La governance della percezione dei rischi

Di Giuseppe A. Veltri Lunedì 01 Maggio 2006 02:00 Stampa

La governance della percezione pubblica dei rischi è una delle maggiori sfide che la politica contemporanea deve affrontare. Nonostante ciò, le sue dinamiche sono state spesso fraintese. In Europa e nel mondo anglosassone, in particolare, le scienze sociali hanno provato a costituire un patrimonio di conoscenza che potesse chiarire la natura di questo tema e facilitarne gli aspetti legati alla governance. Per molti anni la percezione dei rischi e la public understanding of science (la percezione pubblica della scienza, PUS) sono state oggetto di studi provenienti solitamente dalla psicologia sociale, dall’antropologia e dalla sociologia. Sono vivi nella memoria collettiva gli esempi di cattiva governance della percezione dei rischi: le proteste contro gli organismi geneticamente modificati, quelle contro il nucleare e quelle contro opere pubbliche considerate pericolose per la salute della popolazione e dell’ambiente locale, proteste che hanno attraversato l’Europa e l’Italia negli ultimi decenni.

La governance della percezione pubblica dei rischi è una delle maggiori sfide che la politica contemporanea deve affrontare. Nonostante ciò, le sue dinamiche sono state spesso fraintese.

In Europa e nel mondo anglosassone, in particolare, le scienze sociali hanno provato a costituire un patrimonio di conoscenza che potesse chiarire la natura di questo tema e facilitarne gli aspetti legati alla governance.

Per molti anni la percezione dei rischi e la public understanding of science (la percezione pubblica della scienza, PUS) sono state oggetto di studi provenienti solitamente dalla psicologia sociale, dall’antropologia e dalla sociologia. Sono vivi nella memoria collettiva gli esempi di cattiva governance della percezione dei rischi: le proteste contro gli organismi geneticamente modificati, quelle contro il nucleare e quelle contro opere pubbliche considerate pericolose per la salute della popolazione e dell’ambiente locale, proteste che hanno attraversato l’Europa e l’Italia negli ultimi decenni. In Italia grande scalpore e risalto ha ottenuto il caso di «elettrosmog» di Radio Vaticana e della sua stazione emittente di Santa Maria di Galeria, dalla quale la radio viene trasmessa in tutto il mondo. In questi giorni la cronaca quotidiana ci ripresenta gli stessi problemi in luoghi diversi della nostra penisola: la TAV in Val di Susa, i rigassificatori in Puglia, gli elettrodotti dell’ENEL in varie regioni d’Italia, i termovalorizzatori in Campania ecc.

Si tratta di un fenomeno che gli americani, sin dagli anni Sessanta, hanno ribattezzato sindrome NIMBY (not in my back yard), che può degenerare nella sindrome BANANA (build absolutely nothing anywhere near anything). È possibile compiere alcune considerazioni su queste dinamiche sociali basate sulla letteratura scientifica disponibile e su ciò che queste proteste hanno in comune? La risposta è positiva, ma con alcune distinzioni: esistono dei principi generali asseriti dalle ricerche sinora condotte, vi sono delle similarità tra i diversi casi, ma esiste anche una loro specificità. Nonostante ciò, queste considerazioni e indicazioni hanno un alto grado di utilità nella governance di tali fenomeni sociali; una dimostrazione ne è il fatto che siano state applicate con un certo successo in altri paesi europei e in particolare in Gran Bretagna dopo il caso BSE. Esiste la necessità di fare chiarezza su alcune incomprensioni e su alcuni errori comunemente praticati dal mondo della politica e delle istituzioni che, nel corso degli ultimi venti anni, sono stati ampiamente documentati e studiati. Tuttavia, bisogna chiarire subito che non esiste alcuna «sfera di cristallo», nessuna teoria o principio che, se applicato universalmente, garantisce risultati. Siamo pur sempre nel dominio delle scienze sociali e sono poche le teorie che hanno una tale validità universale.

È bene iniziare dalla soluzione standard spesso applicata quando una popolazione manifesta atteggiamenti negativi verso un tema tecnico-scientifico, un’opera pubblica o in generale una politica tecnico-scientifica «ad alto impatto» (che può essere di natura ambientale, ma anche di natura sociale, come i conflitti di natura etico-valoriale con la cultura locale).

