Alessandro Rosina

Alessandro Rosina

insegna Demografia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.


L’infeconda insicurezza dei giovani italiani

È bassa la fecondità italiana? Ci sono quattro motivi per rispondere affermativamente. In primo luogo perché è posizionata sotto i due figli per donna. Sotto tale soglia la popolazione non è più in grado di crescere in modo endogeno: ogni nuova generazione parte da un contingente alla nascita più basso rispetto a quella precedente. In secondo luogo perché si trova sotto i livelli medi del continente con più bassa fecondità al mondo, ovvero l’Europa (il numero medio di figli per donna dell’Unione europea è attorno a 1,6, quello italiano attorno a 1,3). Il terzo motivo è dovuto al fatto che il numero di figli che le donne italiane mediamente hanno è sensibilmente inferiore al numero desiderato (pari circa a due).

Riattivare i giovani per rimettere in moto l’Italia

L’Italia povera di giovani si trova anche con giovani sempre più poveri. Non bastano politiche standard di attivazione, che sono già state messe in campo dagli ultimi governi, per contrastare il fenomeno. Servono altre policy in grado di far sentire il giovane responsabilmente inserito in un percorso di miglioramento della propria condizione. L’obiettivo è quello di (ri)convertire il giovane da spettatore passivo di un presente senza prospettive a soggetto attivo nel progettare la propria vita: in grado di trovare il proprio posto nel mondo, prima ancora che un posto di lavoro.

Riattivare i NEET: da vittime della crisi a protagonisti della crescita

L’Italia sta perdendo i suoi giovani, quelli che, con un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, si formano meno, lavorano meno, guadagnano meno e fanno meno carriera, vivono meno esperienze di autonomia e hanno meno figli rispetto ai coetanei degli altri paesi avanzati. Tra questi, i NEET, persi nel nebuloso percorso tra l’uscita dalla scuola e l’ingresso nel mercato del lavoro, sperimentano le condizioni peggiori e vivono l’angoscioso paradosso di vedersi trasformati da potenziale risorsa per la crescita in costo sociale. Alcune misure, come il programma Garanzia giovani, sono già state messe in campo per contrastare il fenomeno. Ma non bastano. Occorre fare di più e decidere se in Italia le nuove generazioni sono le principali vittime di un paese rassegnato al declino o se vogliamo che siano le risorse principali di un paese che vuole tornare a crescere e a essere competitivo.

Immigrazione: fenomeno inevitabile, sfida da vincere

I movimenti migratori sono sempre stati uno dei principali fattori di sviluppo economico e sociale del pianeta. Ma oggi il continuo flusso di immigrati dal Mediterraneo verso l’Italia e l’Europa non solo è inevitabile, ma è anche in buona misura necessario. Nei prossimi anni, infatti, la crisi demografica in atto nel Vecchio continente rischia di compromettere la sostenibilità del sistema sociale e di impoverire la sua capacità di produrre ricchezza per la crescita. Già oggi in Italia senza immigrazione avremmo un crollo dell’economia, con un collasso in alcuni settori dove la presenza straniera è diventata insostituibile. Per ottenere una crescita sostenibile e inclusiva, quindi, serve una combinazione di politiche a favore della natalità, di immigrazione integrabile e di invecchiamento attivo.

L'implosione demografica del Sud

Il Mezzogiorno ha tradizionalmente rappresentato una riserva demografica per l’Italia e, nei decenni passati, la fecondità, pur declinando, è rimasta al di sopra della media nazionale. A partire dal 1995 tale tendenza ha cominciato a invertirsi, fino al sorpasso avvenuto nel 2006, quando per la prima volta la fecondità al Nord ha superato quella al Sud. Le dinamiche che nel Mezzogiorno hanno condotto a questo rovesciamento vanno dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro alle difficoltà dei giovani a trovare impiego e, di conseguenza, a metter su famiglia, alla necessità sempre più frequente di cercare fortuna all’estero. Bassa natalità e forte mobilità delle nuove generazioni sono alla base del fenomeno del degiovanimento, che rischia di avvitare il Meridione in una spirale senza ritorno. Per invertire la rotta prima che sia tardi, è necessario promuovere un modello sociale che rimetta al centro le persone.

"Anziano a chi?". Le nuove età della vita

Da un secolo e mezzo circa a questa parte l’aspettativa di vita delle nuove generazioni è superiore di alcuni anni rispetto a quella dei genitori, tanto che oltre la metà di quanti nascono oggi raggiungerà la soglia dei 100 anni. Le stagioni che hanno subito una maggiore dilatazione sono quelle della giovinezza e, più recentemente, dell’anzianità, che viene ormai suddivisa dai demografi in tre fasi. Quella dei 60 anni diventa così la parte della vita potenzialmente più soddisfacente. Occorre allora attrezzarsi per godere delle opportunità che essa offre e minimizzarne i rischi e, soprattutto, mantenersi attivi il più a lungo possibile.

Il futuro dei giovani: diritto oltre alla crisi e poi svoltare a sinistra

Oggi più che mai l’Italia deve puntare sulle nuove generazioni, vera risorsa strategica per la crescita. Nessun cambiamento è realizzabile senza il loro contributo, e del resto le cronache recenti ne testimoniano il ritrovato desiderio di partecipazione. Il paese ha bisogno di politiche coraggiose e obiettivi misurabili, perché le radici del futuro stanno nel presente.

 

Il futuro dei giovani: diritto oltre la crisi e poi svoltare a sinistra

Oggi più che mai l’Italia deve puntare sulle nuove generazioni, vera risorsa strategica per la crescita. Nessun cambiamento è realizzabile senza il loro contributo, e del resto le cronache recenti ne testimoniano il ritrovato desiderio di partecipazione. Il paese ha bisogno di politiche coraggiose e obiettivi misurabili, perché le radici del futuro stanno nel presente.

Giovani per forza

Le difficoltà che le nuove generazioni incontrano nell’iniziare un percorso di vita indipendente sono evidenti; tuttavia la mancanza di indagini capillari e rigorose al riguardo rende difficile capire le cause di questo disagio e intervenire su di esso. Di fronte all’assenza di politiche che concilino formazione e occupazione diventa arduo trovare l’occasione per superare il familismo tipico della società italiana. Ma allora è giusto parlare di mammoni e bamboccioni?

Da Sud a Nord: giovani laureati offresi

Il Mezzogiorno continua ad essere una delle aree più depresse d’Europa. Non solo non si intravedono segnali di convergenza con le aree più sviluppate, ma negli ultimi anni la situazione è addirittura peggiorata. Ad aggravarla si aggiunge l’incapacità del sistema economico di valorizzare il capitale umano, elemento che deprime la crescita e spinge sempre più giovani a cercare migliori prospettive lontano dal luogo di origine.