L'india e il sistema globale

Di C. P. Chandrasekhar Lunedì 01 Maggio 2006 02:00 Stampa

L’India viene presentata sempre più come un esempio di integrazione globale di successo. Per sostenere questa affermazione vengono utilizzati numerosi elementi. Innanzitutto, il considerevole tasso di crescita dell’economia di più del 6% registrato dall’inizio della liberalizzazione del 1992, e i segnali di una crescita attuale ancora più sostenuta. In tempi molto recenti, l’Ufficio centrale di statistica indiano (CSO) ha pubblicato le sue «stime anticipate» del reddito nazionale per il periodo 2005-2006, che indicano una crescita del PIL dell’8,1%, a fronte del 7,5% del periodo 2004-2005. In secondo luogo, il fatto che, a partire dalla crisi del 1992, quando le riserve di valuta estera dell’India erano in grado a malapena di finanziare l’equivalente di due settimane di importazioni, le riserve di valuta estera sono cresciute fino agli attuali 145 miliardi di dollari circa. In terzo luogo, il rilevante successo dell’India come paese esportatore di servizi, in particolare di software e di servizi legati all’IT. In quarto luogo, il fatto che l’India si sia affermata come uno fra i maggiori destinatari di investimenti stranieri, specialmente di investimenti di portafoglio. Infine, la straordinaria vivacità dimostrata di recente dai mercati azionari dell’India – concretizzatasi nella rapida ascesa dell’indice Sensex della Borsa di Bombay, che ha toccato un livello record di oltre 12.000 punti. Il Sensex è aumentato di oltre il 100% nel giro di 18 mesi, e del 40-50% negli ultimi cinque mesi.

L’India viene presentata sempre più come un esempio di integrazione globale di successo. Per sostenere questa affermazione vengono utilizzati numerosi elementi. Innanzitutto, il considerevole tasso di crescita dell’economia di più del 6% registrato dall’inizio della liberalizzazione del 1992, e i segnali di una crescita attuale ancora più sostenuta. In tempi molto recenti, l’Ufficio centrale di statistica indiano (CSO) ha pubblicato le sue «stime anticipate» del reddito nazionale per il periodo 2005-2006, che indicano una crescita del PIL dell’8,1%, a fronte del 7,5% del periodo 2004-2005. In secondo luogo, il fatto che, a partire dalla crisi del 1992, quando le riserve di valuta estera dell’India erano in grado a malapena di finanziare l’equivalente di due settimane di importazioni, le riserve di valuta estera sono cresciute fino agli attuali 145 miliardi di dollari circa. In terzo luogo, il rilevante successo dell’India come paese esportatore di servizi, in particolare di software e di servizi legati all’IT. In quarto luogo, il fatto che l’India si sia affermata come uno fra i maggiori destinatari di investimenti stranieri, specialmente di investimenti di portafoglio. Infine, la straordinaria vivacità dimostrata di recente dai mercati azionari dell’India – concretizzatasi nella rapida ascesa dell’indice Sensex della Borsa di Bombay, che ha toccato un livello record di oltre 12.000 punti. Il Sensex è aumentato di oltre il 100% nel giro di 18 mesi, e del 40-50% negli ultimi cinque mesi.

Sono cifre che invitano a confrontare il successo dell’India con quello della Cina. La Cina sicuramente vanta risultati di gran lunga migliori. Secondo statistiche di recente pubblicazione, la Cina ha continuato a crescere durante il primo trimestre del 2006 al sorprendente tasso del 10,2%, se calcolato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Questo sviluppo una volta di più ha fatto scattare l’allarme di un «surriscaldamento» dell’economia, senza specificare che cosa questo significhi esattamente. L’India segue molto da vicino la performance della Cina, con un PIL che, nell’ultimo trimestre del 2005, è cresciuto ad un tasso del 7,6% su base annua. Queste cifre, pur tacendo sulla distribuzione di quella crescita, alimentano i timori che la crescita di questi due giganti asiatici minacci quella del resto del mondo, inclusi i paesi industrializzati.

Per comprendere la natura della minaccia, comunque, è necessario fare chiarezza su quelle che sono le analogie e le differenze tra le caratteristiche della crescita dei due paesi. Un primo dato incontestabile è che in entrambi i casi la maggiore integrazione nel sistema mondiale, sia nelle sue forme nuove che in quelle più tradizionali, ha avuto un ruolo importante nel determinare questa crescita. I flussi transfrontalieri di merci, servizi, capitali (fissi e di portafoglio) e la manodopera sono gli strumenti attraverso i quali si sostiene il processo di crescita. Tali flussi, a loro volta, producono redditi ed entrate di valuta estera che alimentano la domanda e stimolano ulteriormente la crescita.

