L'Indice di capacità d'innovazione: fattori, politiche e istituzioni che stimolano l'innovazione

Di Augusto López-Claros Martedì 16 Marzo 2010 17:48 Stampa
L’Indice di capacità di innovazione (ICI) costituisce un nuovo strumento metodologico utile ad esami­nare i numerosi fattori che, in ogni paese, svolgono una funzione centrale nello stimolo delle capacità d’innovazione. L’ICI è adatto anche per esaminare l’ampia gamma di interventi utili alla creazione di un ambiente che promuova l’innovazione, rappre­sentando così uno strumento prezioso per l’azione politica.

 

«Mai prima nella storia l’innovazione ha promesso tanto a tanti in un così breve tempo»
Bill Gates

 

Introduzione

Richard Cooper sostiene in modo convincente che all’inizio del XXI secolo il cambiamento tecnico e l’innovazione sono diventati le «caratteristiche dominanti» della nostra epoca. «Le nuove idee in campo tecnologico, coniugate all’ordine sociale e a esseri umani istruiti che le producono e le applicano, sono le basi della moderna prosperità economica».1
Le basi tradizionali di potere e d’influenza (territorio, risorse, materie prime, manodopera e forze armate), che sono state per secoli le principali determinanti della prosperità delle nazioni, sono assai meno importanti oggi e hanno lasciato spazio a un nuovo mondo nel quale uno sviluppo positivo è sempre più legato a solide scelte politiche, a un buon governo, alla gestione efficace di risorse finanziarie scarse. Soprattutto, tali basi dipendono dalla misura in cui le società sanno incanalare le potenzialità umane. Oggi i paesi che ottengono risultati positivi sono quelli che hanno saputo sfruttare pienamente le opportunità offerte dagli scambi internazionali, dagli investimenti stranieri, dall’adozione di nuove tecnologie, dalla stabilità macroeconomica e da elevati tassi di risparmio.
L’importanza relativa dei vari fattori di crescita economica e di prosperità ha visto un’evoluzione nel tempo e in numerosi paesi l’innovazione, nelle sue diverse dimensioni, spicca ora come uno dei principali. Qui si darà conto del ruolo dell’innovazione nel favorire lo sviluppo e verrà illustrato l’Indice di capacità di innovazione (Innovation Capacity Index, ICI), un nuovo strumento metodologico per esaminare i fattori, le scelte politiche e le istituzioni che rafforzano l’innovazione, come l’ambiente istituzionale, il patrimonio di capitale umano, l’inclusione sociale, il contesto normativo e giuridico, l’infrastruttura per la ricerca e l’impiego delle tecnologie per l’informazione e la comunicazione. L’ICI offre infatti uno strumento di dialogo politico sulle varie dimensioni dell’innovazione e le sue metodologie offrono indicazioni politiche a ogni singolo paese basate sulla fase specifica di sviluppo e sulle caratteristiche del suo regime politico.

