Il G8 e le risposte alla crisi climatica

Di Carlo Carraro Giovedì 02 Luglio 2009 17:46 Stampa

I cambiamenti climatici rendono urgenti e ineludibili misure di riduzione delle emissioni di gas serra sia per  scongiurare i rischi connessi agli impatti ambientali sia per individuare le proposte più efficaci nella prospettiva di una low carbon society.

La maggior parte dei dati disponibili conferma che i cambiamenti climatici in corso sono rilevanti e in gran parte inevitabili. Tutti gli studi recenti1 sugli impatti dei cambiamenti climatici evidenziano come essi, pur caratterizzati da grande eterogeneità tra le varie aree del globo, siano un fenomeno con rilevanti effetti negativi sullo sviluppo economico mondiale, e in particolare su quello dei paesi in via di sviluppo. I cambiamenti climatici non sono quindi tanto un problema ambientale, quanto piuttosto un pericolo per la crescita economica mondiale. Essi hanno poco a che fare con i fenomeni di inquinamento e sono invece un problema simile, seppur su un orizzonte temporale diverso, alla crisi economica esplosa in questi ultimi mesi.

Capire la dimensione temporale, geografica e settoriale dei cambiamenti climatici è fondamentale per disegnare eventuali misure di intervento. Ad esempio, gli impatti dei cambiamenti climatici sono molto diversi da regione a regione e da settore a settore. Non tutti subiranno dei danni dalla variazione del clima, non tutti pagheranno un costo quando verranno applicate delle misure di riduzione dei gas serra (in gergo, “misure di mitigazione”). E non a tutti tali misure porteranno un beneficio. A nessuno nel breve periodo. È evidente quanto questo renda difficile prendere oggi delle decisioni che affrontino il problema in modo efficace.

I benefici netti di breve periodo delle misure di mitigazione sono in generale nulli. È noto infatti che eventuali provvedimenti di riduzione delle emissioni di gas serra potranno avere degli effetti significativi sulla temperatura globale, sulle precipitazioni e sulle altre variabili climatiche solo verso la fine del secolo (oltre il 2060-70).2 Nel frattempo la temperatura salirà di circa due gradi rispetto ai livelli preindustriali, provocando notevoli variazioni nei nostri sistemi di vita, nella localizzazione delle attività produttive e di parte della popolazione (migrazioni), nella produttività di alcuni settori economici, nella vulnerabilità dei sistemi urbani a eventi climatici estremi.

I settori che subiranno gli impatti più rilevanti sono quelli energetico, agricolo-forestale e turistico, tutti settori chiave per il sistema economico italiano. Sono probabili, a partire dalla metà del secolo, rilocalizzazioni delle attività turistiche, soprattutto a causa dell’innalzamento del livello del mare e degli impatti di eventi estremi sulle zone costiere o per lo spostamento delle precipitazioni nevose. Sono anche probabili modifiche delle colture agricole, a causa della riduzione delle risorse idriche nelle zone meridionali, e una maggior variabilità, dovuta all’impatto di eventi estremi, della produzione agricola.

Sarà quindi necessario intervenire per proteggere le zone costiere, sopperire al deficit di risorse idriche e alla ridotta produttività in campo agricolo, prevenire fenomeni migratori insostenibili, migliorare l’efficienza energetica, modificare le tecniche di gestione della terra. Questa conclusione riguarda molte aree ad alta vulnerabilità, spesso caratterizzate da situazioni di sottosviluppo economico. Ecco quindi che gli investimenti per il controllo dei cambiamenti climatici diventano investimenti per favorire lo sviluppo economico di quelle aree. L’adattamento al cambiamento climatico è ormai inevitabile perché inevitabile è l’aumento della temperatura. Ma questa può diventare una grande opportunità per favorire e migliorare lo sviluppo economico di importanti aree del mondo attraverso forme nuove di cooperazione economica.

Nonostante una parte dei cambiamenti climatici sia inevitabile – come detto in precedenza dovremo adattarci a un aumento di due gradi in media della temperatura terrestre – non è possibile prescindere da drastici interventi di riduzione delle emissioni di gas serra, pena aumenti della temperatura media ancora più rilevanti. Provvedimenti di riduzione delle emissioni di gas serra, in continuo aumento e mai così tanto quanto negli ultimi sei anni,3 sono quindi comunque necessari.

Senza drastiche misure di riduzione delle emissioni di gas serra nel breve periodo, la crescita della temperatura dopo la metà del secolo potrebbe essere troppo elevata per risultare compatibile con i sistemi economici, urbani, sociali e ambientali oggi conosciuti. Queste misure di riduzione implicano, ad esempio, la quasi totale decarbonizzazione del settore energetico verso la metà del secolo,4 un forte incremento dell’efficienza energetica nell’edilizia e nei trasporti, lo sviluppo di nuove fonti energetiche a basso contenuto di carbonio, l’arresto della deforestazione nei paesi in via di sviluppo attraverso misure di incentivazione che non penalizzino gli standard di vita delle popolazioni locali.

