La scelta del presidente della Commissione europea sulla base del risultato delle elezioni e dell’indicazione da parte dei partiti politici europei dei rispettivi candidati può innescare un circolo virtuoso tra legittimazione democratica delle istituzioni dell’Unione e progressiva costruzione di un vero sistema politico europeo. La concreta possibilità che alla presidenza della Commissione venga eletta, inoltre, sulla base di una piattaforma programmatica ambiziosa, una figura dallo spiccato profilo europeo come Martin Schulz può offrire ai Socialisti e democratici l’opportunità di assumere la guida del rilancio in senso progressista del processo di integrazione.
Le misure introdotte, a partire dal 2010, per tentare di far fronte alla crisi economico-finanziaria dell’UE hanno finito per delineare una sorta di “unione monetaria rafforzata” che presenta importanti limiti politico-istituzionali: una governance economica fatta soprattutto di regole volte a garantire la disciplina di bilancio e un eccessivo peso attribuito ai paesi creditori nell’azione di sostegno finanziario a quelli in difficoltà. Per uscire dalla crisi, l’Unione dovrà dunque superare i limiti di questo modello di governance, dovrà ampliare e rafforzare le proprie competenze in ambito economico, porre rimedio alle debolezze delle sue procedure decisionali e colmare l’assenza di un adeguato livello di legittimazione democratica.
Il recente successo elettorale di Hollande può costituire un punto di svolta per l’intero continente e l’inizio di un percorso per la costruzione di un’Europa diversa, dotata di maggiori strumenti e orientata alla crescita e alla coesione sociale. Si apre una partita delicata, il cui esito sarà decisivo per il destino dell’Unione europea.
Il modo in cui il Partito Comunista Italiano ha vissuto il periodo successivo al crollo del Muro di Berlino costituisce un caso di grande interesse analitico, anche per alcune analogie rintracciabili con quanto avvenuto nei sistemi politici dell’Europa orientale. Un’analisi approfondita mostra tuttavia che una reale comprensione di come il PCI abbia interpretato la svolta del 1989 non sia possibile senza considerare l’originalità dell’esperienza storico-politica italiana.
Il processo di costruzione dell’Ulivo-partito non nasce oggi, ma attraversa da molti anni la politica italiana. Fin dalla sua costituzione nel 1995, l’Ulivo si è configurato come qualcosa di più di una semplice alleanza elettorale tra partiti distinti, mentre la decisione presa alle elezioni europee del 2004 di presentare la lista unitaria in una competizione di tipo proporzionale ha definitivamente connotato l’Ulivo come l’embrione di un nuovo soggetto politico. La riproposizione di quella scelta ha infine sancito il carattere irreversibile di un processo che, con la formazione dei gruppi unitari nei due rami del parlamento, si presenta già in una fase assai avanzata. D’altronde, il crescente appeal elettorale della lista unitaria dimostra in modo inequivocabile due cose.
Se si vuole comprendere il significato delle elezioni del 9 e 10 aprile occorre innanzitutto sgombrare il campo da alcune percezioni ingannevoli che si sono diffuse tra gli analisti e i commentatori all’indomani del voto. Pur senza poter disporre, per esigenze redazionali, del tempo necessario ad un esame approfondito dei dati, è possibile formulare «a caldo» alcune considerazioni. In primo luogo è sbagliato parlare di un’affluenza straordinaria: come ha spiegato l’Istituto Cattaneo, infatti, la maggiore percentuale di votanti registrata dipende dal fatto che quest’anno il numero degli aventi diritto è stato depurato dalla quota di elettori dell’«anagrafe italiana residenti all’estero», aggiungendo i quali si arriverebbe all’81,8% di votanti (invece che all’83,6) e l’aumento sul 2001 si ridurrebbe allo 0,4%. D’altronde alla camera nel 2006 sono stati espressi 38.151.407 voti validi, mentre nel 2001, nella parte maggioritaria, 37.224.608, ma secondo Pisanu quest’anno vi sarebbero stati oltre un milione di voti annullati in meno, probabilmente anche per effetto della maggiore semplicità della scheda e del sistema elettorale. Occorre ricordare infine che nel 1996, alla camera, la percentuale dei votanti è stata dell’83,3%.
Nel dibattito politico italiano è invalsa l’abitudine di ricondurre l’esistenza e la tenuta del bipolarismo a un non meglio precisato «spirito del maggioritario», concepito come una virtuosa disposizione a «piegare» al bene comune gli interessi dei partiti attraverso gli strumenti della legge elettorale uninominale maggioritaria e dell’elezione diretta. In realtà, il carattere bipolare assunto dieci anni fa dal sistema politico italiano ha cause meno aleatorie e volontaristiche e ben più corpose, riconducibili all’impatto della «grande trasformazione» che ha posto fine all’età del fordismo e del lungo dopoguerra: la fine della guerra fredda e i progressi del processo di integrazione europea, la globalizzazione dei mercati, la diffusione dell’economia dell’informazione e il conseguente sviluppo di un nuovo ceto medio del «lavoro dipendente unificato», la crisi dei tradizionali apparati statali di welfare e di regolazione dell’economia.
Questo celebre discorso fu tenuto da Togliatti al teatro municipale di Reggio Emilia il 24 settembre 1946. Come il lettore potrà notare, si tratta di un testo di notevole spessore analitico e teorico, caratterizzato allo stesso tempo da una semplicità di linguaggio che lo rende comprensibile a tutti: il che ne fa un vero e proprio modello di analisi gramsciana e di pedagogia politica. Per comprenderlo appieno, è tuttavia necessario collocarlo nel contesto in cui fu pronunciato, cioè nel vivo di una fase particolarmente delicata e complessa della vita politica italiana.
Un commento al testo celeberrimo, apparso su “Rinascita” il 9 novembre 1979, che fece scalpore, in cui Giorgio Amendola denuncia gli errori e le debolezze della CGIL e del suo partito nei confronti della violenza politica nelle fabbriche e del terrorismo. Con inoltre una severa analisi della sconfitta subita dal PCI negli anni Settanta ricostruendone le matrici politiche e culturali.