Il ruolo dell’integrazione globale come sostegno della crescita deriva in parte dal tasso sempre crescente delle esportazioni di beni e servizi rispetto al PIL. Nel 1978, quando iniziò la riforma in Cina, questo rapporto era più o meno lo stesso in India e in Cina, ed era di circa il 6,5%. Da allora è aumentato considerevolmente in Cina, fino a raggiungere il 34% nel 2004, e molto meno in India, attestandosi su un livello di poco superiore al 19%.

Maggiori esportazioni e/o un più alto tasso di espansione delle esportazioni possono stimolare la crescita, grazie a esportazioni nette positive o a un attivo della bilancia commerciale che funge da incentivo della domanda e degli investimenti per ogni singolo paese. Anche se non si registra un ampio surplus della bilancia commerciale, una consistente partecipazione agli scambi commerciali internazionali consente ad un paese di separare la struttura dell’offerta interna dalla produzione interna. Ciò permette di sfruttare le possibilità di trasformazione attraverso il commercio, per assicurare la disponibilità di quantità adeguate di merci di importanza cruciale per la crescita. Il reddito proveniente dalle esportazioni può essere di vitale importanza per finanziare le importazioni di merci specifiche che sono essenziali per i consumi, senza mettere in difficoltà il buon andamento della bilancia dei pagamenti. Esempi tipici di questo tipo di merci sono le derrate alimentari, i macchinari e il petrolio.

A livello aggregato, naturalmente, soltanto la Cina si presenta come un paese veramente mercantilista, che esporta più di quanto importi e accumula ricchezza sotto forma di valuta estera. Nell’anno che si è concluso nel marzo 2006, la Cina ha avuto un bilancio commerciale record pari a 108 miliardi di dollari e un bilancio di conto corrente altrettanto significativo, pari a 161 miliardi di dollari, portando le sue riserve auree e di valuta estera al livello record di 875 miliardi di dollari. D’altro canto, l’India ha registrato un disavanzo della bilancia commerciale vicino ai 40 miliardi di dollari e un deficit di conto corrente di 13,3 miliardi di dollari. I flussi di capitali, però, in particolare i flussi di capitali di portafoglio, hanno consentito al paese di mantenere riserve per 145 miliardi di dollari. In breve, il ruolo delle esportazioni nette come elemento trainante della crescita è confermato nel caso della Cina, ma non in quello dell’India.

Ma vi è anche un’altra differenza ancora più significativa fra l’India e la Cina. Nel caso della Cina, sono le esportazioni di merci a spiegare il suo successo in ambito commerciale, mentre nel caso dell’India i suoi guadagni, peraltro più limitati, provengono in massima parte dai servizi. Fra il 1985 e il 1995, il tasso di esportazioni di merci rispetto al PIL è aumentato da circa l’8% al 18% nel caso della Cina, e dal 4% al 9% nel caso dell’India. Ciò detto, mentre il dato della Cina nel 2003 è balzato al 26,7%, in India è rimasto al di sotto del livello del 10%. Rispetto al PIL, è la crescita nell’esportazione dei servizi a spiegare il più moderato successo commerciale indiano. Si aggiunga a questo il ruolo importante dei trasferimenti di capitale privato o delle rimesse effettuate da indiani non residenti, e si spiega la relativa elasticità del conto corrente della bilancia dei pagamenti indiana, in un contesto in cui il costo delle importazioni di petrolio continua ad aumentare.

Il diverso orientamento dell’India e della Cina per quanto riguarda le esportazioni di beni e servizi, come era prevedibile, è evidente anche nella crescita del PIL. Dell’aumento complessivo del PIL dal 1990 al 2004, nel caso della Cina il 55% derivava dall’industria manifatturiera, mentre nel caso dell’India il 60% è relativo ai servizi. È doveroso rilevare che non tutta la crescita del settore dei servizi in India è legata al software e ai servizi collegati all’informatica – i motori della crescita citati abitualmente – nel senso che essi continuano a rappresentare soltanto il 4% circa del PIL. Anche fra i servizi «moderni», i settori che si rivolgono al mercato interno, come i servizi finanziari, sembrano essere cruciali.

