Giulio Sapelli

Giulio Sapelli

insegna Economia politica all’Università di Milano.

Il gioco di specchi delle riforme

Occorre non usare più il termine “riforma”. La controrivoluzione liberista iniziata con Bill Clinton e Tony Blair, seguaci inconsape-voli di Milton Friedman negli Stati Uniti e di Walter Eucken (che nessuno aveva letto) e di Jean Monnet in Europa, tra “théorie de la régulation” da un lato e “Ordoliberalismus” dall’altro (che nessuno sapeva cosa fossero perché oggi tutti parlano e leggono solo la lingua facile delle scimmie), ha trasformato anche il senso etimologico del mondo.
Cosicché “riforma” indica la direttiva eurotecnocratica oppure la de-cisione del Fondo monetario internazionale, Fondo che già sin dal suo sorgere nel 1945 a Bretton Woods preconizzava ciò che sarebbe divenuto il verbo della deflazione secolare che si è inverata senza col-po ferire. Come è noto Lord John Maynard Keynes fu sconfitto a Bretton Woods da uno stolido funzionario nordamericano che ben delineò il futuro del Fondo.

Lo Stato spongiforme e il vuoto del capitalismo europeo

Molto si discute oggi sull’emergere di una «nuova destra europea», che porrebbe in discussione in forma non episodica i governi pluriennali delle sinistre e che fonderebbe il suo dominio politico su nuovi «blocchi sociali». La riflessione sulle «basi sociali» della destra che avanza in Europa deve essere spregiudicatamente diretta a disvelare il meccanismo di dominio che sorregge il nuovo nucleo di classi politiche che si sono insediate nella cuspide degli apparati statali europei e che si apprestano a usare per consolidare il loro potere. Tuttavia l’espressione «blocco» o «base» sociale della destra mi lascia perplesso. Innanzitutto per un motivo politico generale: al governo di molte nazioni europee non vi è una «destra», né nel significato latinoamericano del termine, ossia populistica, né una destra liberista, ossia thatcheriana. Vi è un aggregato composito di forze: un’aggregazione d’interessi politici che sono raccolti attorno a compositi interessi alto e medioborghesi e di spezzoni assai estesi di ceti operai, con il collante di eterogenee classi medie.

Diario Americano 6

Si parte. Si va verso il Nord America, e ci si ferma dapprima a Boston, per proseguire poi per Chicago. E qui si sente quanto gli Stati Uniti siano un insieme di gloriose tribù governate da una oligarchia a tratti illuminata, a tratti cieca dinanzi ai suoi compiti mondiali e nazionali. Boston è un tratto d’Europa che tenta disperatamente di divenir sempre più tale, costi quel che costi sul piano dei rapporti con la grande mela e con la capitale amministrativa della nazione. Le donne sono il primo segno di ciò. Sono vestite come delle europee, con tailleur un po’ fuori moda per noi, ma essenziali per il loro status bostoniano, con golf e golfini che non vedrete da nessuna altra parte d’America, compreso il giro di perle che risplende discreto, con qualche acconciatura un pò osé, ma che non va mai oltre a dei chignon che mi ricordano l’infanzia. Insomma, un gran piacere d’essere in un esilio dorato e benevolente, che si dipana, nel tempo delle colazioni che facciamo in albergo dinanzi a una piazza splendente di fiori e di alberi fioriti, in un tripudio di raffinatezza. Qui, in questo fine albergo, incontro un operatore finanziario che stimo moltissimo per l’intelligenza e la cortesia.

 

Diario americano 7

Ritorno. Eccomi di nuovo qui. Sono uscito presto dall’albergo e sono stato scaricato da un taxi dinanzi alla decrepita chiesa cattolica dell’Università di New York. Lo stesso odore stantio di quei tempi che sentivo quando entravo la domenica presto, prima della messa, quando studiavo nella città terribile e incantata nei mesi in cui ero invitato come ospite dal Remarque Institute, che è chiuso. Lascio, allora, al portiere che non è più lo stesso, un biglietto per il direttore e l’adorabile segretaria e me ne vado. Ma a quell’odore fa riscontro, in un’immaginifica lotta, il profumo dei fiori raccolti in modestissimi vasi di plastica che sono posti in tutti gli angoli e a capo dell’altare. Fiori umili e sempre freschi, odorosi di quell’indefinibile pneuma che è ben più del soave profluvio della natura: è già un inno alla mortificazione e alla cristiana letizia insieme. E questo perché sono fiori modesti, in sé raccolti, ed estranei, in definitiva, al rutilante girare del mondo che si snoda appena esci dal sagrato e ti immergi in Washington Square e quindi nell’universo-mondo dell’economia monetaria in cui vivono le persone, qui più di ogni altro luogo. Attorno a me nessuno.