L’innovazione: una breve panoramica storica

L’innovazione scientifica nell’Europa del Medioevo contribuì ad accrescere la produttività della manodopera. Lo storico David Landes ha osservato come l’invenzione degli occhiali abbia reso possibile all’artigiano medievale, il cui lavoro raffinato dipendeva dalla vista, di essere produttivo fino ai sessant’anni. I primi occhiali comparvero a Pisa verso la fine del XIII secolo e già alla metà del XV secolo «almeno i Fiorentini avevano capito che la vista si faceva meno acuta con l’età e producevano lenti convesse per gradi di cinque anni e concave per due, e chi le usava le acquistava in blocco e le sostituiva col tempo».2 Gli occhiali prolungarono la vita produttiva e favorirono l’invenzione di nuovi strumenti di precisione (ad esempio calibri e micrometri), che non sarebbe stata possibile se chi li fabbricava non avesse avuto una vista perfetta.
Landes ci racconta come l’orologio meccanico sia stato la più grande realizzazione dell’ingegno medievale, perché permise di regolare la vita nelle città in forme che incisero in modo sostanziale sulla produttività. In realtà, sostiene lo storico, lo stesso concetto di produttività è un derivato dell’orologio, perché mette in relazione le prestazioni a frazioni uniformi di tempo. È stata l’invenzione dell’orologio meccanico che ha portato a sua volta a una delle intuizioni di Adam Smith così gravida di effetti: la ricchezza e la prosperità dipendono direttamente (per usare le parole stesse di Smith) dalle «forze produttive del lavoro».
La stampa è stata un’invenzione cinese del IX secolo, ma ha avuto un vero sviluppo solo con la sua applicazione in Europa, parecchi secoli dopo. Landes spiega che l’evoluzione dell’editoria a stampa dipendeva dall’iniziativa del governo, ma i mandarini confuciani erano ostili al dissenso e alle idee nuove. In Europa, invece, la domanda di manoscritti esisteva da secoli già prima che Gutenberg stampasse la prima Bibbia nel 1452-55. Così l’introduzione dei caratteri mobili provocò un boom del materiale a stampa. Solo in Italia, prima del 1501, furono stampati più di due milioni di copie. Per altre culture ci volle più tempo per assamilare questa innovazione tecnica. I musulmani trovavano inaccettabile l’idea di un Corano stampato e riservavano l’impiego delle presse a stampa a ebrei e cristiani. Analogamente, mentre gli indiani adottarono la stampa solo all’inizio del XIX secolo, in Europa nemmeno la Chiesa riuscì a impedire l’uso della nuova tecnologia.
Altri fattori storici hanno contribuito ad alimentare le capacità d’innovazione: la Cina come il Medio Oriente islamico offrivano grandi prospettive di avanzamento per le scoperte scientifiche e l’innovazione. Secondo Landes, nel periodo tra il 700 e il 1100 la scienza e la tecnologia nel mondo islamico erano di gran lunga superiori a quelle europee: attraverso i contatti con i musulmani nelle regioni di frontiera come la Spagna, l’Islam fu il maestro dell’Europa.
Dopo il 1100, gradualmente, la scienza islamica subì un arresto, perché il controllo della fede finì nelle mani di fanatici e all’interno della comunità prevalse uno spirito di conformismo e di ubbidienza ai governanti, facilitato dal connubio tra Chiesa e Stato. Non sorprende così che, come scrive Landes, «le fonti naturali dell’inventiva si prosciugarono».
Il caso della Cina è altrettanto interessante. Quando in Europa le indagini scientifiche ancora ristagnavano, le invenzioni cinesi - stampa, carta, bussola, polvere pirica, porcellana, seta, uso del carbone e del coke per fondere il ferro - indicavano la presenza di un grande potenziale tecnologico. Perché la Cina non riuscì a concretizzarlo e per molti dei secoli seguenti finì per essere nettamente superata dall’Europa? I sinologi hanno indicato diverse cause, ad esempio il ruolo preminente dello Stato. Risultarono letali l’assenza di diritti di proprietà ben definiti e di un libero mercato. «Lo Stato cinese ha sempre interferito con la proprietà privata, prendendo il controllo delle attività redditizie, proibendone altre, manipolando i prezzi, pretendendo tangenti, limitando l’arricchimento privato».3 Sotto la dinastia Ming (1368-1644) si fecero tentativi per escludere ogni scambio commerciale con il mondo esterno, provocando in tal modo la proliferazione di attività di contrabbando, la ricerca di sinecure, la corruzione e la violenza.
Secondo il sinologo Etienne Balazs le capacità tecniche della Cina abortirono a causa dell’emergere del controllo totalitario: «L’aggettivo “totalitario” ha un’accezione moderna, ma serve bene a definire lo Stato degli intellettuali-funzionari se lo si intende per indicare che lo Stato ha un controllo completo su tutte le attività, un dominio assoluto a ogni livello (...). Nulla sfugge all’irreggimentazione ufficiale. Il commercio, le miniere, le costruzioni, i riti, la musica, le scuole, in concreto gli erano soggette la vita pubblica nel suo insieme e anche gran parte della vita privata. (Lo Stato) bloccava sistematicamente ogni forma di iniziativa privata (...). È più che probabile che l’ostacolo principale fosse il clima culturale dell’ortodossia confuciana, completamente ostile a ogni forma di tentativo o di esperimento, a qualsiasi tipo di innovazione e al libero uso dell’intelletto. La burocrazia era perfettamente contenta delle tecniche tradizionali. Dato che queste soddisfacevano le sue esigenze pratiche, non c’era niente che stimolasse tentativi di superare il concreto e l’immediato».4
Almeno un autore ha avanzato l’ipotesi secondo la quale un’altra causa deriverebbe dalla segregazione delle donne entro le mura domestiche, limitando così gravemente il loro impiego al di fuori dell’ambito familiare e l’offerta di manodopera in settori ad alto contenuto di lavoro, come quello tessile.
I soggetti potenzialmente innovatori in Europa subivano meno limitazioni del genere. Fatto ancora più importante, in Europa si inaugurava un’epoca di libera iniziativa. Secondo Landes, l’innovazione era all’opera mentre governanti e interessi costituiti avevano poche possibilità di impedirla o scoraggiarla. Il successo alimentava l’imitazione e l’emulazione, favoriva il costituirsi di società scientifiche e di una ricerca scientifica formalizzata e, a suo tempo, di una cultura dell’innovazione e della ricerca che considerava il progresso scientifico e tecnico un potente motore di sviluppo economico e sociale.