Queste differenze rendono quanto mai insolita l’esperienza indiana. È raro che un grande paese con un basso livello di reddito pro capite registri una diversificazione così netta a favore dei servizi. È anche insolito che uno dei fattori che spiegano la crescita dei servizi sia l’esportazione dei servizi stessi. Poiché software e servizi legati all’IT costituiscono una quota significativa delle esportazioni di servizi dell’India, questa industria è ormai arrivata ad simboleggiare le nuove opportunità che la globalizzazione offre ai paesi in via di sviluppo.

Dal punto di vista dei paesi in via di sviluppo che cercano il modo di colmare gradualmente le differenze di reddito a livello globale, il potenziale dell’ICT nell’alimentare la crescita ha un innegabile potere di attrazione. Il problema reale è capire se la rivoluzione dell’ICT si diffonderà anche nel mondo meno sviluppato. I suoi protagonisti sostengono che sarà così perché vi è una vasta gamma di fattori che favoriscono questa diffusione, anche se, fino ad oggi, le principali innovazioni che sono alla base stessa della rivoluzione informatica si sono verificate nelle economie più avanzate. Questo ottimismo ha molte ragioni. Per cominciare, esso deriva dalla consapevolezza che, a differenza delle tecnologie «di routine» che hanno dominato lo sviluppo nei primi anni del secondo dopoguerra, le nuove tecnologie «imprenditoriali» che alimentano il settore informatico sono basate sull’innovazione e la conoscenza, che si trasmette più rapidamente attraverso il globo, e da livelli di investimento che sono molto più contenuti e spesso alla portata anche di investitori privati operanti nei paesi in via di sviluppo. Tutto ciò riduce drasticamente gli ostacoli all’accesso, e consente la presenza, in un segmento dell’economia globale in rapida espansione, di piccoli «attori» provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Particolarmente significativo è il fatto che le fonti di questa conoscenza in un segmento rilevante delle industrie di hardware e software siano canali convenzionali quali le riviste specializzate, le conferenze, i seminari e i programmi di formazione finanziati dal settore pubblico o da quello privato. Ciò rende più semplice per «attori» del tutto nuovi acquisire la conoscenza necessaria per un contributo tecnologico di assoluta avanguardia, come è stato ed è tuttora per almeno alcune delle miriadi di nuove attività che fioriscono nella Silicon Valley. Inoltre, poiché gran parte della produzione dell’IT, dall’assemblaggio alla elaborazione di software è ad alta intensità di manodopera specializzata, la disponibilità di manodopera a basso costo in paesi come l’India è considerata un vantaggio decisivo nella competizione internazionale in questo settore.

L’esperienza dell’India è spesso citata per avvalorare queste affermazioni. In termini sia assoluti che relativi le dimensioni attuali del settore informatico in India sono impressionanti. L’Associazione nazionale delle società di software e servizi dell’India (NASSCOM) stima che il volume d’affari del settore sia pari a 22 miliardi di dollari, compresi 4,8 miliardi di dollari di proventi del mercato interno, 12 miliardi di dollari provenienti dall’esportazione di servizi e software, e 5,2 miliardi di dollari derivanti da esportazioni di servizi collegati all’IT e al business process outsurcing (BPO). Inserito nel contesto dell’economia globale, il reddito del settore ammonta attualmente al 4,5% del PIL. Ciò lo rende un segmento importante delle attività del settore non agricolo. Nel 2003-2004 il reddito lordo del settore dell’IT, pari al 3,5% del PIL, era più del doppio del contributo di valore aggiunto del settore tessile al PIL.

Per fare un confronto, il reddito lordo dei servizi del settore informatico nel 2004-2005 era di circa il 20% maggiore del PIL prodotto in India dal settore edilizio, e quasi il triplo del PIL derivante dall’attività estrattiva e dalle forniture di gas, acqua ed elettricità. Inoltre, il reddito lordo dei servizi del settore informatico superava il 12% del PIL generato da tutto il settore dei servizi, che rappresenta oltre il 50% del PIL del paese. Pertanto, anche se il settore del software e dei servizi collegati all’IT ha preso le mosse dieci anni fa da una base ristretta o comunque trascurabile, la sua rapida espansione ad un tasso annuo composto di oltre il 30% nel periodo che va dal biennio 1998-1999 a quello 2004-2005, ha fatto in modo che esso sia oggi una importante presenza nell’economia.

Il fatto che la corsa allo sviluppo di questo settore sia stata alimentata in massima parte dalla domanda esterna è ampiamente riconosciuto. Le esportazioni di software e di servizi collegati all’informatica sono aumentate fin dal biennio 1997-1998 ad un tasso annuo composto del 38%, e spiegano in larghissima parte la rapida ascesa del settore. Nel 2004-2005, secondo le stime della Banca centrale indiana, le esportazioni di software e di servizi, con 16,6 miliardi di dollari, erano pari ad un quinto delle esportazioni di merci del paese e a quelle di uno dei principali settori d’esportazione del paese, ossia l’industria tessile e dei prodotti tessili (inclusi i tappeti).