 

Riformismo e impresa

L’impresa è la possibile libertà dei moderni: associazione di persone, può costituire lo strumento fondamentale per la realizzazione umana e non soltanto il principale attore creatore della ricchezza sociale, quale che sia la formazione economicosociale dominante. Questo principio è uno dei valori fondativi del moderno riformismo.

Diario americano 5

Eccomi ancora dinanzi a uno scoiattolo che corre veloce e mi guarda sornione, di sottecchi, e pare nel contempo essere altrove, con quello squisito e disperante spirito di contraddizione che non solo lo scoiattolo, ma anche molti altri animali hanno rispetto all’umano: essere per l’umano e nel contempo a esso rifiutarsi con ogni istintivo comportamento. Ma lo scoiattolo non è più quello del mio giardino nella via parallela a Washington Square, tra La Guardia Street e il mondo incantato del Village. Lo scoiattolo ora corre a Londra, in St. James Garden, e attorno a me c’è il mondo variopinto del Bank Holiday: è il 2 di un maggio profumato e odoroso di muschio e sono le 19 della sera ora locale. Ho rifiutato di seguire i miei compagni di viaggio in una cena che sarà da preludio a quelle che avremo domani e dopodomani con esponenti della comunità finanziaria, in un estenuante road show che proseguirà poi a Boston, Chicago, Montreal e che infine si concluderà a New York: ecco che lunga ed estenuante corsa... Una lunga attesa, quindi, prima di raggiungere e ritornare in tutt’altra veste nella mia amata, amatissima e disperata città, che mi appartiene come lo scoiattolo appartiene agli umani: tra il magone della vita quotidiana che consente di sognare e il desiderio, che si avvoltola su quel sogno, di essere altrove, altrove ora e sempre e per sempre.

 

Il declino non basta

Non si sarebbe immaginato che il dibattito sul declino venisse via via assumendo in Italia un approccio così asfittico e riduzionistico, tutto piegato sull’immediatezza della lotta politica e tra gruppi di interessi o, peggio, sulle esigenze dei mass media. E rivolto, in definitiva, ai dati dell’economia, della bilancia dei pagamenti e delle esportazioni, con un vocabolario tecnico incomprensibile ai più.

 

Diario americano 4

Se c’è qualcosa che è veramente cambiato a New York e su cui nessuno pone mai l’accento, si tratta delle hall dei grandi alberghi. Guardate cosa è divenuto il Plaza. Prima si poteva entrare e comprare il giornale e passare un po’ di tempo a leggere fumando una sigaretta, guardando il panorama umano maschile e femminile che passava dinanzi a voi e che veniva da ogni parte del globo terracqueo e soprattutto dalla provincia nordamericana. Uno spettacolo che potevate godervi senza che nessuno vi disturbasse. Questo era fantastico nelle serate d’inverno, quando non trovavate taxi e potevate passare un po’ di tempo al riparo dalle intemperie e poi godere dei servizi – i taxi, appunto – della concergie.

 

Diario americano 3

R. P. è un uomo affascinante, dagli occhi scuri e ombrati, come un intellettuale dell’Ottocento romantico. L’incontro avviene nella sede di uno di quei pensatoi che vent’anni di opposizione contro la politica democratica hanno trasformato, negli USA, da centri di pura elaborazione intellettuale in palestre dei policy makers. Neppure Reagan soddisfò quei pensatoi e quei pensatori. Le scelte che fece tanti anni or sono Lindon Johnson (da un lato la great society e dall’altro l’impegno nel Vietnam, che non si trasformò in una vittoria e questo fu ed è il problema da tenersi a mente), hanno creato un humus politico-culturale neonazionalistico e neoimperiale che è tra i fenomeni più interessanti della vita culturale e politica nordamericana.

 

Diario americano 2

Oggi gli alberi del giardino sono coperti da uno strato sottilissimo di brina. Rilucono nelle prime luci dell’alba. Mi sono levato presto dal letto e sono corso a comprare il «New York Times», qui, all’edicola a poche decine di metri dall’entrata del mio building, come si ostina a chiamarlo la segretaria del Remarque, per sottolinearne l’imponenza e per valorizzare quindi lo sforzo che si fa nei miei confronti, a tutto vantaggio del prestigio mio e – a detta sua – del Remarque medesimo.