Fattori, politiche e istituzioni che favoriscono l’innovazione

Nel corso degli ultimi vent’anni economisti e politici hanno riconsiderato i fattori che creano le condizioni di una crescita sostenibile. Tra questi vi sono il ruolo delle istituzioni, l’istruzione e l’inclusione sociale, la qualità delle pratiche di governo, la gestione macroeconomica, l’amministrazione pubblica, la presenza di opportunità economiche e la crescente importanza della tecnologia e dell’innovazione nel favorire l’efficienza del processo di sviluppo.
Un fattore importante che spiega la crescente prosperità e l’efficienza economica è l’agilità con la quale un’economia adotta le tecnologie esistenti per far crescere la produttività industriale. Man mano che i paesi miglioravano il contesto istituzionale e quello macroeconomico, l’attenzione si era rivolta ad altri fattori della produttività, con al primo posto la tecnologia e l’innovazione. Così il risultato economico non fu più visto solo come funzione di capitale e lavoro, ma sempre più dell’acquisizione di nuovo sapere.
Perché si tratta di aspetti importanti? Perché le differenze tecnologiche spiegano molto in merito alle variazioni di produttività tra un paese e l’altro. Infatti, l’importanza relativa dell’adozione di tecnologie e dell’innovazione per aumentare la produttività è cresciuta negli ultimi anni, come lo sono il progresso nella diffusione del sapere e il ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il forte aumento della produttività negli Stati Uniti dal 1995, ad esempio, era legata alle migliori prestazioni in settori che utilizzavano le tecnologie più recenti per trasformare alcuni elementi chiave delle proprie attività, in particolare quelle relative al commercio all’ingrosso e al dettaglio, e ai servizi finanziari. I produttori di tecnologie avanzate, come Microsoft – forti investitori nella ricerca e sviluppo – permettono a quei settori dell’economia che utilizzano le più moderne tecnologie dell’informazione di migliorare le proprie prestazioni e sostenere la crescita della produttività nel suo complesso.
Questo ci porta a formulare alcuni interrogativi centrali: quali sono i fattori, le politiche e le istituzioni che favoriscono la creazione di un ambiente economico e sociale che esalti le capacità di innovazione? Qual è la loro importanza relativa? Come interagiscono tra loro? Quanto sono riusciti i vari paesi a identificarli e ad adottarli?