Ciò ha fatto delle esportazioni dei servizi informatici una componente importante delle esportazioni totali del paese di merci e servizi. Il tasso delle esportazioni dei servizi informatici rispetto alle esportazioni di merci è aumentato, passando dal 13% nel 2000-2001 ad un 20% previsto nel 2004-2005. Inoltre, la percentuale di utili netti derivanti dall’esportazione di servizi informatici rispetto agli utili totali netti invisibili è passato in quegli stessi anni dal 53% al 59%.

È noto che i trasferimenti privati e le rimesse di indiani residenti all’estero, insieme agli introiti del settore informatico, hanno aiutato l’India ad accumulare un attivo di conto corrente nei tre anni che vanno dal 2001-2002 al 2003-2004. Mentre le rimesse sono il risultato della migrazione di breve periodo di persone fisiche, le entrate dei servizi informatici sono il risultato di un processo di migrazione digitale, facilitato dalla tecnologia che consente di fornire una vasta gamma di servizi, spesso in tempo reale, da località lontane e superando qualsiasi frontiera. La fornitura di servizi di lavoro attraverso la migrazione effettiva o digitale ha così rafforzato notevolmente la bilancia dei pagamenti dell’India. Anche durante il periodo 2004-2005, nonostante il brusco incremento del prezzo del petrolio e del costo delle importazioni non petrolifere dell’India, il deficit di conto corrente è stato contenuto, proprio grazie ai flussi derivanti da queste forme di migrazione.

In una fase iniziale le rimesse erano di gran lunga più importanti che non gli introiti dei servizi legati al software. Ma, in parte anche a causa di un rallentamento nell’afflusso delle rimesse nel 2004-2005, si stima che il rapporto fra introiti dei servizi di software e rimesse sia passato dal 45% nel 2000-2001 al 60% nel 2002-2003 e all’83% nel 2004-2005. Inoltre, fin dalla metà degli anni Novanta, si è assistito a una riduzione della percentuale di rimesse provenienti dall’«area della sterlina», mentre aumentavano quelle provenienti dall’area del dollaro. Dato che i paesi del Golfo, da cui proveniva gran parte delle rimesse negli anni Ottanta, rientrano nell’area della sterlina, vi è motivo di credere che le rimesse inviate da emigrati di breve periodo negli Stati Uniti (o nell’area del dollaro) siano aumentati più velocemente che non quelle provenienti da emigrati nei paesi del Golfo. E gli emigrati di breve periodo negli USA sono essenzialmente addetti del settore del software. Tutto ciò conferisce un ruolo assolutamente vitale al settore dell’informatica nel consolidare la bilancia dei pagamenti di conto corrente dell’India.

La vera difficoltà è che la crescita complessiva dell’India, così come la crescita del settore ICT, hanno avuto una base estremamente ristretta. Un indicatore di ciò è il trend dell’occupazione. Il contributo del settore informatico all’occupazione non è assolutamente commisurato al ruolo che ha questo settore nel generare reddito e valuta estera. Le uniche stime disponibili a questo proposito sono quelle del NASSCOM, che rivelano che l’occupazione è passata da circa 285.000 unità nel 1999-2000 a poco più di un milione nel 2004-2005. Nel 1999-2000, l’occupazione nel settore informatico in India rappresentava appena lo 0,21% della forza lavoro non agricola del paese, il 3,4% dell’occupazione nella produzione tessile e lo 0,08% della forza lavoro a livello aggregato. Questo scarto tra il contributo del settore al PIL e il suo contributo all’occupazione sta ad indicare che, dal punto di vista della distribuzione del reddito, la crescita del settore deve necessariamente riflettersi in un aumento della disuguaglianza del reddito. Questo è un dato sconcertante, dato il basso tasso di crescita complessivo dell’occupazione nell’economia. Il tasso di crescita dell’occupazione nella seconda metà degli anni Novanta (dal 1993-1994 fino al 1999-2000) è stato di appena lo 0,67% nelle zone rurali e dell’1,34% nelle zone urbane.

