Italianieuropei 1/2001

il Sommario

gli Articoli

Le cose da fare

Misuriamoci insieme con la novità del futuro

di Giuliano Amato

Caro Massimo, mi sono capitati sott’occhio in questi giorni gli appunti che mi ero fatto due anni fa mentre leggevo il libro di Pierre Lellouche sul «Nuovo mondo» (un libro che ormai ha quasi dieci anni). Stavo preparando allora una relazione sull’Europa e sui cambiamenti che essa doveva affrontare in un mondo tanto diverso da quello in cui era cresciuta negli anni dell’economia fordista e della geopolitica dominata dal bipolarismo sovietico-americano.

Le cose da fare

Basta con le divisioni del passato, ci unisce il legame con il socialismo europeo

di Massimo D'Alema

Caro Giuliano, nella nascita di una rivista c’è sempre qualcosa di temerario. Difficile dire se verrà letta con la stessa passione con la quale è stata pensata. Soprattutto ci si chiede se riuscirà a riempire il vuoto che la motiva. Quando, anni fa, ne parlammo per la prima volta immaginavamo un luogo aperto di dialogo tra le grandi tradizioni del riformismo italiano. Non potevamo prevedere l’accelerazione brusca della storia e l’irrompere di problemi – il nuovo terrorismo è uno di questi – che mutano non solo l’agenda politica ma il senso comune delle persone e persino lo spirito del tempo.

Pensare la Politica

La Gran Bretagna protagonista in Europa

di Redazione

Tony Blair è stato tra coloro che si sono spesi con il maggiore impegno per la costruzione di una vasta coalizione anti-terrorismo. Forte della convinzione che sia giusto, e non solo inevitabile, neutralizzare la minaccia terroristica con una iniziativa il più ampiamente condivisa dalla comunità internazionale, il leader britannico ha lavorato per estendere molto oltre i confini tradizionali dell’Occidente il consenso alla risposta ai fatti dell’11 settembre. Italianieuropei lo ha intervistato alla fine di ottobre, in un colloquio che muove dagli scenari internazionali per giungere ai temi della sinistra europea e dell’innovazione della cultura politica del riformismo.

 

Pensare la Politica

Contro il terrore, più Europa e più sviluppo

di Redazione

Tra i leader socialisti europei, Antonio Guterres è colui che può vantare il merito di avere interrotto prima di altri il ciclo di governo conservatore. La sua prima vittoria elettorale risale al 1995, confermata poi da una maggioranza ancora più larga nel 1999, e i suoi anni di governo hanno fatto compiere al Portogallo considerevoli passi avanti nel campo dell’europeizzazione del paese e dell’innovazione dello Stato sociale. Cattolico praticante sin dalla gioventù e oggi presidente dell’Internazionale socialista, Guterres testimonia anche personalmente la molteplicità di culture di cui si alimenta il riformismo europeo. Italianieuropei lo ha intervistato ad un mese di distanza dai fatti dell’11 settembre, in seguito ai quali anche il Portogallo sta vivendo la difficile responsabilità di sostenere la risposta della comunità internazionale al nuovo terrorismo.

 

Dopo l'11 Settembre

L'economia della paura

di Federico Rampini

Trascinati in una guerra di cui ignoriamo tutto – la durata, l’esito finale, perfino l’avversario – abbiamo cambiato vita. Viaggiamo meno, spendiamo meno, rinviamo investimenti e progetti. Il nostro atteggiamento verso il resto del mondo e verso gli immigrati è in crisi. Le multinazionali hanno paura. Gli Statinazione alzano il ponte levatoio ai confini. L’America è il centro di questa evoluzione – economica, politica, di costume – scatenata l’11 settembre. La sua classe dirigente si chiede: è uno shock da cui un giorno usciremo e tutto tornerà come prima? O la strage terroristica fa precipitare un cambiamento sistemico, irreversibile? Sotto le macerie delle Twin Towers sono finiti la globalizzazione, un modello consumistico, la centralità dei mercati finanziari.

 

Dopo l'11 Settembre

Il fondamentalismo contro l'Islam

di Renzo Guolo

Gli attacchi terroristici su New York e Washington, i proclami di Bin Laden e dei Taleban che incitano al jihad, la questione palestinese; persino le dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano a proposito della superiorità della civiltà occidentale su quella islamica. Tutto, in queste settimane, sembra dilatare le tensioni tra Occidente e Islam, quasi a confermare le previsioni di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà. Ma è di questo che si tratta? Oppure i teorici dello scontro di civiltà fanno proprio, specularmente, lo stesso discorso del radicalismo islamico? Confermando, a parti rovesciate, l’esistenza di quella sorta di «bipolarismo religioso» che nelle teorie dei gruppi islamisti radicali divide il mondo in «partito di Dio», ovvero l’Islam e il Bene, e il «partito di Satana», l’Occidente e il Male. Ma la stessa, insolita, natura dell’alleanza che si è formata contro il terrorismo di matrice islamista non mostra invece che la battaglia si svolge anche dentro al mondo musulmano?

