La Polonia e la nuova Europa

Di Leszek Miller Lunedì 02 Settembre 2002 02:00 Stampa

Quando un anno fa, nel settembre del 2001, la sinistra polacca vinse nuovamente le elezioni legislative sembrò inverarsi quella regola non scritta per la quale se in Europa occidentale il pendolo della politica si sposta verso destra in Europa centrorientale succede esattamente il contrario. Oggi, in ogni caso, è possibile tentare una prima valutazione del modo in cui il nostro programma è in corso di realizzazione. Al di là dell’ovvia constatazione secondo cui è molto più facile costruire un programma elettorale che non metterlo in pratica, la verità è che sul nostro cammino sia di politica interna che estera abbiamo incontrato difficoltà del tutto impreviste. Dal governo di destra che ci ha preceduto abbiamo ereditato una Polonia in condizioni ben peggiori di quanto ci attendessimo: calava ciò che doveva crescere e cresceva ciò che doveva calare.

Quando un anno fa, nel settembre del 2001, la sinistra polacca vinse nuovamente le elezioni legislative sembrò inverarsi quella regola non scritta per la quale se in Europa occidentale il pendolo della politica si sposta verso destra in Europa centrorientale succede esattamente il contrario. Oggi, in ogni caso, è possibile tentare una prima valutazione del modo in cui il nostro programma è in corso di realizzazione.

Al di là dell’ovvia constatazione secondo cui è molto più facile costruire un programma elettorale che non metterlo in pratica, la verità è che sul nostro cammino sia di politica interna che estera abbiamo incontrato difficoltà del tutto impreviste. Dal governo di destra che ci ha preceduto abbiamo ereditato una Polonia in condizioni ben peggiori di quanto ci attendessimo: calava ciò che doveva crescere e cresceva ciò che doveva calare. Se con l’ultimo governo di sinistra la crescita del PIL aveva raggiunto il 7% annuo, al momento della nostra nuova assunzione di responsabilità il suo valore era solo dell’1%. Erano radicalmente scesi i valori della produzione, dei consumi e delle merci esportate, mentre la disoccupazione aveva raggiunto quasi il 18% della forza lavoro. E mentre mettevamo in moto un piano di difesa delle finanze pubbliche e di lotta alla disoccupazione, ci siamo resi conto che la società polacca si attendeva da noi successi quasi miracolosi. Una aspettativa che si intrecciava con la diffusione di sentimenti tutt’altro che incoraggianti, perché segnati dalla sfiducia e della disillusione, nei confronti della politica e delle istituzioni democratiche. E tuttavia sono convinto che le difficoltà economiche della Polonia, almeno per una buona parte, siano una diretta conseguenza della sfavorevole congiuntura internazionale. Risentiamo in particolare del ciclo negativo che sta interessando i paesi dell’Unione europea: basti pensare che circa il 40% delle nostre esportazioni è diretta verso la Germania, le cui difficoltà non possono che riflettersi direttamente sulla salute della nostra economia.

Sullo sfondo di queste difficoltà, l’obiettivo fondamentale della nostra politica interna ed estera rimane l’ingresso della Polonia nell’Unione europea. Anche su questo fronte non sono mancate le eredità negative ricevute dagli anni del governo conservatore, quando la soluzione dei punti più complessi del percorso di adesione era metodicamente rimandata ad un futuro indefinito. In quella fase divenne assai concreto il rischio che la Polonia fosse esclusa dal primo gruppo di paesi candidati: e se questo rischio si fosse inverato, le responsabilità non sarebbero state che del nostro paese. Ad un anno dall’avvio del nostro governo, pur non essendovi stato alcun miracolo ma solo una metodica successione di atti rigorosi e coerenti da parte della nostra amministrazione e dei negoziatori polacchi, la situazione è nettamente migliorata. E oggi, francamente, se l’adesione della Polonia subisse ritardi seri la responsabilità non potrebbe che essere dell’Unione europea. Le trattative con l’Unione sono dure, ma noi manteniamo un atteggiamento di sano realismo. Perché ognuna delle due parti tende, in modo del tutto comprensibile, a difendere i propri interessi e in questo quadro noi siamo riusciti a creare un’atmosfera di reciproca comprensione e di ricerca di compromessi di volta in volta chiari e ragionevoli. Anche per questo motivo durante quest’anno siamo riusciti a chiudere ben 26 capitoli di negoziazione. La nostra convinzione ci porta a ritenere che, entro il 2004, la Polonia sarà pienamente pronta a cogliere l’appuntamento storico dell’ingresso nell’Unione europea.

Nello stesso tempo siamo consapevoli della necessità che la stessa Unione europea si prepari a quell’appuntamento, innovando i meccanismi di decisione comunitaria in modo da renderli adeguati alla sua nuova e futura dimensione geografica. Guardiamo con grande interesse ai processi che stanno trasformando l’Unione in quella che, come noi auspichiamo, sarà una nuova federazione di Stati-nazione. E per questo partecipiamo attivamente, per quanto attiene al nostro ruolo, ai lavori della Convenzione europea: apprezzando lo sforzo e la responsabilità dei suoi membri e riconoscendo le difficoltà che essi devono superare per il raggiungimento di un obiettivo di grande valore per tutti noi: la definizione di un nuovo modello di Europa, nel quale ciò che è comune si integri con quanto costituisce fonte di feconda diversità culturale. Non sarebbe affatto corretto, dunque, se nel corso del processo di adesione alcuni cercassero di utilizzare la sleale tattica della dilazione per ritardare l’allargamento dell’Unione. Anche perché nel nostro paese, così come in altri paesi dell’Europa centrorientale, stiamo lavorando duramente per evitare il rischio che una parte della società si rappresenti l’ingresso nell’Unione come una sorta di cancellazione della Polonia dalle carte europee o come la diluizione dello spirito polacco in un indistinto cosmopolitismo europeo. Nel 2003 i nostri concittadini d ovranno formalmente pronunciarsi, attraverso un referendum, sull’adesione all’Unione. Attualmente i sondaggi ci dicono che il 70% dei polacchi è orientata favorevolmente: un dato confortante, che conferma le analisi che individuano le sacche di opposizione all’adesione tra le forze conservatrici, nazional-cattoliche e populistiche. E tuttavia il nostro impegno politico è rivolto anche verso questi soggetti, nel tentativo di informare e chiarire il vero significato dell’adesione. Ma soprattutto uno è il messaggio fondamentale che cerchiamo di dare: nella sua storia la Polonia ha sprecato molte occasioni uniche; non possiamo permetterci di perdere anche questa.

