di pessime conseguenze che potremmo designare come «il putsch dei ricchi». È un problema che verosimilmente si presenterà anche in altri paesi dell’Unione. È presente e vitale, nel nord-est d’Italia, un piccolo e ricchissimo padronato che non intende più rispettare le antiche gerarchie interne al capitalismo nazionale, a cominciare dall’autorità degli Agnelli. A questa famiglia vengono oggi rimproverate quelle che sono forse le sue migliori virtù, cioè la ricerca di un compromesso sociale permanente con le forze sindacali. I nuovi ricchi non vogliono il compromesso sociale. E se dovesse risultare che è lo stesso Stato unitario a richiedere questo tipo di compromesso, allora essi chiederanno meno Stato. A questo mira il federalismo brutale, che minaccia di collocarsi laddove un tempo si trovava la solidarietà dello Stato-provvidenza. Berlusconi utilizza cinicamente queste forze, con il fine di determinare una tensione di tipo reaganiano nella società europea. Per questo Berlusconi è un fenomeno che suscita preoccupazioni a livello continentale. Contemporaneamente al coacervo di forze che lo sostiene in Italia sono nate, ovunque in Europa, coalizioni localistiche animate da piccole fazioni, che basano il loro successo su due tipi di suggestioni politiche: quella sicuritaria e quella antistatalista. È un fenomeno verificatosi in Austria con Haider, con il partito del giudice Schill ad Amburgo, con il Dansk Folkeparti in Danimarca, con il movimento di Fortuyn a Rotterdam, con il Vlamsblock ad Anversa, e, ieri, con il Front National in Francia. Si tratta di una pericolosa dinamica che viene iscrivendosi nella nuova realtà europea: non possiamo approvare Berlusconi quando lo vediamo rivolgere le sue lusinghe verso questa dinamica e strumentalizzarla contro la sinistra. c) Contro la grande tradizione europeista italiana, quella degli Agnelli, e quella di Prodi esule a Bruxelles, Berlusconi pratica scientemente un gioco duro dalle chiare venature antieuropeistiche. Anche su questo punto, sia chiaro, va riconosciuto che egli non è stato affatto l’unico peccatore: i due candidati attuali alla Cancelleria tedesca hanno avversato Kohl nella sua politica per l’Unione monetaria europea. A Berlusconi, però, viene purtroppo molto congeniale assecondare gli umori piuttosto brutali della fase attuale, e quando agisce lo fa senza esclusione di colpi. Le dimissioni di Ruggiero hanno segnato per tutta l’Europa l’ufficializzazione di questo euroscetticismo (vicino tra l’altro a quello di Aznar, che a sua volta è tentato da un’illusoria prospettiva latinoamericana).

Su questi tre punti, precisi e limitati ma anche decisivi – la confusione dei poteri, la connivenza con il nazional-populismo, la svolta euroscettica – mi sembra che Berlusconi sia estraneo ad una tradizione democratica italiana che ha origine in quelle intese di fondo fra Togliatti e De Gasperi che risalgono al 1945. Berlusconi lo sa bene. Sospetta vagamente che l’area moderata italiana attenda solo il momento giusto per sbarazzarsi di lui e per tornare ad una gestione più europea del potere. Perciò, verosimilmente, ha deciso di assumere un atteggiamento duro nei confronti dell’opposizione. Un’opposizione sempre più attiva, che ritrova le bandiere rosse, ma anche una retorica della resistenza che fa crescere il peso di certi demagoghi, come quelli di Rifondazione Comunista, e abbandona il terreno del centrosinistra che permise nel 1996 all’Ulivo di essere maggioritario. È questo infatti che permette a Berlusconi di strumentalizzare la Lega, poiché egli non ha più niente da temere al centro e può anzi giustificare la propria ostinazione con il crescere delle tensioni all’interno del paese. Ne deriva che a Berlusconi va rimproverata un’ultima cosa: egli provoca artificialmente una bipolarizzazione che favorisce gli estremi, e ciò rischia di cancellare l'eredità migliore dell’ultimo decennio: la praticabilità di un’alternanza politica fisiologica in Italia. È stato il governo Ciampi, all’inizio degli anni Novanta, a dare il segnale d’inizio alla rincorsa italiana verso l’Euro, e sono stati tre governi di centrosinistra, con Dini, Prodi e D’Alema, a gestire con coraggio e talento l’ingresso niente affatto scontato dell’Italia nell’area della moneta unica europea. È quest’eredità che Berlusconi cerca di far dimenticare, e facendo questo si comporta da partigiano, non da leader devoto all'interesse generale italiano ed europeo. Non berlusconizziamo Berlusconi facendone una caricatura. Ma lottiamo affinché l’Italia riprenda la via dell’Europa.