 

Dopo l'11 Settembre

La guerra come metafora: la costruzione di una strategia internazionale per gli Stati Uniti

di Federico Romero

In questa guerra «di tipo nuovo» materializzatasi l’11 settembre 2001 il primo problema riguarda la sua definizione. Con gradi assai diversi di calma lucidità o di smaniosa ignoranza (quest’ultima particolarmente evidente in molti media italiani, in primo luogo quelli televisivi), intorno alla parola guerra si è cercato di individuare i possibili contorni del futuro prossimo e, al tempo stesso, di esorcizzare gli scenari più apocalittici. Il nodo è quello dello «scontro di civiltà» che (quasi) tutti vorrebbero scongiurare ma che tutti temiamo possa mettersi incontrollabilmente in moto. Perché non è facile frenare e depotenziare le pulsioni xenofobiche che in vario modo attraversano le società occidentali, e perché vi sono segmenti del radicalismo integralista islamico che tale scontro di civiltà lo predicano e lo attuano. In fondo è quest’ultima la verità più scomoda a cui gli attentati dell’11 settembre ci hanno messo inesorabilmente di fronte.

 

Due mesi di politica

Il Partito ritrovato: il dibattito precongressuale dei Democratici di Sinistra

di Pasquale Cascella

I Democratici di Sinistra hanno scelto il segretario che potevano già avere. Forse già al momento della scelta di Walter Veltroni di candidarsi al governo della capitale, se la decisione dell’allora segretario non fosse già stata vissuta da una parte del partito come una sorta di segnale di «rompete le righe» più che come espressione di un impegno solidale di un gruppo dirigente coeso. Poi, all’indomani della bruciante sconfitta alle elezioni politiche del 13 maggio, se il timore che un passaggio di consegne in quelle condizioni potesse essere interpretato come addebito di responsabilità allo stesso segretario rimasto in corsa per il ballottaggio al Comune di Roma non avesse consigliato il «tutti zitti e pancia a terra». Ancora, dopo la rimonta capitolina e nelle competizioni delle maggiori città, se l’evidenza di una sconfitta non del tutto ineluttabile per il centrosinistra non si fosse scontrata con le ragioni profonde della crisi politica ed elettorale del maggior partito della sinistra. E una settimana, un mese, due mesi dopo, man mano che le ragioni individuate dagli uni diventavano i torti dell’altro, e viceversa, in una spirale di resa dei conti che faticosamente il congresso è riuscito a rimontare.

 

Versus

Procreazione e libertà femminile: una questione di cittadinanza

di Claudia Mancina

All’indomani delle elezioni, Buttiglione ha sferrato il consueto attacco contro la legge 194 sull’aborto volontario. Le reazioni suscitate, però, sono state abbastanza sorprendenti: acqua sul fuoco da parte delle donne della maggioranza (in prima fila la ministra Prestigiacomo, non smentita né corretta dal governo di cui fa parte), freddezza da parte di Comunione e Liberazione, e infine un punteggio decisamente scarso nel gradimento dei ministri. Sembra dunque probabile che il governo e la sua maggioranza non apriranno anche questo fronte di scontro. Interverranno su ciò che riguarda l’applicazione della legge, con misure tendenti a incrementare la cosiddetta prevenzione: presumibilmente l’apertura dei consultori a movimenti propagandistici o l’erogazione di denaro come sostegno alle donne che rinuncino a questa scelta. Certamente anche interventi di questo tipo devono essere contrastati nelle sedi adeguate (sperabilmente con buon senso); tuttavia si deve prendere atto che non è in vista una revisione legislativa. E dunque che, anziché lanciarsi ancora una volta in difesa della 194, è forse utile cercare di capire che cosa è cambiato nella coscienza collettiva, tanto da impedire che questo centrodestra così legato alle posizioni vaticane si precipiti, una volta conseguita la vittoria, a realizzare quella modifica della legge tante volte proposta e promessa.