L’Unione europea ha assunto la leadership dei paesi che intendono promuovere azioni per il contenimento delle emissioni di gas serra. Il pacchetto di misure recentemente approvato nel dicembre 2008 mira a conseguire una serie di primi obiettivi in termini di efficienza energetica (20% di miglioramento) e di sviluppo di energia da fonti rinnovabili (la cui quota dovrebbe salire al 20% dell’energia prodotta), per conseguire una riduzione delle emissioni complessive nel 2020 pari al 20% (rispetto al 1990). A questi obiettivi di breve periodo dovrà essere associato, già nel dicembre 2009 a Copenaghen, un obiettivo di lungo periodo, almeno al 2050, condiviso dai paesi industrializzati e dai principali paesi in via di sviluppo. Senza una riduzione drastica delle emissioni in tali paesi, Cina e India in primis, anche una riduzione a zero delle emissioni nei paesi OCSE, peraltro impossibile, sarebbe insufficiente a contenere la crescita della temperatura media intorno a due gradi rispetto ai valori preindustriali. È necessario quindi identificare un sistema di incentivi e di cooperazioni tecnologiche che permettano forti riduzioni di emissioni nei principali paesi in via di sviluppo.

In attesa che adeguati investimenti in ricerca e sviluppo concorrano a nuove forme di produzione dell’energia, è necessario intensificare il ricorso a fonti rinnovabili esistenti e al nucleare. La fonte rinnovabile che permette la produzione di energia elettrica su larga scala e con basso impatto ambientale è il solare termico localizzato in regioni ad alta esposizione solare, come quelle del Sud del Mediterraneo. È necessaria una rete di interconnessione tra gli impianti di produzione localizzati a Sud e le regioni del Nord, in Europa, come negli Stati Uniti. Nel caso mediterraneo, l’infrastruttura di produzione e interconnessione vede localizzata in modo strategico l’Italia. Ma questa è solo una delle tante opportunità strategiche che offre il problema dei cambiamenti climatici.

Le politiche di riduzione delle emissioni di gas serra e di adattamento ai cambiamenti climatici possono essere realizzate in gran parte attraverso comportamenti virtuosi del settore privato, anziché attraverso politiche pubbliche. Questo può avvenire se i mercati trasmettono i segnali di prezzo appropriati. Perché ciò succeda è necessario che a livello politico, possibilmente a Copenaghen nel dicembre 2009, venga individuato un obiettivo di lungo periodo di riduzione delle emissioni. E siano poi attivati mercati dei permessi delle emissioni in gran parte delle regioni del mondo. Non è necessario un unico mercato e quindi un accordo globale. Sono sufficienti delle regole di collegamento tra i vari mercati (anche solo attraverso un più efficiente CDM, Clean Development Mechanism, il meccanismo che attraverso progetti nei paesi in via di sviluppo permette di conseguire riduzioni delle emissioni al costo più basso).

A partire dalle considerazioni esposte è possibile disegnare un insieme di proposte che il prossimo incontro del G8, nella cui agenda il tema dei cambiamenti climatici avrà un posto di primo piano, potrà prendere in considerazione. Innanzitutto serve un chiaro consenso sull’obiettivo da raggiungere. Se questo fosse la riduzione delle emissioni al 2030 o al 2050, allora si potrebbero identificare delle iniziali misure necessarie, anche se non sufficienti, a raggiungerlo. In primo luogo, si dovrebbero individuare delle modalità di finanziamento dell’adaptation fund (ad esempio destinandovi i proventi dalla messa all’asta dei permessi di emissione collocati nei vari mercati del carbonio che emergeranno su scala mondiale). L’adaptation fund potrebbe essere usato per avviare un sistema di protezione delle zone costiere (sull’esempio di quello olandese), per limitare gli impatti dell’innalzamento del livello del mare su infrastrutture, attività produttive e sistemi urbani, anche procedendo alla pianificazione nel tempo della rilocalizzazione di attività economiche e insediamenti abitativi. Esso inoltre potrebbe essere utilizzato per sviluppare l’innovazione tecnologica in campo agricolo, per la produzione di colture a basso contenuto idrico o irrigabili con acque reflue; per facilitare la riconversione delle produzioni agricole al fine di adattarle progressivamente alle diverse condizioni climatiche; per migliorare l’efficienza dei sistemi di irrigazione. Potrebbe soprattutto aiutare a disegnare nei paesi in via di sviluppo infrastrutture e impianti di produzione climate resistant. E potrebbe incentivare lo sviluppo di misure di prevenzione di quelle malattie che, a causa dei cambiamenti climatici, si diffonderanno in aree in cui ora non sono presenti. In secondo luogo, sarebbe necessario utilizzare l’adaptation fund – ma non come unica misura, perché sarebbe largamente insufficiente – per incentivare i grandi paesi in via di sviluppo ad adottare misure di riduzione delle proprie emissioni di gas serra. Senza il contributo decisivo di India, Cina, Brasile e Sudafrica non è tecnicamente raggiungibile l’obiettivo di limitare l’incremento della temperatura media a poco più di due gradi. Non è più una questione politica o di equità o di competitività economica, è una questione che ha a che fare con lo sviluppo economico mondiale e quindi coinvolge tutti i grandi paesi. Senza un intervento congiunto non è più possibile raggiungere l’obiettivo. Inoltre occorrerebbe introdurre misure di riduzione delle emissioni di gas serra non solo nel settore della produzione di energia elettrica, ma anche negli altri settori, per esempio adottando norme comuni per definire gli standard minimi di efficienza energetica nell’edilizia e nei trasporti (come è stato recentemente fatto negli Stati Uniti).

