Sui risultati delle elezioni primarie dell'Unione di centrosinistra

Di Salvatore Vassallo Martedì 01 Novembre 2005 02:00 Stampa

L’analisi tenta di rispondere ai seguenti interrogativi. Quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno partecipato con maggiore intensità alle primarie? E quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno sostenuto in maniera territorialmente più omogenea Prodi? I dati dicono che è stato territorialmente più omogeneo il contributo che è venuto alla partecipazione e a Prodi degli elettori DS rispetto a quello venuto dagli elettori della Margherita. Indipendentemente da questi fattori strettamente politici, Prodi ha ottenuto una quota di voti maggiore nelle province dove è più forte la cultura civica. Le primarie per l’elezione del candidato a primo ministro del centrosinistra svoltesi il 16 ottobre rimarranno probabilmente nella storia politica italiana come un evento di prima grandezza, per le dimensioni totalmente inattese della partecipazione che esse hanno registrato. Per questa stessa ragione continueranno a costituire un interessante interrogativo per gli studiosi dei comportamenti politici.

 

L’analisi tenta di rispondere ai seguenti interrogativi. Quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno partecipato con maggiore intensità alle primarie? E quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno sostenuto in maniera territorialmente più omogenea Prodi? I dati dicono che è stato territorialmente più omogeneo il contributo che è venuto alla partecipazione e a Prodi degli elettori DS rispetto a quello venuto dagli elettori della Margherita. Indipendentemente da questi fattori strettamente politici, Prodi ha ottenuto una quota di voti maggiore nelle province dove è più forte la cultura civica.

Le primarie per l’elezione del candidato a primo ministro del centrosinistra svoltesi il 16 ottobre rimarranno probabilmente nella storia politica italiana come un evento di prima grandezza, per le dimensioni totalmente inattese della partecipazione che esse hanno registrato. Per questa stessa ragione continueranno a costituire un interessante interrogativo per gli studiosi dei comportamenti politici. Prima che le primarie si svolgessero, in mancanza di elementi di previsione apparentemente attendibili, l’autore di questa nota aveva suggerito di considerare, come parametri per giudicare la riuscita dell’esperimento, due termini di paragone, gli unici che le nostre conoscenze ci consentissero di prendere sul serio: 1) il numero di cittadini che vengono solitamente coinvolti nelle attività di partito; 2) il numero di cittadini che si erano recati a votare alle primarie pugliesi.

Le primarie si proponevano di far partecipare ad una importante decisione politica un numero più ampio di cittadini di quanti riescano a coinvolgerne i partiti. Ci eravamo quindi chiesti: oggi, quante persone riescono a coinvolgere nei loro momenti di democrazia interna i partiti del centrosinistra? I dati a nostra disposizione utili a rispondere a tale quesito sono imprecisi e con certezza quasi assoluta generosamente arrotondati per eccesso. Se ci fidiamo di quello che dicono le segreterie organizzative dei partiti dell’Unione, i loro iscritti, nel 2003 (ultimo anno per i quali sono disponibili i dati), erano nel complesso poco più di un milione. Ma quanti di questi iscritti «dichiarati» partecipano effettivamente alla vita di partito? O meglio, quanti partecipano a momenti della vita democratica dei partiti comparabili con le primarie? L’unico indicatore disponibile e utile a questo fine è il numero di iscritti ai DS che partecipano all’elezione del segretario del partito. Lo statuto dei DS prevede infatti che, votando per una delle mozioni presentate in vista del Congresso, tutti gli iscritti vengano chiamati ad eleggere il segretario. Piero Fassino nella sua relazione introduttiva al recente Congresso di Rimini (febbraio 2005) riferisce di «oltre 7.000 congressi delle nostre strutture territoriali e aziendali, a cui hanno preso parte 200.000 iscritti, con una percentuale di partecipazione superiore a Pesaro». Quindi, in base a quanto riferito da Fassino, la partecipazione registrata in occasione del congresso di Rimini può essere considerata un buon indicatore di una «elevata partecipazione» degli iscritti, in una circostanza comparabile alla scelta del leader della coalizione. Quando nei DS partecipano in molti ad una consultazione in cui si elegge direttamente il leader del loro partito, vota circa il 35% degli iscritti. Gli iscritti ai DS al momento del Terzo Congresso nazionale, nel 2005, erano, secondo le dichiarazioni dei responsabili organizzativi del partito, 561.193. La Quercia è sicuramente il partito dell’Unione più strutturato e radicato sul territorio. Per questo il dato del 35% può essere proiettato su tutto il centrosinistra senza correre il rischio di sottostimare la partecipazione negli altri partiti. Ebbene, se il tasso di partecipazione alle primarie fosse stato elevato quanto quello che ha fatto gioire Fassino, se il numero totale degli iscritti dichiarati dai partiti del centrosinistra fosse veramente affidabile, e se le primarie si fossero limitate a coinvolgere i soli militanti, domenica 16 ottobre avrebbero dovuto votare circa 350.000 persone.