Per molti anni, l’unica soluzione che veniva prospettata quando si sono verificate discrepanze tra la percezione del rischio di un governo e quella di una popolazione è stata quella di dare alle persone maggiori informazioni scientificamente corrette. L’assunto era il seguente: se si aumenta il livello di conoscenza tecnico-scientifica del problema contestato, gli atteggiamenti negativi scompariranno naturalmente per via di una nuova riformulazione razionale e corretta. Il problema era il deficit di conoscenza presente tra la popolazione e il gap con quelle disponibili per le istituzioni e i loro esperti, e la soluzione veniva quindi rappresentata da una campagna d’informazione per dissipare i timori della gente. Quando qualcosa non funzionava si attribuivano i problemi alla mancanza di accuratezza nella campagna d’informazione o nella difficoltà di comprensione del messaggio. E quando anche quest’assunto non spiegava le difficoltà, ci si rifugiava nella sempre di moda «irrazionalità» della gente.

Questo modello, ingeneroso verso le popolazioni coinvolte, è stato superato. Numerose ricerche1 e lo stesso Eurobarometro2 hanno dimostrato che atteggiamenti ostili persistono anche tra persone bene informate. Per essere chiari, informare non è certo controproducente, ma il deficit di conoscenza non è l’unica variabile in gioco in tali dinamiche.

Il primo aspetto critico del modello del deficit è rappresentato da una domanda molto semplice: quanta conoscenza ci vorrebbe per far svanire gli atteggiamenti negativi della popolazione? Non esiste una risposta univoca a questa domanda e la ragione risiede in alcune problematiche di natura cognitiva che tralasciamo di discutere nel presente contesto.

Il secondo aspetto, invece, è di natura prettamente sociale e riguarda dinamiche strettamente legate alla governance. Per valutare la grandezza e la pericolosità di alcuni temi tecnico-scientifici non abbiamo alcun organo sensoriale. Prendiamo ad esempio il caso della radioattività o della diffusione di una sostanza tossica: nessuno «vede» la radioattività o avverte la presenza di una sostanza nociva nell’aria. Siamo incapaci di valutare individualmente la presenza e/o la natura del rischio. Questo si traduce nella necessità per l’individuo di affidarsi alla mediazione di qualcun’altro e al suo ambiente sociale in generale. Essere senseless aumenta la dipendenza della persona verso gli altri per raccogliere informazioni e crearsi una propria opinione. Per questa ragione si ha bisogno degli esperti, ma allo stesso tempo è necessario che ci sia un rapporto di fiducia perché le informazioni fornite possano essere accettate.

Esiste, quindi, una fondamentale dimensione sociale nella valutazione del rischio che è stata trascurata per molto tempo. Se non ci si fida degli esperti, si rifiuteranno le loro indicazioni senza considerare il divario di conoscenza esistente.

La mancanza di fiducia verso gli esperti è spesso il frutto di una differente modalità di concepire la «certezza» di un valutazione. L’opinione pubblica esige valutazioni certe, ma nella comunità scientifica non è consuetudine esprimere certezze in termini assoluti (non senza ragioni, ovviamente). E, naturalmente, esistono esperti di diversa opinione quando si tratta di valutare un rischio.

Un esempio di tale dinamica si è verificato di recente nel Regno Unito con il caso del vaccino MMR contro il morbillo e la rosolia, sospettato di provocare una forma di autismo come effetto collaterale. La mancanza di una certezza assoluta da un punto di vista scientifico ha danneggiato la fiducia nel vaccino e negli esperti (che erano divisi tra loro nel valutare l’entità del rischio) in un paese dove la fiducia negli esperti era già stata duramente colpita dal caso BSE.

Altra questione non meno rilevante, gli esperti sono spesso espressione di un attore politico-istituzionale e vengono quindi valutati anche in base a questo aspetto. In generale, una comunità può trovarsi a non accettare le valutazioni di alcuni esperti per la mancanza di fiducia nelle istituzioni che essi rappresentano. In questo caso la frattura è di natura sociale: una comunità si sente priva di rappresentazione politica e istituzionale e, di conseguenza, nega il ruolo degli esperti per via della mancanza di fiducia. Il dialogo e il cosiddetto public engagement con le comunità coinvolte sono fondamentali per ristabilire un senso di fiducia e una reale rappresentazione dei timori e delle aspettative della popolazione locale. La fiducia può essere dissipata rapidamente, ma ricostituirla richiede un processo lento e faticoso.

Negli ultimi venti anni la fiducia nelle istituzioni è in costante calo nei maggior paesi europei. Allo stesso tempo, la fiducia nelle istituzioni locali è superiore rispetto a quella nelle istituzioni nazionali. Ne consegue che quando le istituzioni locali vengono scavalcate, sono gli attori istituzionali che godono della minore fiducia ad essere in gioco. A questo si aggiunge il principio secondo cui le persone ammettono rischi «volontari» – che vengono accettati per libera scelta – molto maggiori dei rischi imposti o «involontari» (in misura circa mille volte superiore). In altri termini, imporre rischi non accettati su base volontaria significa amplificare la percezione del rischio in una comunità. Attraverso il dialogo con le comunità locali, quindi, si possono trovare soluzioni che permettano di coniugare l’interesse nazionale e quello locale.