Le politiche di sostegno finanziario a questi settori, indotte ad esempio dalla crisi economica e finanziaria, potrebbero essere utilizzate, attraverso l’opportuno disegno del sistema di incentivi, per ottenere rapidi progressi in questa direzione; sarebbe necessario utilizzare le risorse oggi destinate a finanziare la cooperazione economica anche per favorire l’adattamento al cambiamento climatico e per ridurre le emissioni di gas serra. È vero che i paesi in via di sviluppo reclamano risorse addizionali e non un ridirezionamento di risorse esistenti. La responsabilità dei paesi sviluppati in relazione al problema del cambiamento climatico richiede risorse addizionali, che possono essere anche generate dall’implementazione di mercati del carbonio collegati a progetti CDM e JI (Joint Implementation). Nondimeno, è un imperativo che risorse pubbliche destinate alla cooperazione e a favorire lo sviluppo vadano comunque utilizzate soltanto per progetti climate friendly, pena (per tutti) una controproducente contraddizione. Occorrerebbe incrementare gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo nel campo delle nuove tec nologie energetiche, fortemente diminuiti nell’ultimo ventennio (a livello globale, il valore degli investimenti dovrebbe quadruplicare, da circa 0,02% del PIL mondiale a circa 0,08%, tornando così ai livelli dei primi anni Ottanta) e, in particolare, collaborare per il finanziamento di progetti di ricerca e innovazione nel campo delle tecnologie per la riduzione delle emissioni di gas serra (nei settori energetico, dei trasporti e forestale-agricolo) e per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Infine sarebbe necessario favorire il collegamento e l’interscambio tra i mercati dei permessi di emissioni che saranno a breve creati negli Stati Uniti, in Australia e in Nuova Zelanda, in Canada e probabilmente in altre regioni del mondo, in modo da fornire un segnale di prezzo globale, omogeneo e di lungo periodo agli investitori in campo energetico. Questo potrà avvenire attraverso un accordo globale tra tutti i paesi del G8 o anche attraverso accordi bilaterali tra i paesi del G8 che hanno adottato l’emission trading. In ogni caso è cruciale una maggior flessibilità ed efficienza del Clean Development Mechanism. Un segnale di prezzo chiaro e univoco su scala mondiale in grado di spostare grandi quantità di risorse, soprattutto nel settore energetico e in quello dei trasporti, verso processi di produzione e prodotti a basso livello di emissioni, rendendo possibile una transizione progressiva verso una low carbon society.


[1] Cfr. U.S. Climate Change Science Program for the U.S. Department of Agriculture, The Effects of Climate Change on Agriculture, Land Resources, Water Resources, and Biodiversity, 2008; Federal Service for Hydrometeorology and Environmental Monitoring in cooperation with the Russian Academy of Sciences, Assessment Report on Climate Change and its Consequences in the Russian Federation, Mosca 2008; OCSE, Climate Change Mitigation. What Do We Do?, 2008; Commissione europea, Towards a comprehensive climate change agreement in Copenhagen, Bru - xelles 2009; IPCC, Fourth Assessment Report. Volume 1 and 2, 2007; N. Stern, Stern Review on the Economics of Climate Change, HM Treasury, Londra 2006; R. Garnaut, The Garnaut Climate Change Review, Australian National University, Canberra 2008.

[2] IPCC, op. cit.

[3] UNFCCC, National greenhouse gas inventory data for the period 1990- 2006, 2008.

[4] V. Bosetti, C. Carraro, E. Massetti, A. Sgobbi, M. Tavoni, Optimal Energy Investment and R&D Strategies to Stabilize Atmospheric Greenhouse Gas Concentrations, in “Resource and Energy Economics”, 31(2)/2009.