Dall’esperienza pugliese si poteva trarre un ulteriore termine di raffronto per giudicare la riuscita dell’iniziativa dell’Unione. Alle primarie pugliesi aveva votato poco più del 9% degli elettori di centrosinistra, rispetto alle Europee del 2004. Se le primarie nazionali dell’Unione avessero rispettato questa percentuale, avremmo dovuto attenderci una par tecipazione in tutta Italia di circa 1.300.000 persone. Alla vigilia del voto questo dato pareva assai difficile da raggiungere, anche considerando altre recenti esperienze europee. Quando ad esempio in Gran Bretagna, nel 1994, Tony Blair fu scelto come capo del Labour e candidato premier, furono chiamati a votare, attraverso una scheda postale, circa 5 milioni di iscritti al partito o ad organizzazioni collaterali, ma furono solo 900.000 quelli che, rimanendo comodamente a casa loro, rispedirono la scheda.

La partecipazione alle primarie di circa 4.300.000 elettori ha dunque dimensioni del tutto straordinarie, che superano di gran lunga non solo le attese di quanti avevano criticato aspramente o considerato con sufficienza questo esperimento, ma anche degli analisti, oltre che gli stessi promotori. Non mancheranno certamente in futuro analisi più accurate di questo evento così inatteso. Per il momento, possiamo cercare di capire quali siano alcuni fattori sottostanti. La ricerca di questi fattori è limitata dal tipo di dati empirici a cui, per il momento, possiamo affidarci: si tratta della distribuzione per provincia del numero dei partecipanti e del numero dei voti conseguiti da ciascun candidato.

Prima di vedere cosa i dati ci dicono è utile svolgere una considerazione preliminare. Proprio perché l’ampiezza della partecipazione è molto consistente, i risultati riflettono atteggiamenti e comportamenti degli elettori che non possono essere stati influenzati, se non in casi eccezionali e in una quota molto ridotta, da «specifiche» sollecitazioni di questa o quella macchina organizzativa di partito, di questo o quel candidato. Banalmente, se i partiti fossero in grado di mobilitare tante persone, lo avrebbero fatto anche in altre occasioni simili della loro vita interna. Lo stupore degli stessi dirigenti di partito per la dimensione della partecipazione ne è una ulteriore conferma. Più precisamente, maggiore il tasso di partecipazione, minore la possibilità che la distribuzione dei voti tra i candidati sia stata influenzata dalle pressioni delle organizzazioni di partito (o di corrente). Questo è molto importante ai fini dell’analisi del voto: le variazioni che riscontriamo da provincia a provincia, tanto nel tasso di partecipazione quanto nel livello di consenso a questo o quel candidato, non possono essere spiegate da una somma di «fattori locali», anche se, in una piccola misura, alcuni fattori locali, come ad esempio il particolare radicamento di un certo amministratore di Rifondazione comunista che altera localmente gli equilibri nazionali, hanno potuto avere qualche influenza.