L’Indice di capacità d’innovazione

L’analisi condotta ha implicato la considerazione di due distinte componenti: la valutazione complessiva e l’individuazione dei fattori specifici che sostengono la capacità d’innovazione, da un lato; la considerazione della fase di sviluppo del singolo paese analizzato – indicata dal reddito pro capite – nonché la relazione tra il carattere del suo regime politico e la capacità di innovazione dall’altro. Entrambe hanno portato all’elaborazione di uno strumento metodologico che permetta ai politici di seguire il progresso delle capacità d’innovazione di un paese sia in relazione ad altri Stati sia rispetto alla propria storia. Ne è nata l’edizione 2009 dell’Innovation Capacity Index (ICI), che riguarda 131 paesi. In base al metodo suggerito, su una base specifica per paese − i campi prioritari che rafforzano le capacità d’innovazione − la struttura dell’ICI risponde alle domande precedentemente espresse: esso , individua più di sessanta fattori incidenti sulle capacità d’incoraggiare l’innovazione da parte di un paese e indica come tali fattori dipendano da una data fase di sviluppo e dal sistema politico in atto nel singolo paese.
L’ICI è un tentativo di estendere e utilizzare in modo approfondito il lavoro svolto da altri; la struttura sottesa all’Indice stesso diventa uno strumento nuovo e di vasta portata applicativa, per diversi motivi.
In primo luogo, l’ICI fa un uso prevalente di indicatori di tipo quantitativo. Il 90% delle variabili utilizzate per la costruzione dell’Indice sono infatti di tipo numerico, e misurano direttamente alcuni fattori sottesi (ad esempio il deficit di bilancio, la spesa per l’istruzione, normative ingombranti ecc.) che pertanto non sono interessati da una lettura soggettiva come quella implicata da alcuni strumenti di rilevazione, legati a una analisi che comporta anche la considerazione di aspetti percettivi del business.
In secondo luogo, l’ICI fa ricorso esplicitamente a un quadro teorico caratterizzato da “fasi di sviluppo”: la struttura dell’Indice si basa sulla considerazione che, mentre i fattori che influenzano le capacità d’innovazione sono molteplici, la loro importanza relativa varia a seconda dello stadio di sviluppo e del regime politico del paese analizzato. Gli stadi di sviluppo considerati coincidono con quelli indicati nell’opera di Michael Porter,5 che suddivide i paesi e i loro rispettivi settori in tre ampie categorie: factor-driven, investment-driven e innovation-driven. Tali categorie, a loro volta, sono strettamente correlate alla crescita della prosperità economica, indicata dall’aumento del reddito pro capite.
Infine, l’ultimo fattore considerato per l’analisi dell’innovazione è il carattere del regime politico di un paese: le precedenti considerazioni teoriche (e pratiche) hanno avuto un diretto rapporto con la scelta delle ponderazioni dei diversi fattori utilizzati per costruire l’Indice di capacità d’innovazione. Oltre a fare in modo che un contesto formale di stadi di sviluppo determinasse gli elementi chiave della struttura dell’Indice, è stato anche stabilito un criterio distintivo per i vari Stati, riferito al tipo di regime sotto il quale si attuano le varie politiche. A tal fine si è fatto ricorso alle quattro categorie elaborate dal Democracy Index del “The Economist”: democrazie complete, democrazie incomplete, regimi ibridi e regimi autoritari. Un vasto numero di prove empiriche fanno ritenere che i sistemi democratici creino in misura maggiore le condizioni atte ad alimentare la creatività e l’indipendenza di pensiero, così essenziali per l’innovazione. Per questo si dà importanza al carattere del regime politico di un paese, non limitandosi a osservare solo il livello del reddito pro capite per rappresentare lo stadio di sviluppo.

Struttura e formulazione dell’Indice

Considerato che il numero di variabili riferite alle capacità d’innovazione di un paese può essere alto, si è cercato di costruire l’Indice trovando un equilibrio tra la necessità, da un lato, di tenere in conto un’ampia serie di fattori che influenzano le capacità d’innovazione e, dall’altro, un certo grado di economia delle scelte. Una volta individuati i fattori, per prima cosa essi sono stati organizzati raggruppando variabili analoghe (ad esempio quelle relative al patrimonio di capitale umano posseduto da un paese) in una categoria. Per l’indice sono state individuate le seguenti categorie (si veda la Figura 1): ambiente istituzionale; capitale umano, formazione e inclusione sociale; quadro normativo e giuridico; ricerca e sviluppo; adozione e impiego di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Augusto_Lopez-Claros_Figura1


Ponderazione

Considerando quale peso dare alle cinque colonne dell’Indice per i 131 paesi, si è partiti dalle riflessioni teoriche di Rostow (1960) e Porter (1990),6 i quali ipotizzano che la relativa importanza dei fattori che incidono sull’innovazione sia una funzione dello stadio di sviluppo di un paese. Gli Stati nelle fasi iniziali dello sviluppo (le cosiddette “società tradizionali”), con istituzioni e capitale umano relativamente poco sviluppati e che limitano il livello di prodotto pro capite ottenibile, dovranno conferire la priorità a quelle aree che rappresentano i prerequisiti essenziali per passare allo stadio successivo. Così un paese subsahariano a basso reddito, prima di diventare innovatore, dovrà porre l’accento sulle riforme e lo sviluppo di una infrastruttura istituzionale e del capitale umano. Un paese innovatore come la Svezia dovrà migliorare i fattori che sostengono e promuovono le capacità di innovazione già acquisite, ad esempio una formazione direttamente rivolta all’industria, la creazione di nuove imprese, il miglioramento dell’ambiente normativo. In altri termini, le colonne che più direttamente riguardano gli individui, le istituzioni e le reti sociali (colonne 1 e 2) sono alla base di quelle che hanno a che fare con i mezzi e altri fattori abilitanti (colonne 3, 4, e 5). L’innovazione è la frontiera estrema, a condizioni che siano assicurate le basi della governance e le risorse umane.

 

Classifica 2009-10 dell’Indice di capacità d’innovazione

La Tabella 1 presenta la classifica di quest’anno per i 131 paesi selezionati.