Versus

Procreazione e libertà femminile: una questione di autodeterminazione

di Grazia Zuffa

La nuova maggioranza di centrodestra non ha tardato molto a porre sul tappeto il tema dell’aborto. L’uscita più recente è quella al meeting di Comunione e liberazione del neo ministro Buttiglione, che promette di dare battaglia, ad iniziare dalla sua coalizione, perché la proposta di modifica della legge 194 dei cristiano-democratici entri nell’agenda governativa. La «tutela della vita» è presentata come un tema fondamentale dell’identità dei cattolici in politica, tanto che Buttiglione ha dichiarato di «sperare di coinvolgere» in questa battaglia anche «forze dell’opposizione», in primo luogo di ispirazione cattolica. Che i temi della «vita», insieme alla famiglia e alla parità scolastica, vengano rivendicati come caratterizzanti la politica dei cattolici non è una novità, anche in risposta ai sempre più ricorrenti e pressanti appelli delle gerarchie ecclesiastiche a chiedere ai cattolici di farsi portatori diretti in politica del magistero della Chiesa, traducendolo in iniziative legislative.

 

Policy Network

La piena occupazione: una prospettiva francese

di Jean Pisani-Ferry

La piena occupazione non è un sogno né uno slogan. Si tratta invece di un progetto ancora vitale, affermatosi alla fine della seconda guerra mondiale come un disegno elaborato dalle società industriali e lasciato cadere, almeno in Europa, nel momento in cui quelle società si videro costrette a far fronte a shock esterni come inflazione e ristrutturazione. Oggi appare chiaro che tale progetto era collegato a un modello economico e sociale troppo rigido per resistere ai drammatici cambiamenti che hanno segnato l’ultimo quarto di secolo. Tuttavia, la piena occupazione continua a rappresentare un obiettivo centrale per le società democratiche contemporanee. Perché il nostro scopo è a tutt’oggi quello di una società basata sul lavoro di cui la piena occupazione costituisca il principio fondante. Il tentativo di far rivivere questo progetto ripristinando una condizione di piena occupazione sarebbe stato giudicato un’utopia fino a poco tempo fa, almeno in Francia, se con la creazione negli ultimi quattro anni di 1,6 milioni di posti di lavoro l’economia francese non ne avesse fatto nuovamente un obiettivo realistico.

 

Europa Europe

Perché oggi l'Unione europea?

di Giuliano Amato

Sono angolature diverse quelle da cui guardano all’Europa gli scritti che qui pubblichiamo. Ma c’è in tutti un’eguale consapevolezza che di Europa c’è un grande bisogno davanti alle sfide che ci pone questo difficilissimo mondo, un mondo che ci eravamo appena abituati a chiamare «il mondo del XXI secolo» e che ora colleghiamo invece al «dopo l’11 settembre». Allo stesso tempo, però, urge per tutti il bisogno di riforma, che è insieme messa a fuoco più netta della missione europea nel nuovo contesto e adeguamento alla missione di un assetto istituzionale che appare poco trasparente e tortuoso nelle sue decisioni, oltre che  insufficientemente irrorato dal sostegno del consenso collettivo.

 

Europa Europe

La sovranità politica

di Biagio De Giovanni

E' difficile decifrare lo stato della questione europea dopo la conclusione dell’ultima conferenza dei governi, lo scorso dicembre a Nizza. Gli elementi che vengono in generale indicati possono essere, con buona approssimazione, riassunti così: a Nizza, si è registrato un fallimento e un’impasse. Il Consiglio europeo che lì si è riunito non ha saputo rispondere alle grandi domande che si erano aperte in vista della unificazione del continente, concludendo con decisioni di profilo basso e problematico. Come se l’Europa, giunta a un tornante decisivo del suo divenire, fosse attonita e incerta sugli sviluppi possibili, divisa nelle sue visioni, lacerata fra le interpretazioni relative al suo possibile divenire.

 

Europa Europe

L'Europa giusta

di Peter Mandelson

In questo articolo cercherò di chiarire, muovendo da una prospettiva europeista, in quale direzione ritengo che il processo unitario europeo debba avanzare, e sulla base di quali principi dovremmo ripensare le istituzioni europee affinché siano all’altezza delle sfide future. Si pensi, innanzi tutto, alla realtà economica che si delinea oggi nella nuova era della globalizzazione. Viviamo in un mondo di capitali mobili e rapida diffusione di tecnologia, dove benessere e crescita dipendono dall’esistenza di condizioni economiche che siano il più favorevoli possibile agli investimenti. I governi contribuiscono a realizzare tale contesto offrendo all’impresa accesso illimitato a vasti mercati; dandole la possibilità di massimizzare economie di scala e di scopo, e garantendo stabilità economica in un’area geografica sufficientemente ampia in cui realizzare investimenti e crescita.