Per i polacchi l’adesione all’Unione europea, così come in passato quella alla NATO e all’OCSE, non costituirà solo una tappa nel processo di modernizzazione del paese ma anche un atto di profonda giustizia storica. Con il quale si chiuderà finalmente quel periodo che ha visto i nostri rapporti internazionali regolati dalle norme stabilite a Yalta e Potsdam: quelle stesse norme che impedirono alla Polonia – uno dei paesi maggiormente devastati dalla seconda guerra mondiale – di partecipare al Piano Marshall. La Polonia non può continuare oltre a pagare un prezzo ingiusto per eventi che essa ha subito in un tempo lontano: per questo l’Unione europea è necessaria alla Polonia, così come la Polonia è necessaria all’Unione europea. Una delle conseguenze dell’adesione della Polonia sarà la trasformazione delle nostre frontiere, per un tratto di 1150 km, nelle frontiere orientali dell’Unione europea. Ciò che temiamo di più è questo confine si trasformi in una nuova «cortina di ferro»: il nostro auspicio, al contrario, è che il nostro ingresso nell’Unione ci assicuri una migliore possibilità di collaborazione con i nostri vicini orientali. Anche per questo siamo fermamente convinti della possibilità di trovare insieme all’Unione una formula capace di risolvere in maniera ottimale la questione dell’enclave di Kaliningrad, porzione di territorio russo stretto tra il nostro paese e i paesi baltici.

Una riflessione a parte merita la questione dei rapporti tra la sinistra polacca e la sinistra europea. La premessa – forse scontata – è che il ruolo svolto dalla sinistra europea nel promuovere i processi di integrazione sovranazionale è stato sempre fondamentale, in particolare per quanto riguarda il percorso comunitario: in questo i meriti acquisiti dalle socialdemocrazie continentali e in particolare dal Partito del socialismo europeo sono assolutamente incontestabili. Detto questo, tendo a pensare che in questi ultimi anni i governi europei guidati dal centrosinistra avrebbero potuto fare qualcosa di più per quanto riguarda il processo di allargamento dell’Unione. In questo senso alcune possibilità sono state utilizzate solo in modo parziale, come è apparso in modo particolarmente evidente ai partiti socialdemocratici rinati dopo la fine della guerra fredda in Europa centrorientale, sul fertile terreno politico-culturale lasciato dalle storiche tradizioni riformiste di queste aree. Il Partito Socialdemocratico polacco è tra queste nuove forze, ed è particolarmente attento a coltivare i vincoli politici che lo legano sia alla famiglia socialdemocratica europea che al più ampio ambiente dell’Internazionale socialista. Il nostro impegno, all’interno di queste istituzioni, è diretto a rendere sempre più vitale lo scambio di riflessioni e di concezioni innovative. Anche allo scopo di renderci più efficaci nell’affrontare i compiti storici che attendono il riformismo europeo, e che possono essere raggruppati in due grandi aree: completare il processo di costruzione della nuova Europa, portando a compimento il percorso di allargamento dell’Unione e riuscendo ad umanizzare integralmente il nostro modello di sviluppo continentale; dare all’Europa il posto che le spetta nel contesto transatlantico, eurasiatico e più generalmente globale, risolvendo stabilmente le tensioni con gli Stati Uniti e utilizzando tutto il potenziale delle nostre relazioni con i paesi asiatici.

In entrambe queste direzioni abbiamo grandi possibilità ma ci troviamo di fronte a grandi pericoli. Tra questi non posso evitare di riferirmi alla crescita dei movimenti xenofobi e nazionalpopulistici, presenti massicciamente anche in Polonia. In questo senso il rischio di una tragica ripetizione della storia del Novecento, con l’esplosione di regimi antidemocratici e dittatoriali, non deve essere sottovalutato. E deve spingerci a cercare le soluzioni ottimali per gestire le ansie e le paure che si diffondono tra le nostre società di fronte agli scenari globali. Questa ricerca è tanto più urgente perché la stessa socialdemocrazia si trova in un delicato momento di passaggio, nel quale l’intreccio tra il perseguimento della giustizia sociale e la definizione di nuovi standard di efficacia economica costituisce la sfida più difficile che abbiamo dovuto affrontare da circa mezzo secolo. Nel nostro paese, così come in altri paesi dell’Europa centrorientale, questa sfida è resa più complessa dalla sua sovrapposizione con i processi di transizione. Questi processi si stanno prolungando oltre il previsto, e questo rischia di generare inquietanti fenomeni di frustrazione in società che nutrivano enormi speranze nei confronti del mutamento. Una situazione che non può che preoccuparci, perché quei fenomeni di frustrazione spesso sono malevolmente sfruttati da forze politiche – in particolare a vocazione nazionalpopulista – che si oppongono non solo a noi ma all’insieme dei processi di integrazione sovranazionale. È questa la sfida principale che dovremo affrontare.