 

Augusto_Lopez-Claros_Tabella1

 

Di seguito, verrà illustrato come l’ICI può essere applicato per esaminare a fondo le capacità d’innovazione di cinque paesi: Svezia, Cile, India, Russia e Taiwan, ognuno dei quali è interessante per diverse ragioni.
La Svezia è in cima alla classifica per il 2009-10 e rappresenta un notevole punto di riferimento per la valutazione dei risultati degli altri paesi. La Svezia è un ricco Stato industriale presente nell’economia globale, ed è dotato di un approccio all’innovazione particolarmente rilevante non solo per gli altri paesi industrializzati, ma anche per molte nazioni a medio reddito che aspirano a distinguersi nell’innovazione. Colpisce la capacità della Svezia di coniugare l’apertura e la trasparenza di governo con una tutela sociale per tutti, elevati livelli di competitività e di produttività e un eccellente contesto di iniziative politiche. Questo equilibrio di fattori ha fatto sì che il settore privato diventasse il principale motore dell’innovazione.
Il Cile non è solo al primo posto tra i paesi dell’America Latina, ma supera di 20 posizioni il secondo paese dell’area, l’Uruguay. Come mai il Cile ha raggiunto un risultato migliore della media della UE? Esso dimostra come solide scelte politiche e buone istituzioni non siano tanto il risultato del benessere e della prosperità quanto i motori che le creano. Una miscela di sana gestione macroeconomica (che vanta probabilmente una delle più virtuose politiche fiscali al mondo), riforme istituzionali, apertura dell’economia ai vantaggi del libero scambio, investimenti dall’estero, concorrenza internazionale, ha prodotto un meccanismo affidabile di crescita elevata e di riduzione della povertà. Ma le autorità cilene hanno anche migliorato l’efficienza dei servizi pubblici grazie a piattaforme elettroniche e hanno favorito in genere il ricorso alle tecnologie informatiche, in maniera tale da portare il paese al livello dei membri più ricchi dell’Unione europea.
Negli ultimi vent’anni l’India è diventata la quarta economia mondiale e ha le potenzialità per collocarsi tra i primi paesi innovatori. Nonostante la lunga tradizione politica di democrazia e di governo legale e una situazione demografica favorevole con un numero crescente di cittadini in età di lavoro − che, con una formazione adeguata, potrebbero stimolare l’aumento della produttività e la crescita − l’India dovrà fare di più per affrontare importanti ritardi nel campo dell’istruzione e nell’accumulazione di capitale umano, l’alto tasso di analfabetismo, un’infrastruttura inadeguata, un inconcepibile peso burocratico, un bilancio di spesa non riformato, un drammatico deficit fiscale che ha comportato un livello malsano di indebitamento delle finanze pubbliche: tutti aspetti che scoraggiano l’imprenditorialità e l’innovazione. In questa situazione, dunque, si apre uno spazio enorme per l’applicazione di politiche migliori, comprese le riforme istituzionali che potrebbero portare l’India a occupare posizioni migliori nella classifica.
Se la Russia possiede uno straordinario patrimonio di capitale umano − che nel periodo sovietico le ha permesso di ottenere risultati importanti nell’esplorazione spaziale, nello sviluppo del nucleare e nelle scienze di base − oggi opera molto al di sotto delle proprie potenzialità, limitandosi ad acquisire tecnologie avanzate dall’estero senza produrre innovazioni al proprio interno. La transizione da una pianificazione centrale inefficiente a un’economia di mercato non è stata facile e il paese ha perso energia a causa del boom dei prodotti di base che ne ha aumentato la dipendenza economica dall’esportazione di prodotti energetici e di materie prime. Il difficile ambiente economico russo non è in grado di stimolare l’imprenditorialità e l’incubazione di nuove idee e di approcci a nuovi prodotti o a processi creativi. La corruzione ha dimensioni spesso pari a quelle di paesi a basso reddito, e magistratura e tribunali non godono dell’indipendenza che potrebbe favorire investimenti fuori dal campo energetico. Il graduale ritorno a un governo più autoritario non è di buon auspicio per le capacità d’innovazione creativa.
Taiwan si è trasformata in uno dei principali attori nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e vale la pena di analizzare gli elementi alla base del suo successo per il loro rilievo internazionale. Questo paese rappresenta un esempio stupefacente di crescita elevata, sostenuta da politiche eccellenti nel secondo dopoguerra, con un aumento del reddito pro capite da meno di 200 dollari nel 1952 a 17.000 nel 2007. Sull’isola si è realizzato molto di ciò che altrove si è rivelato fondamentale per la crescita e, nello stesso tempo, sono stati evitati gli errori che hanno inciso negativamente sullo sviluppo di molti altri paesi. In meno di cinquant’anni Taiwan si è trasformata da semplice società agricola a paese leader nella produzione di apparecchi informatici, con una infrastruttura di sostegno costituita da parchi scientifici, istituti di ricerca misti pubblici e privati, centri di esperti e consulenti. La sfida che il paese ha ora davanti è quella di trovare metodi creativi di collaborazione con il suo “vicino” che pratica costi più bassi, la Cina − una potenza tecnologica considerata a buon diritto emergente − e di avvicinarsi di più alle prime posizioni  della classifica ICI.