 

Europa Europe

Le nuove istituzioni

di Giorgio Napolitano

L'emozione e l’allarme con cui ne scriviamo a poche settimane di distanza ci rendono difficile un giudizio più ponderato sull’impatto di quegli avvenimenti sconvolgenti, ma un dato ci sembra evidente e indubbio: quella data, 11 settembre 2001, ha segnato uno spartiacque, e non può che segnarlo anche nella riflessione sull’Europa. Se appaiono in questo momento imprevedibili gli svolgimenti che potrà avere il confronto, anche militare, col terrorismo internazionale, è un fatto che la strategia della «grande coalizione» avviata dalla leadership americana implica e apre un campo di profondi ripensamenti e cambiamenti negli equilibri mondiali. Anche perché l’11 settembre ha fatto precipitare – rappresentando in questo senso uno spartiacque – i più complessi e gravi problemi che si erano venuti accumulando e acuendo in rapporto agli sviluppi, e alle  esigenze di governo, del processo di globalizzazione.

 

Europa Europe

La globalizzazione

di Yves Mény

Gli avvenimenti dell’11 settembre hanno avuto almeno l’effetto positivo di dissipare alcune illusioni e di aprirci gli occhi sul mondo così com’è, ovvero spesso tragico. Nel corso dell’ultimo decennio, invece, si era progressivamente sviluppata in Occidente una sorta di nuova utopia di stile settecentesco; data l’incontestabile supremazia della coppia democrazia/mercato e la scomparsa di qualsiasi credibile alternativa all’organizzazione dominante sia in campo economico che politico, il mondo non sarebbe che potuto progredire nel senso di un mondo più prospero, più pacifico, più globale: la felicità derivante dai commerci in una società senza conflitti di rilievo. Confesso di non condividere questo ingenuo ottimismo, questa visione lineare e «progressista» che dimentica che la storia dell’umanità è fatta di gloria, di prosperità e di felicità, ma anche di profondi abissi.

 

Le Idee

Organismi geneticamente modificati: i pregiudizi e i bisogni

di Anna Meldolesi

Non c’è dubbio che gli scenari aperti dall’impiego degli organismi geneticamente modificati (OGM) in campo agricolo abbiano messo il mondo politico italiano ed europeo in grave imbarazzo. Lo spartiacque, disegnato dai movimenti ecologisti e no-global e mai apertamente sfidato dalla sinistra, sembra lasciare poche vie di fuga a chi deve scegliere se schierarsi a favore o contro gli OGM. Se l’alternativa è riconoscersi in chi crede nel valore intrinseco della vita e della natura o al contrario in chi della vita e della natura ha soltanto una visione utilitaristica, allora è fatale affrontare la tematica degli OGM con diffidenza se non con ostilità dichiarata.

 

Le Idee

Tre tesi sul riformismo del nuovo secolo

di Giulio Sapelli

Se rileggessimo lo splendido saggio che Antonio Labriola scrisse alla fine dell’Ottocento su quel secolo che moriva, vi troveremmo tutto il contrario di quello che scorre sotto i nostri occhi ora che il Novecento ci ha appena abbandonato. Se il Novecento appariva all’unico marxista italiano di quel tempo l’inveramento del principio di solidarietà inscritto nel farsi della storia, oggi il secolo che si chiude è l’apparire dirompente di tutto l’inverso rispetto a quanto rilevava Labriola. Vediamo di comprendere il perché. Senza questa comprensione nessuna rifondazione di una politica riformistica su un piano mondiale appare possibile. Il secolo che viene è quello in cui si esaurisce il principio di nazione saldato con quello di cittadinanza, e quindi saldato anche con le politiche di inclusione sociale, civile e politica che questo principio definivano.

 

Archivi del Riformismo

Storici come baby-sitter? A proposito di Georges Lefebvre e dell'uso pubblico della storia

di David Bidussa

I due passi che qui si riproducono sono tratti dalle parti finali del volume Quatre-vingt-neuf che Georges Lefebvre scrive in occasione del 150° anniversario della Rivoluzione francese nel 1939. Il motivo per cui vale la pena rileggerli è che essi costituiscono un esempio canonico di uso pubblico della storia senza scadere all’interno di una comunicazione propagandistica. L’Ottantanove è un libro che nasce con dei connotati precisi. È un testo pensato per il grande pubblico, e infatti è un testo senza note e con nessuna indicazione bibliografica.

 

Archivi del Riformismo

Il coraggio della concretezza. A proposito di Gino Giugni e Selig Perlman

di Cesare Pinelli

Di ritorno da un soggiorno di studio negli Stati Uniti, dove aveva usufruito di una borsa della Fondazione Fulbright al pari di altri giovani intellettuali come Ferrarotti, Sylos Labini e Federico Mancini, Gino Giugni decide di tradurre A theory of labor movement (1928) di Selig Perlman, un’autorità fra gli storici americani del lavoro, alla quale premette un’ampia introduzione di cui pubblichiamo alcuni stralci.