Se questo è vero, possiamo mettere in relazione i risultati delle primarie con i risultati di altre elezioni per capire quali segmenti dell’elettorato del centrosinistra hanno sostenuto in maniera più omogenea, su tutto il territorio nazionale, l’esperimento delle primarie e uno specifico candidato. Lo possiamo fare verificando quanto è forte la correlazione statistica tra la distribuzione territoriale del voto ad un certo partito e la distribuzione territoriale della partecipazione alle primarie o il risultato del candidato in questione. In pratica, verifichiamo se e in che misura, come ha ad esempio dichiarato il segretario dei DS Piero Fassino, la partecipazione alle primarie e il voto a Prodi siano state «più forti» dove «più forte» è un certo partito (i DS, nel caso citato) e «più deboli» dove quello stesso partito è più debole.

Diciamo subito che abbiamo concentrato l’attenzione su due aspetti: 1) la dimensione della partecipazione; 2) il voto a Prodi. Per poter comparare l’andamento della partecipazione nella varie province, abbiamo rapportato il numero assoluto dei partecipanti alle primarie al totale dei voti ricevuti dai partiti dell’Unione nelle elezioni europee del 2004, le ultime elezioni per le quali disponiamo di un dato utile e omogeneo per tutto il territorio nazionale. Il «voto a Prodi», così come agli altri candidati, consiste invece, semplicemente, nella percentuale di voti da lui ottenuta in ciascuna provincia rispetto al totale dei voti validamente espressi alle primarie.1

Per identificare in maniera semplice, immediata e corretta i fattori che hanno sostenuto la partecipazione alle primarie e il voto a Prodi dobbiamo fare ricorso ad una tecnica statistica che potrebbe suonare a prima vista un po’ ostica. Ma, come si capirà leggendo con un minimo di attenzione il testo e le tabelle che seguono, i risultati dell’analisi possono essere facilmente compresi anche da chi non ha alcuna familiarità con la statistica.

Nella Tabella 1 sono riportati i coefficienti di correlazione tra il tasso di partecipazione alle primarie e il voto a Prodi (da un lato) e alcuni fattori che potrebbero averli influenzati:2 a) la capacità di attrarre consensi da parte dei due principali antagonisti di Prodi; b) la forza elettorale di ciascuno dei maggiori partiti della coalizione; b) il grado di civismo diffuso in ciascuna provincia (inteso come disponibilità dei cittadini a mobilitarsi per cause pubbliche). Il «grado di civismo diffuso» o, come oggi si preferisce dire, la «dotazione di capitale sociale» di ciascuna provincia è stata rilevata nell’ambito di una precedente ricerca dell’Istituto Cattaneo, considerando una molteplicità di indicatori (tra cui il tasso di partecipazione medio alle elezioni, la diffusione della pratica di donare il sangue, la lettura dei quotidiani, la tendenza a partecipare alla vita di associazioni di tipo culturale e ricreativo).3