Un altro elemento fondamentale è la questione dell’accountability, la chiara indicazione di responsabilità. Si tratterebbe, in realtà, soltanto di un aspetto di buon senso e di buona governance in qualunque circostanza, ma diventa particolarmente rilevante in situazioni dove ci sono scelte di policy che comportano rischi per una comunità.

È importante per una comunità sapere a chi rivolgersi in modo diretto e rapido per chiedere controlli o fugare dubbi. Stabilire un canale di comunicazione diretto ed efficiente tra la popolazione locale e le autorità coinvolte è il metodo più efficace per monitorare situazioni a rischio e per identificare prontamente eventuali criticità. Tuttavia, è fondamentale che questo canale non sia unidirezionale, ma abbia anche la capacità di condurre «campagne di ascolto».

Il canale di comunicazione è ad esempio fondamentale nei casi di malattie infettive perché l’opinione pubblica contemporanea sembra essere interessata più alla prevenzione che alla cura, come è avvenuto nel caso dell’influenza aviaria. Un canale bi-direzionale di comunicazione meglio soddisfa le necessità di una campagna di prevenzione.

Queste considerazioni di public engagement e di accountability si possono facilmente applicare ai casi della TAV in Val di Susa e alle proteste contro i rigassificatori e termovalorizzatori in varie regioni italiane.

Per concludere, secondo le ricerche effettuate negli ultimi anni dall’Eurobarometro nel campo della governance della percezione del rischio le dimensioni su cui si basa l’atteggiamento della popolazione europea verso questioni tecnologiche e scientifiche sembrano essere due: la dimensione utilitaristica e quella etico-morale.

Il caso degli OGM (organismi geneticamente modificati) rappresenta un buon esempio di interazione di questi effetti, dove la mancata percezione pubblica dei benefici dei prodotti OGM ha interagito con una dimensione di sacralità e di identità che il cibo possiede in alcune culture europee.

Quando la dimensione etica è assente, come spesso avviene nel caso di opere pubbliche, la gente tende ad essere utilitaristica e valuta soprattutto i benefici di un’innovazione tecnologica o scientifica. Se la percezione dei benefici è carente o difettosa, allora prevarrà l’atteggiamento di ostilità. Tuttavia, questo utilitarismo ha una dimensione individuale e locale; in altri termini, ci si basa sui benefici che l’individuo o la propria comunità riceveranno da tale innovazione. In questo caso, si può tornare agli esempi della TAV in Val di Susa e delle proteste contro le discariche in Campania e in altre regioni italiane.

In Francia e in Gran Bretagna, come è noto, le comunità che si fecero carico di avere una centrale nucleare nelle vicinanze furono ricompensate con investimenti in servizi sociali mirati ad aumentare la qualità della vita e la capacità di tali luoghi nell’attrarre persone. Negli USA, è utilizzato il cosiddetto metodo dell’asta olandese inversa: si seleziona un certo numero di siti adatti e si offre una compensazione monetaria e nel caso in cui tutte le comunità rifiutino l’offerta iniziale si continua sino a quando una comunità non accetta. È bene tener presente, tuttavia, che quest’ultimo approccio troverebbe difficoltà in Europa, dove tendenzialmente le popolazioni locali si aspettano un certo grado di coinvolgimento e partecipazione democratica. In altri termini, una comunità che si faccia carico dell’impatto di un’innovazione tecnologica o di un’opera pubblica raramente ritiene sufficiente l’appello all’interesse nazionale e collettivo.

Per riassumere, oltre alle dovute campagne di informazione è necessario considerare gli aspetti brevemente delineati in modo da ottenere una maggiore efficienza nella governance della percezione del rischio. In particolare: a) una politica di public engagement che sia fondata sul dialogo con le comunità locali, in modo da rappresentarne pienamente i timori e le incertezze; b) un canale costante di comunicazione e di ascolto con le comunità coinvolte; c) una chiara delineazione di responsabilità e doveri degli organi preposti al controllo e alla sicurezza dell’impatto dell’innovazione o dell’opera pubblica introdotta; d) il riconoscimento del costo che una comunità subisce in tali casi e un’opportuna politica di investimenti e compensazione.

Questi pochi punti hanno un’importanza strategica nella definizione di un governance del rischio di successo.

 

 

Note

1 Un ottimo esempio è G. Gaskell, M. W. Bauer e J. Durant, Biotechnology: the making of a global controversy, Cambridge University Press, New York 2002.

2 L’Eurobarometro è il principale strumento di analisi dell’opinione pubblica europea utilizzato dall’Unione europea.