Simona Colarizi

Simona Colarizi

insegna Storia contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza”.

Nuove pagine di storia

Nessuna ricostruzione storica ha la pretesa di raccontare una verità; piuttosto allo studioso si chiede di avvalersi di tutta la documentazione disponibile attraverso la quale interpretare gli eventi, analizzati senza omissioni e senza stravolgimenti sui significati delle fonti usate. Naturalmente, lo storico non può privarsi della sua identità culturale e dei valori nei quali crede che come è ovvio influiscono e condizionano la sua narrazione. Tanto è vero che esistono diverse correnti storiografiche, marxiste, cattoliche, liberali e di estrema destra. Per gli storici che studiano la contemporaneità il problema delle appartenenze politiche diventa ancora più condizionante, considerando quanto abbiano pesato nel dibattito intellettuale le grandi ideologie totalizzanti del Novecento nonché le appartenenze ai partiti. Inevitabile dunque che i lavori degli storici si siano prestati e si prestino a un uso politico. Così come di uso politico si parla troppo spesso per quanto riguarda il revisionismo storiografico che, se basato su fonti inedite e su bibliografie aggiornate, è invece una modalità necessaria e virtuosa per trasmettere saperi non sclerotizzati nel tempo.

Il finanziamento pubblico, la partitocrazia, la mistica della società civile

Le inchieste della magistratura nei primi anni Novanta hanno fatto dimenticare le vicende di una stagione giudiziaria analoga, che venti anni prima ebbe un impatto simile sull’opinione pubblica ma non gli stessi effetti distruttivi sui partiti. Le ragioni del differente esito di questi due drammatici momenti della storia del paese vanno ricercati nel contesto internazionale: la fi ne della guerra fredda e la fi rma del Trattato di Maastricht furono infatti elementi determinanti nel consentire la disgregazione di un sistema politico già fragilissimo, ma a cui gli scandali degli anni Novanta hanno dato il colpo di grazia.

La paralisi di un sistema politico

L’avvento di Berlusconi ha costituito una comoda ancora di salvezza tanto per la destra quanto per la sinistra, uscite sconvolte nel loro assetto dal terremoto che ha investito il sistema partitico italiano con Tangentopoli. Tutto ciò è costato all’Italia vent’anni di paralisi del sistema politico, ridotto all’aspra quanto sterile contrapposizione tra schieramenti, senza alcun riguardo per i problemi e gli interessi del paese.

I socialisti e la società italiana

Le difficoltà in cui si dibatte il Partito socialista alla metà degli anni Settanta vanno iscritte nel generale declino del sistema politico italiano che, a quella data, mostra già i primi sintomi di una crisi, destinata ad approfondirsi durante il corso del decennio successivo fino a determinare il crollo della prima Repubblica nel 1992-1994. Di fronte al progressivo allargarsi della forbice società politica-società civile, tutti i partiti sono costretti a interrogarsi sulla propria identità e a tentare nuove strade per rinnovarsi al loro interno, con maggiore o minore successo. Nel PSI, tuttavia, l’opera di rifondazione appare assai più radicale e tempestiva, anche perché la perdita di fiducia del paese nella partitocrazia che lo guida fin dalle origini della Repubblica ha effetti immediatamente visibili sul piano elettorale.