Tabella 1

Dalla tabella emerge innanzitutto che mentre Bertinotti e Prodi hanno viaggiato su due strade perfettamente parallele (non c’è nessuna correlazione tra l’andamento dei loro risultati individuali), c’è una fortissima correlazione negativa tra il voto a Prodi e il voto a Mastella. Questa analisi dei dati sembrerebbe indicare che Bertinotti abbia attratto il voto della sinistra antagonista, il cui peso è sostanzialmente pari al peso di Rifondazione, senza alterare l’afflusso di voti della componente riformista verso Prodi. Naturalmente anche Mastella deve il suo successo in larga misura al radicamento elettorale dell’UDEUR. Ma sembra godere, soprattutto nelle province in cui è meglio insediato, di un apporto di voti provenienti dalla Margherita. Questo spiega, in parte, una seconda importante indicazione che emerge dalla Tabella 1. Sia il tasso di partecipazione alle primarie, sia il risultato di Prodi sono correlati in maniera significativa con la forza elettorale dei DS. Dove sono più forti questi ultimi la «quota» dei partecipanti (sul totale degli elettori di centrosinistra) e la «quota» di voti a Prodi (sul totale dei votanti alle primarie) sono più elevate (e viceversa). Sarebbe stato «ovvio» questo risultato se avessimo considerato il numero dei partecipanti e il numero di voti per Prodi. Per intendersi, in una regione come la Toscana non ci sono solo più partecipanti alle primarie e più sostenitori di Prodi; ce ne sono una quota più ampia (anche considerando che la base per il calcolo di questa percentuale, e cioè il numero di voti presi dal centrosinistra alle europee del 2004, in quella regione è particolarmente estesa). Al contrario, il voto a Prodi è poco correlato con la forza elettorale della Margherita. Ma si noti che in questo caso il segno della relazione è negativo. Dalla Tabella 1 emerge anche un ulteriore elemento di grande interesse. Il voto a Prodi è decisamente correlato con il grado di civismo. Meglio, il voto a Prodi è più correlato con il grado di civismo di quanto non lo sia con il voto ai DS. Prodi va decisamente meglio nelle province in cui la partecipazione politica è solitamente forte, in cui esiste una società civile vivace, in cui vi è una maggiore disponibilità a prestare il proprio tempo gratuitamente per cause pubbliche, rispetto alle province nelle quali prevale una relazione di tipo individualistico-strumentale tra gli elettori e la politica.

Il Grafico 1A propone una immagine meno astratta di questa relazione. Tutte le province italiane su cui è stato possibile svolgere l’analisi sono collocate tanto più in alto quanto maggiore è la loro dotazione di «capitale sociale», e tanto più a destra, quanto maggiore è la percentuale di voti ottenuta da Romano Prodi alle primarie. Come si può vedere la relazione tra i due fenomeni è abbastanza stretta. Si può anche notare che alcune province costituiscono delle eccezioni piuttosto evidenti, prime fra tutte le province di Matera, Enna e… Benevento! Se escludiamo questi tre casi eccentrici (outliers), la relazione diventa ancora più nitida (Figura 1B), e il coefficiente di correlazione straordinariamente elevato, pari a 0,87.

Si potrebbe legittimamente sospettare che questi primi risultati siano fuorvianti. Che ad esempio, la correlazione negativa tra il voto a Prodi e il voto alla Margherita dipenda semplicemente dal fatto che dove i DS hanno molti voti la Margherita ne ha pochi (e viceversa). E quindi che, siccome l’impatto del voto DS sul risultato di Prodi è molto forte, faccia scomparire (non ci faccia vedere o ci faccia vedere male) l’apporto degli elettori della Margherita. Per toglierci questo ed altri dubbi simili, dobbiamo ricorrere ad una tecnica di analisi statistica solo un poco più complicata di quella che abbiamo già usato. Dobbiamo cioè cercare di stimare «distintamente» l’impatto sul voto a Prodi di ciascuno dei quattro fattori più importanti che abbiamo identificato, «al netto» dell’influenza che hanno esercitato gli altri tre. Dobbiamo cioè ricorrere, tecnicamente, ad una regressione lineare multivariata. I non addetti ai lavori non hanno ragione di spaventarsi. I risultati di queste tecniche, gli unici che possono dare una risposta adeguata al nostro interrogativo, non sono difficili da interpretare anche se non si conosce la statistica.

Figura 1

Figura 2

La Tabella 2 ci dice quanto sono effettivamente importanti, per spiegare la distribuzione geografica del voto a Prodi, rispettivamente: a) la forza elettorale dei DS; b) la forza elettorale della Margherita; c) la capacità di «attrazione» di Mastella; d) il grado di civismo diffuso. I coefficienti vanno sempre da -1 a +1 e indicano un relazione più o meno forte (diretta o inversa) con il voto a Prodi. Questa volta i coefficienti ci dicono però qual è il contributo (positivo o negativo) dato al risultato di Prodi da ciascun fattore «al netto» dell’influenza esercitata dagli altri tre. Come si può notare, viene confermato che il grado di civismo ha un’influenza positiva maggiore del voto ai DS. Viene anche confermato che dove è forte Mastella, cala significativamente il voto a Prodi. Viene infine confermato che l’elettorato della Margherita non ha sostenuto Prodi con la stessa omogeneità con cui lo hanno votato gli elettori DS. A essere più precisi, tra dimensioni del voto a Prodi e forza elettorale della Margherita non c’è nessuna relazione.