Questa incongruenza fra crescita dell’occupazione e aumento del reddito è legata ad alcune caratteristiche strutturali dell’industria informatica così come si è andata sviluppando nel paese. Essa si è rivelata un complesso eterogeneo e stratificato, con imprese operanti in diversi segmenti dell’hardware, del software e dei servizi, caratterizzati da margini estremamente ampi. Al vertice troviamo società di successo che si concentrano sul mercato di esportazione del software e dei servizi collegati all’informatica. Al livello più basso troviamo un gran numero di imprese di assemblaggio indipendenti, che vedono i loro margini di guadagno ridursi sempre più per via del calo dei dazi sui sistemi e le componenti di importazione.

Secondo i dati del NASSCOM, nel 2003-2004 i principali venti esportatori di software e di servizi informatici rappresentavano da soli il 61% delle esportazioni totali. Ma anche all’interno del segmento dei servizi l’industria è fortemente differenziata. La distribuzione dei redditi per addetto è estremamente diseguale, con pochi top players che ottengono margini elevati e una larga fetta del mercato, e una industria sovraffollata da un gran numero di piccole aziende con basso fatturato e margini estremamente ridotti.

Nonostante queste caratteristiche, l’India, insieme alla Cina, è vista come una minaccia emergente sui mercati globali. Il ruolo degli scambi commerciali nel facilitare la crescita nei due paesi spiega in larga misura la percezione che essi costituiscano una minaccia per la crescita globale, in particolare nei paesi dell’OCSE. Per giunta, mentre la Cina sembra affermarsi come il centro manufatturiero del mondo, l’India sta dimostrando di essere l’hub dei servizi globali. E ognuno dei due paesi tiene d’occhio il terreno occupato dall’altro. In tali circostanze, un elemento come l’importante attivo della bilancia commerciale della Cina con gli Stati Uniti non fa che rafforzare la percezione di una minaccia economica notevole.

In ogni caso bisogna rilevare che entrambi i paesi, e l’India ancor più della Cina, sono ancora attori marginali nella produzione e nelle esportazioni globali. Se misurata in base ai prezzi vigenti nel 2000, la quota delle esportazioni mondiali di beni e servizi della Cina era di appena il 5,8% nel 2003 (in ascesa rispetto all’1,4% nel 1978), e l’India era appena all’1% (in ascesa rispetto allo 0,4% del 1978). In termini di PIL a prezzi costanti, nel 2003 la Cina rappresentava il 4,6% del PIL globale e l’India l’1,6%, ambedue in ascesa rispetto allo 0,9% del 1978. Date le grandi dimensioni della popolazione di questi due paesi, questi numeri sono ancora ridotti, ma la loro crescita in Cina può essere motivo di sconcerto.

Inoltre, vi sono altri due fattori che è necessario prendere in considerazione nel valutare l’entità di questa minaccia. In primo luogo, la crescita di questi due paesi crea a sua volta un mercato interno in espansione in cui possono inserirsi con successo altri attori. La trasformazione del mercato interno nei due paesi, vista in termini di brand profiles, sta ad indicare che le imprese dei paesi industrializzati stanno traendo beneficio da questo mercato, anche se con una produzione delocalizzata. Un dato importante a questo proposito riguarda le dimensioni relative del PIL di queste due economie, misurate in termini di dollari a parità di potere d’acquisto, che è un indicatore del potere di acquisto della popolazione indiana e di quella cinese. Valutata in questi termini, la Cina rappresenta il 13% del PIL globale nel 2003 e l’India il 6%. Questi dati vanno confrontati con il 2,9% della Cina e il 3,6% dell’India registrati nel 1978. Perciò il resto del mondo sta traendo vantaggio dalla crescita del mercato in questi paesi.

Il secondo aspetto importante riguarda la sostenibilità dei loro alti tassi di crescita, alimentata dalle esportazioni di merci in Cina e da quelle di servizi in India. In passato, aumenti rapidi delle esportazioni di alcuni paesi emergenti si sono rapidamente esauriti per una serie di motivi. Essenzialmente, questa crescita si scontra con limitazioni dell’offerta di varia natura ma soprattutto infrastrutturali. La Cina è, almeno in parte, in grado di far fronte a questa situazione, grazie al suo alto tasso di investimenti rispetto al PIL. Ma in India si vedono già i segni di strozzature infrastrutturali. Inoltre, una vigorosa crescita delle esportazioni porta anche ad aumenti del costo del lavoro e/o ad un apprezzamento del tasso di cambio, che a sua volta compromette la competitività delle esportazioni. Permangono quindi notevoli incertezze in merito alla sostenibilità dei percorsi di crescita di questi due paesi. Ma, fintanto che continueranno a crescere al ritmo attuale, è probabile che il mondo continuerà a temere la sfida che viene dall’Asia.