Conclusioni

L’Indice di capacità d’innovazione illustrato in questo contributo mette in relazione un’ampia gamma di fattori economici di rilievo con le politiche e le caratteristiche istituzionali che svolgono una funzione centrale nello stimolo delle capacità d’innovazione di un paese. Come fanno i paesi a trasformare il sapere in valore, in modo che ne derivino nuovi prodotti e servizi, processi e sistemi? Quali sono i campi di intervento politico prioritari che garantiscono attenzione se i paesi vogliono partecipare positivamente a un’economia globale sempre più complessa e con un livello crescente della ricerca? Quanto dipendono queste priorità dallo stadio di sviluppo di un paese, dalla qualità delle sue istituzioni, dal patrimonio di capitale umano e dal carattere del regime in cui si inquadrano le scelte politiche? Costruendo il contesto teorico dell’ICI, si è stabilito uno stretto legame tra lo stadio di sviluppo del paese e l’importanza relativa dei numerosi fattori che favoriscono le capacità d’innovazione. Ma risulta pacifica la tesi, fondata sull’osservazione empirica, secondo la quale le democrazie sono meglio dei regimi autoritari nell’incoraggiamento di un ambiente favorevole all’innovazione.
L’Indice di capacità d’innovazione è inteso come uno strumento che serve a esaminare l’ampia gamma di interventi politici e di istituzioni necessarie alla creazione di un ambiente che promuova l’innovazione. I metodi elaborati permettono di individuare i fattori specifici di ogni paese che richiedono un’attenzione prioritaria.
L’Indice sarà soggetto a stime annuali e i risultati saranno pubblicati e analizzati in successivi Report. Si prevede che in futuro esso offrirà anche una visione storica delle prestazioni dei singoli paesi e un’analisi approfondita delle capacità d’innovazione in un numero sempre maggiore di Stati. Individuando i punti di forza e quelli deboli dei singoli paesi, l’Indice è anche destinato a stimolare il dialogo politico. E il ricco patrimonio di dati utilizzati per calcolare le posizioni in classifica dovrebbe anche fornire ampie opportunità di confronto internazionale di alto livello tra migliori pratiche, una componente essenziale per la migliore formulazione delle linee politiche.
Anche se questa prima edizione dell’Indice ha analizzato nel dettaglio le questioni di metodo, si prevede che in futuro si metterà più l’accento sull’analisi dei tempi dell’innovazione che emergeranno nei paesi trattati.
Si spera che il quadro offerto dal Report7 per l’esame dei fattori delle politiche e delle istituzioni che sostengono l’innovazione si dimostri utile all’analisi e al dialogo politico negli anni a venire: chi scrive prevede che tali questioni occuperanno il centro della scena nel dibattito sui modi per salvaguardare al meglio la prosperità umana.

 


Note

[1] R. Cooper, A Glimpse of 2020, in The Global Competitiveness Report 2004–2005, pp. 149-58, Palgrave Macmillan, Hampshire 2004, p. 151.

[2] D. Landes, The Wealth and Poverty of Nation, Little, Brown and Company, Londra 1998, p. 47.

[3] Ivi, p. 56.

[4] E. Balazs, Chinese Civilization and Bureaucracy: Variations on a Theme, Yale University Press, New Haven-Londra 1964, pp. 13-27.

[5] M. Porter, The Competitive Advantage of Nations, The Free Press, New York 1990.

[6] W. W. Rostow, The Stages of Economic Growth, Cambridge University Press, Cambridge MA 1960; Porter, op. cit.

[7] Sul sito www.innovationfordevelopmentreport.org sono disponibili per i lettori estratti e brevi profili biografici di coloro che hanno contribuito al Report di quest’anno redigendo diversi articoli.