Tabella 2

I valori in tabella indicano quanto e in che direzione ciascuno dei fattori ha influenzato il voto a Prodi, al netto dell’influenza esercitata dagli altri tre.

 

R2 corretto=0,88

Questo valore indica che i quattro fattori, considerati nel loro insieme, spiegano «molto» bene la distribuzione territoriale del voto a Prodi. Siccome il contributo del quarto fattore in realtà è irrilevante, sono i primi tre quelli che hanno davvero contato. Se si esclude dalla regressione la forza elettorale della Margherita il valore di R2 corretto rimane sempre pari a 0,88. Molto raramente, in analisi statistiche simili, si ottengono valori di R2 così elevati.

Se infine, per maggiore chiarezza, eliminiamo dal modello il voto alla Margherita (in quanto poco o per niente correlato con l’andamento del voto a Prodi) e il voto a Mastella (in quanto territorialmente localizzato), viene confermato come sia il grado di civismo sia il voto ai DS abbiano avuto un impatto positivo sul voto a Prodi. Emerge però con ancora maggiore chiarezza come il primo fattore (grado di civismo) contribuisca in una misura di gran lunga maggiore rispetto al secondo (forza dei DS) a spiegare l’esito delle primarie. Questo risultato sembra segnalare anche qualcosa di molto interessante a proposito delle radici sociali e culturali dell’Ulivo, e forse anche qual è il suo fianco più debole.

Tabella 3

I valori in tabella indicano quanto e in che direzione ciascuno dei fattori ha influenzato il voto a Prodi, al netto dell’influenza esercitata dall’altro.

 

R2 corretto= 0,67

Questo valore indica che i due fattori, considerati nel loro insieme, spiegano abbastanza bene l’andamento del voto a Prodi nelle varie province.5

Tabella 4

 

 

Note

1 Precisiamo che non abbiamo considerato i dati riferiti al Trentino-Alto Adige e alla Valle d’Aosta in quanto, per l’assoluta peculiarità dei relativi sistemi politici, avrebbero alterato il significato dei test statistici.

2 A puro titolo illustrativo, nella Tabella 4 vengono riportati gli andamenti per regione delle variabili considerate nell’analisi. Come si può facilmente notare, dalla semplice lettura di questi dati in forma aggregata non è possibile ricavare conclusioni rigorose, ma solo alcune prime «impressioni».

3 Cfr. R. Pedersini e R. Cartocci, Risorse economiche e risorse morali, in R. Catanzaro (a cura di), Nodi, reti e ponti. La Romagna e il capitale sociale, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 33-51.

4 Il coefficiente di correlazione può variare da -1 a +1. Se il coefficiente di correlazione è positivo ed è molto elevato vuol dire che il fenomeno indicato nella relativa colonna e quello indicato nella relativa riga variano in maniera concorde. Nelle province in cui è elevato il primo, è elevato anche il secondo (e viceversa). Al contrario, se il coefficiente di correlazione ha un segno negativo, la relazione è inversa: nelle province in cui il primo fattore è elevato, il secondo è basso. Nella tabella non vengono riportati tutti i coefficienti di correlazione, ma sono quelli con un valore sufficientemente elevato, e solo quelli «affidabili» dal punto di vista statistico (in senso tecnico, solo quelli che hanno superato un test di significatività statistica). Sono messi in evidenza in grassetto quelli che segnalano una relazione «particolarmente forte».

5 La presente ricerca è stata effettuata dall’Istituto Cattaneo.